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ALFIE EVANS

La denuncia: «Il mondo sappia come hanno trattato Alfie»

Dopo la decisione della Corte Suprema inglese di non rivedere la sentenza di morte di Alfie Evans, il padre del bimbo ha lasciato intendere che ci sono state negligenze. Un'amica della famiglia ha accusato l'ospedale: «Avete fatto qualcosa ad Alfie e sapete che se fosse ricoverato altrove vi scoprirebbero». Anche un medico cileno ha smentito i dottori inglesi. Proprio ieri un'indagine sulla morte di un piccolo diasabile ha trovato colpevole l'Alder Hey.

Attualità 23_03_2018

Passati due giorni dalla decisione della Corte Suprema inglese di non rivedere la sentenza di morte di Alfie Evans, il bimbo inglese di 22 mesi senza diagnosi, a cui è stata negata la tracheostomia e le cure e imposta la rimozione della ventilazione dall’Alder Hey Hospital di Liverpool, suo papà Thomas ha scritto un post (non più visibile) sulla pagina Facebook Alfie Armie Official, rivelando che «tra un paio di giorni saprete la verità sulle cure di Alfie». L’uomo ha lasciato intendere che ci sono state delle negligenze da parte del personale sanitario.

A far trapelare qualcosa in merito, qualche ora prima di lui, è stata Gidget Chairmaine Quilter, una donna americana amica della famiglia Evans, che ha diffuso un video in cui racconta la sua visita ad Alfie presso l’Alder Hey Hospital: «Beh sono colpevoli di negligenza e di abuso nei confronti dei loro pazienti. L’ho visto con i miei occhi, quel bambino era trascurato dalle infermiere dell’Alder Hey Hospital che non hanno preso in considerazione in maniera appropriata i suoi bisogni. Onestamente il mondo deve sapere: ho incontrato altre famiglie che mi hanno detto che stanno combattendo contro l’Alder Hey per negligenza e noncuranza». 

Una di loro, Elizabeth Storer, spiega così: «La mia regina, Kyrah (una bimba disabile) è ostaggio dell’Alder Hey Children's Trust per via della dialisi a cui è sottoposta. Ci sono due persone (sua mamma e suo papà) che vorrebbero fare il test per il trapianto di rene, c’è anche una lista d’attesa per ricevere organi donati ma tutto questo ci è negato».

Sempre Chairmaine Quilter, continua spiegando che Alder Hey «non è un ospedale di eccellenza come dite, la vostra struttura può apparire buona, ma la vostra politica e il vostro personale sono disgustosi: sono entrata nella stanza del bambino con il permesso di sua madre, l’ho visto sdraiato (quando nella sua condizione non dovrebbe esserlo). L’ho mosso e nessuna delle infermiere è venuta a chiedermi chi fossi e cosa stavo facendo, nessuno mi ha chiesto cosa ci facevo lì o se avevo il permesso...Nessuno mi ha chiesto nulla per oltre venti minuti mentre ero lì senza sua madre (lei sapeva che ero lì, ma loro no). Loro (le infermiere, ndr) stavano lì alla scrivania a giocare con il cellulare, a guardare Facebook e a parlare delle loro vacanze, le ho sentite e ho registrato la conversazione».

Ma se l’accusa di Chairmaine Quilter fosse vera, le responsabilità dell’ospedale sarebbero ancora più pesanti: «Voi - continua la donna - siete colpevoli di molte negligenze e state cercando di ripulirvi la faccia…non potete ammazzare un bambino solo per salvare la vostra faccia. Voi avete fatto qualcosa a quel bambino e sapete che se fosse ricoverato altrove, in un ospedale di fama mondiale, scoprirebbero quello che gli avete fatto. Voi lo sapete!».

A far pensare che la denuncia non sia inverosimile, nonostante l’Alder Hey si vanti di essere un’eccellenza sanitaria mondiale, sono i risultati, pubblicati proprio ieri, di un’indagine sulla morte di Joshua Molyneux, un bambino disabile di 11 anni deceduto dopo un’operazione di routine presso l’Alder Hay. Si parla di negligenza dei medici e di leggerezza del personale per cui l’ospedale si è dovuto scusare così: «È stato accertato che alcuni aspetti delle cure che abbiamo fornito non hanno raggiunto gli alti standard che ci siamo prefissati qui all'Alder Hey e per questo siamo profondamente dispiaciuti». Ma la cosa più tremenda è l’arroganza del medico, che nonostante il bambino fosse livido, aveva riso in faccia ad un’infermiera convinta che il paziente non stava reagendo bene. Anche un’altra infermiera aveva cercato di fargli capire che il piccolo stava morendo, ma il medico aveva risposto alle preoccupazioni così: «Che medico sarei se non mi accorgessi se è morto o è vivo?». Appunto, si deve replicare, che medici sono quelli così attaccati alla loro idea da sputare diagnosi senza guardare neppure in faccia i loro pazienti causandone la morte?

È proprio l’arroganza e l’attaccamento ad una visione preconfezionata di “qualità della vita” che ha denunciato anche Takesha Thomas, la mamma del piccolo Isaiah (nella foto a sinistra), il bambino inglese di un anno con problemi cerebrali ucciso (in nome del suo “miglior interesse”) l’8 marzo scorso dal King’s College Hospital di Londra, che ha voluto privarlo della ventilazione, senza applicare la tracheostomia né tentare una cura come richiesto dai suoi genitori. «Ha lottato, ha lottato, tutto il tempo», ha raccontato la donna alla Bbc, descrivendo la vita e la morte del figlio e aggiungendo che «le decisioni prese a nostro riguardo non ci includevano mai…e se tu non vuoi prendere subito una decisione diventi un loro nemico». Dopo aver passato tutti i gradi di appello, anche la Cedu aveva respinto il ricorso degli Haastrup contro il verdetto dell’ospedale, come era già accaduto ai genitori di Charlie Gard. Eppure, il padre di Isaiah ha fatto notare che il figlio «ha provato ai medici che si sbagliavano, perché prima di morire ha respirato da solo per sette ore». 

Oltre all’assenza della diagnosi, anche le carte presentate ai giudici dall’ospedale sarebbero prove molto deboli. A confermarlo è stata Chairmaine Quilter: «Non è morto cerebralmente, l’ho visto aprire gli occhi quando gli parlavo…ho monitorato le cartelle cliniche del bambino per cercare un ospedale in America che accettasse di curarlo, ne abbiamo trovati tre...c’erano ospedali in Europa...abbiamo trovato strutture mediche che volevano farsene carico, così come quei medici che lo hanno visto e che hanno detto che avrebbe potuto vivere facilmente per anni con la tracheostomia».

Ora è il turno degli Evans, vittime di un sistema giudiziario che ha deciso di giudicare unilateralmente in base alle prove portate solo da una delle parti (l'ospedale ovviamente), mentre a loro non è stato permesso di avviare alcuna diagnosi, esame o test indipendenti. «Questo non è un caso equo. E noi dovremmo prendere in considerazione le loro opinioni di esperti?», si è chiesta Chairmaine Quilter. «Dico che il sistema sanitario inglese è fatto per uccidere i bambini con bisogni speciali, la sorte di  Alfie era predeterminata prima ancora di entrare nella prima aula di tribunale». La donna ha ricordato che da gennaio ad oggi sono 10 mila le morti in più (molte infantili) rispetto ai primi tre mesi del 2017, un numero enorme riportato senza spiegazioni dal sistema sanitario inglese. 

Si capisce che gli Evans proveranno probabilmente a ricorrere alla Cedu, dato che sulla pagina ufficiale di Alfie si legge che «abbiamo bisogno di genitori di bambini con problemi neurologici a cui è stata fatta la tracheostomia affinché scrivano alla Cedu (European Court of Human Rights, Council of Europe, F-67075 Strasbourg cedex). Un medico cileno, Costanza Saavedra Caviede, ha risposto così: «Lavoro con i genitori di bambini cronici ventilati a casa, perciò conosco bene i loro figli. Io stessa ho un bellissimo e perfetto bimbo ventilato a casa da circa dieci anni. Non solo è possibile la ventilazione a casa ma si può formare il personale, il che è meglio per tutti. Si riducono le infezioni, si permettono la tranquillità e il riposo migliori per il paziente, i genitori e il personale». In Cile, spiega, «un paese meno sviluppato…nessuno permetterebbe che un bambino sia ventilato con un tubo per mesi, la tracheostomia è il miglior interesse del paziente…qui i bambini cronici ventilati vanno a casa dove vivono vite felici, con le loro famiglie e le cure di cui hanno bisogno, che siano sani o no, che si muovano o meno, che siano cerebrolesi o no. Qui avere una malattia cronica o degenerativa non significa la pena di morte».

Per questo, ha concluso Chairmaine Quilter, quello che sta avvenendo in Gran Bretagna «è un olocausto… siamo solo all’inizio. Il mondo sta cominciando a svegliarsi. Charlie Gard, quel bel bambino, mi ha svegliata. Il piccolo Isaiah, mi ha svegliata…Gente dovete opporvi, l’unica chance di Alfie è l’opinione pubblica. Tutto questo deve fermarsi».