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VIGNA DI RACHELE

Come rinascere dopo l'aborto, il "lutto proibito"

"Ci siamo trovati con persone che dopo aver vissuto un aborto hanno tentato di chiudere questa vicenda, di risanarla, senza però trovare il tempo e lo spazio necessari. Non si tratta solo di una ferita psicologica, è una profonda ferita spirituale che va guarita, con l'aiuto di Gesù". Intervista a Monika Rodman, responsabile in Italia della Vigna di Rachele, un apostolato che organizza periodicamente ritiri di tre giorni per favorire la guarigione interiore di uomini e donne che portano dentro di sé il dolore di un aborto, aiutandoli a riconciliarsi con il figlio perduto.

Vita e bioetica 16_06_2019

Anche se il mondo lo nega, l'aborto volontario reca con sé ferite nel corpo e nell'anima delle persone coinvolte, che richiedono una guarigione, innanzitutto interiore. Proprio con il fine di favorire questa guarigione, e quindi l'incontro reale con la Misericordia di Dio, opera la Vigna di Rachele, un apostolato internazionale nato nel 1994 all'interno dell'arcidiocesi di Filadelfia (Stati Uniti) e da nove anni attivo in Italia, dove l'importanza del suo servizio è stata compresa subito dal compianto cardinale Carlo Caffarra, allora arcivescovo di Bologna.

Ed è a Bologna, dal 12 al 14 luglio, che la Vigna di Rachele terrà il prossimo ritiro di tre giorni per uomini e donne che portano dentro di sé il dolore di un aborto. La Nuova Bussola ha intervistato la responsabile in Italia di questo apostolato, la teologa Monika Rodman Montanaro, per capire meglio di cosa si tratta.

Monika, la Vigna di Rachele propone un percorso di riconciliazione per chi è passato attraverso l'esperienza dell'aborto volontario. Ci può spiegare in che cosa consiste questa riconciliazione?
Essenzialmente si tratta di offrire un posto sicuro, bello, in cui comprendere la perdita vissuta, che è la perdita di un figlio. Si parte dal riconoscere questo figlio, riconoscendo cioè la maternità e la paternità perdute, ed elaborando il lutto per questa morte. Poi lavoriamo sul piano spirituale. Qui entra in gioco il perdono e l'esperienza dell'amore incondizionato di Dio, quindi della riconciliazione con Lui e anche con la Chiesa. È così che avviene, a livello spirituale, la riconciliazione con il figlio, affidato alla Misericordia di Dio, di cui aveva parlato già Giovanni Paolo II nella bellissima sezione 99 dell'Evangelium Vitae, in cui si rivolge direttamente alle mamme che hanno abortito.

Lei parla di riconoscimento della perdita vissuta. Può chiarire perché?
Sì, basta pensare a com'è nata la Vigna 25 anni fa. La fondatrice, una psicoterapeuta che si chiama Theresa Burke, specializzata nel trattamento dei traumi, non pensava all'inizio di fondare un apostolato di questo tipo. Negli anni Novanta stava gestendo un gruppo di donne che soffrivano di disordini alimentari. Una sera, nel gruppo, è venuto fuori il flashback di una donna che parlava proprio dell'aborto che aveva avuto alcuni mesi prima e stava vivendo dei ricordi bruttissimi. Grazie a questa testimonianza venne fuori che quasi tutte le donne del gruppo, 6 su 8, avevano vissuto uno o più aborti. Era stato l'unico problema di cui fino allora nessuno aveva osato pronunciare parola. Perciò, venne fuori questo dolore taciuto.

Cosa avvenne poi?
La psicoterapeuta comprese che doveva aiutare a superare questo "lutto proibito", di cui quasi quasi non si può parlare perché il mondo dice: "Cara mia, tu lo hai scelto, quindi vai avanti...". La Burke, essendo cattolica, molto impegnata con il marito nella Chiesa (lavorava pure con mamme incinte e in difficoltà), vide che le sue migliori tecniche psicoterapeute non raggiungevano il nocciolo del problema. E così capì che è la nostra fede cristiana a dover offrire le risorse necessarie, perché nella nostra fede ci sono tante risorse per sanare le ferite della vita, inclusa questa. La Parola di Dio, la preghiera, i sacramenti sono tutte grazie che aiutano a incontrarsi: per questo la Vigna non è solo un gruppo di mutuo aiuto, è davvero una piccola comunità ecclesiale, una piccola Chiesa, e queste persone vivono veramente un'esperienza di unità, ricevendo fiducia.

Quante persone partecipano ai vostri ritiri?
Il gruppo è fatto da 10-12 partecipanti, che vengono seguiti da un'équipe di 6-7 persone. L'accompagnamento inizia prima dei tre giorni del ritiro e può durare vari mesi, spesso "gemellando" la persona che si rivolge a noi con le persone che collaborano con la Vigna e sono vicine geograficamente oppure hanno fatto un'esperienza di vita simile. C'è grande attenzione alla singola persona, ai silenzi, al pianto. Ecco: non fuggiamo davanti al pianto, non fuggiamo davanti ai silenzi necessari, perché tante volte ci siamo trovati con persone che hanno tentato - magari in famiglia, dallo psicoterapeuta o in confessionale - di chiudere questa vicenda, di risanarla, senza però trovare il tempo e lo spazio necessari. Il fatto è che non si tratta solo di una ferita psicologica, è una profonda ferita spirituale che va guarita, confidando nell'aiuto di Dio: le donne e gli uomini che vengono da noi ci parlano proprio di una ferita da elaborare davanti alla Vita con la "V" maiuscola.

Il vostro programma si basa sul mettere al centro Cristo, ma a voi si rivolgono anche persone lontane dalla fede o di altre fedi?
Sì, negli anni abbiamo accolto anche un paio di donne musulmane, le abbiamo preparate bene, abbiamo fatto capire i vari passi del ritiro, dove si prega molto: non sono preghiere, diciamo, tradizionali, ma preghiere spontanee, parole che rivolgiamo al Creatore di questa vita, della nostra vita. Molti arrivano senza essere praticanti, alcuni si dichiarano proprio atei.

Attraverso questo cammino di riconciliazione, arrivano a scoprire Dio?
Ci sono molte persone che testimoniano di aver incontrato per la prima volta un Gesù che ti parla personalmente, un Cristo che tocca personalmente la tua vita. In questo senso l'opera della Vigna non è solo di riconciliazione con Dio, i propri figli, la propria vita: è anche un'opera di evangelizzazione, perché si tratta di offrire a queste persone la Buona Notizia. Dove ti senti più ferita, è proprio lì che il buon Gesù vuole toccare la tua vita. E questa è una bella notizia. Proprio lì ti vuole toccare e trasformare quello scudo, magari di vergogna... Per esempio, in questi giorni ho parlato con una signora di più di 50 anni che ha detto "grazie" perché era la prima volta che raccontava nella sua interezza la sua vera storia. Ovviamente non abbiamo la bacchetta magica, ma spieghiamo sempre che offriamo un come e un dove fare questo lavoro: è un lavoro interiore che bisogna fare, di mezzo c'è molta preghiera, c'è da chiedere a Dio quello che noi non possiamo raggiungere con i soli nostri sforzi.

Voi vi rivolgete sia alle donne che agli uomini. Anche i papà hanno bisogno di una riconciliazione con il figlio perduto?
Sì, ne hanno bisogno, anche se vivono l'esperienza dell'aborto in modo diverso, perché chiaramente non vivono nel corpo la gravidanza e spesso hanno difficoltà a prendere contatto con questo dolore. Ma poi, quando l'uomo vede la donna che piange, che non sta bene, vive un'ulteriore sofferenza perché l'uomo vuole riparare le cose, ma questo dolore non è una cosa che si ripara come le altre. E quindi l'uomo spesso si sente impotente. Questa è la tristissima realtà dell'aborto, perché un aborto viene eseguito, così si dice, per risolvere "un problema": ma non viene detto che da lì nasceranno altri problemi, si aprirà tutto un vaso di Pandora. Anche per questo le persone dopo si sentono smarrite.

Una delle esperienze che riportate è quella di una persona che dice: "Ho scoperto che portavo dentro di me un grosso fardello di cui non riconoscevo il peso".
Sì, quelle sono parole pronunciate da un uomo. Un marito che non riconosceva di portare dentro di sé questo fardello. E quindi spesso c'è questa dialettica tra uomo-donna, tra marito-moglie, e la confessione aiuta il singolo. Tutti i tre giorni del ritiro possono essere chiamati, come ha detto un sacerdote che ci aiuta, una lunghissima confessione. Si tratta di confessare la verità della propria vita, che non è facile in questo mondo di oggi, dove tutti corriamo: dov'è che c'è posto e tempo per raccontarsi?

I partecipanti vengono sia come single sia come coppia?
Vengono sia donne e uomini soli sia coppie.

E quando c'è ancora la coppia questo percorso favorisce la sua unità?

Tantissimo, sì. Perché spesso riapre per la prima volta un dialogo, un dialogo che molte volte è stato abortito con l'aborto del figlio. Lo possono anche constatare le nostre collaboratrici che hanno vissuto assieme al marito questa esperienza. Cerchiamo proprio di aiutare a riaprire questo dialogo, che alla fine non è solo un dialogo tra due, perché in mezzo c'è anche Gesù. Ed è questo che cambia tutto.


Per informazioni, visita il sito www.vignadirachele.org (email info.vignadirachele@yahoo.it, tel. 099 7724 518)