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decentramento

Sull'autonomia la Lombardia accelera e la Cei fraintende

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Il governatore Fontana avvierà fin da subito l’applicazione della riforma, facendo da traino per le altre regioni. Ai vescovi che parlano di "Far West" occorre ricordare il principio di sussidiarietà.

Politica 30_08_2024
IMAGOECONOMICA - ANDREA DI BIAGIO

C’è tanta amarezza nel constatare che una riforma utilissima al Paese come l’autonomia differenziata sia ormai oggetto di gravi strumentalizzazioni alimentate da partiti, istituzioni, associazioni, mondo della cultura. La legge Calderoli non fa altro che ampliare il concetto di decentramento amministrativo portato avanti dalla sinistra con la riforma del Titolo V della Costituzione, oltre vent’anni fa, e dunque dà attuazione ai principi costituzionali valorizzando responsabilità e sussidiarietà, riassumibili nel concetto di meritocrazia, che premia il merito, riconosce con giustizia chi fa, chi si comporta bene, chi è onesto, competente, chi si impegna, chi dimostra di meritare.

In altri termini, responsabilizzare le comunità organizzate sui territori affinchè utilizzino in maniera oculata le risorse a disposizione gestendole per il bene comune e non per foraggiare clientele e parassitismi, soprattutto al sud, non è altro che la realizzazione del disegno dei Padri Costituenti ed esalta le diversità senza intaccare l’unità nazionale. La verità è che c’è purtroppo un difetto di comunicazione nel far passare tale messaggio ed è per questo che si è scatenato un tiro al bersaglio contro quello che viene presentato colpevolmente come un attentato all’unità nazionale.

Bene ha fatto dunque il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, ad annunciare che la sua regione avvierà fin da subito l’applicazione della legge Calderoli sull’autonomia differenziata nelle materie in cui ciò è possibile, in particolare commercio con l’estero, protezione civile, rapporti internazionali, finanza pubblica e sistema tributario. La riforma approvata in via definitiva dal Parlamento il 19 giugno scorso autorizza le regioni a statuto ordinario a chiedere al governo di acquisire alcune delle competenze che finora sono rimaste nelle mani dello Stato. Tuttavia, il trasferimento delle materie è subordinato alla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e lo Stato dovrà prima stabilire le risorse necessarie per garantirli. Quindi in materie come la sanità o la scuola bisognerà attendere i Lep, mentre in altre, come quelle prima ricordate, le regioni potranno già muoversi in autonomia.

La Lombardia anche in questo caso può rivelarsi trainante per smuovere le acque e stimolare altre regioni a fare altrettanto. Il governatore del Veneto, Luca Zaia è anch’egli molto determinato e da lui c’è da aspettarsi presto qualche iniziativa in tal senso. Il problema però è un altro ed è paradossale: una riforma approvata dal Parlamento, che è l’organo sovrano e rappresentativo del corpo elettorale, una riforma che ricalca quella fatta dalla sinistra oltre vent’anni fa viene oggi accusata di dividere il Paese, mentre a rischiare di spaccarlo è proprio il referendum che la sinistra stessa sta promuovendo per abrogarla.

È altresì condivisibile lo stupore manifestato da Palazzo Chigi di fronte alle recenti esternazioni della Conferenza episcopale italiana (Cei), che ha definito mortale l’autonomia differenziata («una secessione dei ricchi»), paragonandola a un Far West tra regioni povere. In realtà il testo definitivo della legge Calderoli recepisce tutte queste preoccupazioni e scongiura tali rischi, ancorando saldamente l’attuazione dell’autonomia differenziata all’effettiva disponibilità di risorse da parte delle regioni, senza salti nel buio ma con un occhio alla razionalizzazione della spesa, con maggiori controlli su sprechi, rendite parassitarie, privilegi inaccettabili, che al sud hanno provocato incrostazioni di potere e ingiustizie sociali profondissime.

Boicottare l’autonomia significa perpetuare lo status quo e impedire al Paese di risollevarsi davvero e di essere competitivo attraverso l’esaltazione delle diversità, che da un punto di vista biblico richiama il testo della Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi e la rappresentazione della diversità dei carismi riconducibili a un solo Spirito.

Già vent’anni fa il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, in un Compendio della dottrina sociale della Chiesa, indicava nella sussidiarietà un principio cardine dell’insegnamento sociale cattolico. Andando ancora più in là nel tempo, il concetto di sussidiarietà inteso come soddisfacimento dei bisogni al livello più vicino ai cittadini per coglierne al meglio le sensibilità è rintracciabile nella Rerum novarum pubblicata nel 1891 da Leone XIII e, quarant’anni dopo, nell’enciclica Quadragesimo anno. «Siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità – si legge nella Quadragesimo anno – così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare».
Infine, anche nei molteplici interventi di Papa Giovanni Paolo II sul tema della sussidiarietà si coglie l’attenzione della Chiesa verso il tema della corretta distribuzione dei poteri per servire al meglio le persone e le comunità.

Ecco perché c’è da augurarsi che i vescovi possano contribuire ad un’attuazione equilibrata e costruttiva dell’autonomia differenziata, che esalti la centralità della persona e rafforzi il valore dell’unità nazionale senza rinunciare a riorganizzare le competenze Stato-Regioni e a redistribuire correttamente le risorse. Il centralismo ha gravemente compromesso i valori costituzionali, generando disuguaglianze e povertà, l’autonomia differenziata può ridare slancio al Paese. Un’occasione da non sprecare.



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