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i dati eurostat

Famiglie italiane, un reddito da povertà. Il Governo ha letto?

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Pil e occupazione in crescita, ma se il reddito delle famiglie è fanalino di coda in Europa significa che la famiglia è il grande malato. Pesa il caro prezzi, ma il sostegno del governo è insufficiente. E per l'Assegno non si vede il potenziamento promesso. 

Famiglia 05_09_2024

Di fronte ai dati di Eurostat che collocano l’Italia come fanalino di coda in Europa – seconda solo alla Grecia – per reddito lordo delle famiglie, un governo come quello guidato da Giorgia Meloni che si è presentato come il governo delle famiglie dovrebbe correre ai ripari immediatamente o per lo meno tremare di sudore. Invece da Palazzo Chigi non sono arrivati né commenti né strategie per abbozzare un’inversione di rotta.

Cala, dunque, il reddito disponibile reale lordo delle famiglie nel 2023 – questo dice Eurostat -, soprattutto a causa della crescita elevata dei prezzi, e si attesta oltre sei punti al di sotto di quello del 2008. Dalle tabelle Eurostat sul "Quadro di valutazione sociale" emerge però che migliorano i punteggi per l'Italia sul fronte dell'occupazione e sulla povertà di chi lavora che scende sotto il 10% per la prima volta dal 2010. Per quanto riguarda i redditi in Ue la media sale da 110,12 a 110,82 (2008 pari a 100) mentre l'Italia cala da 94,15 a 93,74.

Se accostiamo questi dati al +0,2% di Pil nel secondo trimestre, con la Germania a -0,1% e al sensibile incremento degli occupati, il cui tasso è risalito al 66,3% facendo esultare il governo (la media europea è però del 75%), si comprende facilmente come gli indicatori economici fotografino un Paese in ripresa sul fronte della ricchezza prodotta e dell’occupazione, ma in netta sofferenza sul fronte della spesa sociale. L’inflazione colpisce le famiglie e il caro prezzi si è abbattuto soprattutto su quelle più in difficoltà e con più figli.

Il grande malato, dunque, è ancora e comunque la famiglia, che doveva essere in cima ai pensieri dell’esecutivo fin dall’inizio. Certo, il problema dell’inflazione non può essere addossato al Governo, quello che si è sempre fatto per contrastarla è immettere nelle tasche delle famiglie quei sostegni in grado di supportarne maggiormente il peso. Ma la politica dei bonus sta mostrando il fiato corto e non riesce a raggiungere come dovrebbe la platea di famiglie con figli. I pochi che ci sono, vanno a situazioni di grande indigenza e non riescono a raggiungere quella fascia media che è la più colpita dall’inflazione ed esposta ai rincari.

Non è dato sapere dunque che cosa serva per creare – come ha commentato il presidente del Forumfamiglie Adriano Bordignon - «un contesto più favorevole alla famiglia, che richiede la compresenza di interventi economici, fiscali, e nel mondo del lavoro, oltre a servizi territoriali», il quale ha aggiunto alle brutte notizie anche il rincaro significativo dei costi legati all’istruzione con aumenti del 6,6% (da fonte Federconsumatori) rispetto all’anno precedente per il corredo scolastico.

La ripresa di settembre si annuncia critica, per la scrittura di una legge finanziaria che non sarà particolarmente generosa con le famiglie, come abbiamo visto dalla polemica di questi giorni sull’Assegno Unico. Se è vero infatti che gli allarmi lanciati da Repubblica sulla cancellazione dell’unico strumento di sostegno famigliare significativo e universale si sono rivelati infondati, con o senza procedura di infrazione europea che in un qualche modo dovrà essere risolta, è altrettanto vero che le rassicurazioni fornite sia dal ministro della Famiglia Roccella, sia dal ministro dell’Economia Giorgetti che si è presentato in coppia proprio con la Meloni per spegnere ogni tipo di illazione, non hanno fornito grosse rassicurazioni su un eventuale potenziamento dell’Assegno.

I problemi dell’assegno unico sono noti e denunciati da tempo. Da quando è stato istituito dal governo Draghi non è mai stato né rafforzato né perfezionato. Ad esempio, da quest’anno pesa nel calcolo dell’Isee e questo ha portato moltissime famiglie a perdere il beneficio di numerosi aiuti di stato come ad esempio il bonus bollette.

Ma è inadeguato nella cifra pro capite, al di sotto degli standard degli altri paesi e penalizza chi ha famiglie con figli grandi, visto che attualmente non è esteso ai figli oltre i 21 anni che sono in formazione accademica o professionale e sono ancora totalmente a carico dei genitori. C’è poi l’aspetto dei diciottenni, ancora impossibilitati a rendersi indipendenti, ma che col compimento del diciottesimo anno d’età vengono penalizzati con una decurtazione sensibile dell’assegno come se di colpo potessero contare su un reddito sostitutivo. È questo uno dei motivi per cui il Forum ha chiesto di non penalizzare i figli da 18 a 21 anni, dando loro il 50% dell’assegno unico che è stato tolto loro e di estendere la misura anche ai figli fino ai 26 anni, ovviamente se ancora studenti.

In realtà manca ancora tutto all’appello: dal potenziamento dei centri per la prima infanzia all’aiuto alle giovani coppie fino al sostegno alle imprese che applicano un welfare aziendale orientato alla famiglia.

Così come non si vede più all’orizzonte – nonostante i proclami – ogni tipo di riforma fiscale in chiave famigliare con l’introduzione di un quoziente famigliare o di un fattore famiglia che avrebbero dovuto costituire la seconda architrave delle politiche famigliari del governo.

Infine, quel che manca, è la vera riforma delle riforme, come ribadito più volte dallo stesso Bordignon: «I fondi stanziati per le famiglie devono essere considerati come un investimento collettivo, non una spesa». Servono quindi nuove politiche anche europee per slegare gli aiuti alle famiglie dalla zavorra attuale. Ma non sembra essere questo un argomento all’ordine del giorno. Intanto teniamoci i dati Eurostat.