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CONSULTAZIONI

Ecco a voi il governo Conte. Ma a Mattarella non piace

Giuseppe Conte è il giurista indicato da Lega e M5S quale premier del nascente governo. Mattarella, tutt'altro che entusiasta, si è preso ufficialmente 48 ore per decidere. Ad insospettire il presidente è la procedura irrituale della nomina: prima è stato elaborato un programma vincolante poi è stato scelto il premier, suo esecutore

Politica 22_05_2018
Il programma del governo giallo-verde

Come si vociferava già nel week-end, Giuseppe Conte è il giurista indicato da Luigi Di Maio e Matteo Salvini quale premier del nascente governo giallo-verde. A comunicarlo al Presidente della Repubblica sono stati i leader di Lega e Cinque Stelle, saliti ieri al Colle per formalizzare la chiusura del contratto di governo e la designazione del premier.

Il Presidente della Repubblica, secondo voci di corridoio, non sarebbe entusiasta e si è preso ufficialmente 48 ore per decidere. La prassi è del tutto irrituale. Per la prima volta, due forze politiche sono partite dai temi, non avendo un candidato premier unitario, e solo in un secondo momento hanno fatto il nome di una personalità gradita ad entrambe, e che dovrebbe accettare in blocco il programma, senza avere margini di discrezionalità sulla sua attuazione. Ma nel caso di Conte si tratta, in verità, di un nome “terzo” soltanto in parte, essendo stato indicato quale possibile ministro di un governo Di Maio già in campagna elettorale. Di fatto Conte è vicino ai Cinque Stelle e dunque si tratta di un profilo a metà strada tra tecnico e politico. Ma a Mattarella quello che non va giù è il cosiddetto “pacchetto completo”, cioè programma e squadra di ministri imposta al premier e al Quirinale, senza il rispetto formale delle tappe disegnate nella Costituzione.

Tutto questo potrebbe portare il Presidente della Repubblica a chiedere ritocchi alla squadra di governo, visto che ben difficilmente potrebbe fare la voce grossa sul nome del premier. Si tratterebbe, infatti, di un grave vulnus alla credibilità democratica delle istituzioni se Mattarella chiedesse a Salvini e Di Maio di cambiare guida all’esecutivo. Su quali basi, visto che siamo in una Repubblica parlamentare e non presidenziale?

Intanto, però, Marine Le Pen esulta all’idea che ci possa presto essere in Italia un governo pentaleghista e lo ha già fatto sapere, affermando che dopo l’Austria anche l’Italia finisce nelle mani di “partiti amici”. Lo spread invece sale, e questo alimenta le preoccupazioni sulla tenuta del “Sistema Italia”, considerato che in questo modo gli interessi sul debito pubblico italiano, già elevatissimi, salirebbero ulteriormente.

Ma giustamente Lega e Cinque Stelle chiedono all’Europa un lasciapassare, cioè di far partire il nuovo governo italiano, senza veti e pregiudizi, per poi poterlo giudicare sui fatti. Come si diceva prima, il Capo dello Stato ha deciso di non procedere subito con il conferimento dell’incarico ma di convocare al Quirinale per domani mattina i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, che all’inizio di questa accidentata legislatura avevano assunto il ruolo infruttuoso di esploratori, cercando di formare un esecutivo tra Cinque Stelle e centrosinistra o tra Cinque Stelle e Lega, ma senza sortire effetti.

Se Conte rappresenta un compromesso inevitabile tra un Di Maio desideroso di andare a Palazzo Chigi e un Salvini impossibilitato ad accontentarlo per non perdere la faccia con gli alleati di centrodestra e con i suoi elettori, la scelta di un tecnico per la Presidenza del Consiglio alimenta malumori nelle basi del Carroccio e dei Cinque Stelle. Entrambi i leader dei partiti si sono affrettati a sostenere che il governo avrà comunque un’impronta politica e un programma frutto della negoziazione tra Lega e pentastellati, ma se pure la scelta dei ministri dell’Economia e degli Esteri dovesse rientrare nell’orbita delle nomine quirinalizie e di palazzo, l’impatto del nuovo esecutivo sugli elettori dei due partiti usciti vincitori dalle elezioni del 4 marzo non sarebbe così entusiasmante.

Nelle elezioni regionali di domenica in Valle d’Aosta, la Lega è stata l’unica forza politica a crescere in maniera consistente, anche perché Forza Italia, nonostante la riabilitazione di Silvio Berlusconi, non appare in grado di tenere il passo del partito di Salvini. Ecco perché quest’ultimo potrebbe essere tentato, di fronte al probabile ostracismo europeo e alle difficoltà di tenere in piedi un esecutivo accerchiato dagli speculatori e corroso dall’impennata dello spread e dalle emergenze Ilva, Alitalia, eccetera, di far saltare il tavolo e di tornare presto al voto.

Siccome, però, sia Forza Italia che Pd sono a pezzi e non in grado di misurarsi nuovamente con le urne prima di un anno, ecco che ci troviamo di fronte a un paradosso: proprio i partiti che stanno dando vita all’esecutivo non si straccerebbero le vesti se dovessero rinunciarvi a breve, per tornare a chiedere il voto agli elettori; viceversa, gli sconfitti Pd e Forza Italia fanno il tifo affinchè la legislatura duri il più possibile e loro possano avere il tempo di ricostruirsi, magari in un nuovo “partito della nazione” che si cementi in nome dell’antipopulismo. Ma in tutti questi giochi di potere Mattarella si accontenterà di fare da semplice notaio, avallando le tattiche dei partiti, o giocherà una sua partita?