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Tucho libera tutti: l'unico peccato è il clericalismo

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Dalla cattedra di Facebook il card. Fernández impartisce l'assoluzione linguistica: anche la parola "peccatore" è considerata offensiva. E guai a chi ricorda che la porta evangelica è "stretta".

Ecclesia 19_10_2023

Il cardinale Victor Fernández, neo prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, scende in campo per bacchettare i cardinali dubbiosi, ossia quei cinque cardinali che avevano inviato alcuni dubia al Papa per avere chiarimenti su questioni centrali riguardanti la morale, la fede e la struttura gerarchica della Chiesa. Naturalmente il prefetto non li cita e, nella sua prospettiva, è una strategia efficace. Infatti le sue parole possono così adattarsi ai cinque riottosi come a tanti loro emuli.

Fernández sceglie Facebook per dar fiato alle trombe. E già questo è inusuale e irrituale. Un contenitore non molto adatto per comunicazioni formali di un prefetto di un dicastero. Ma è una delle infinite varianti dell’adattamento al mondo che piace tanto ai teo-conformisti. Dunque il post di FB ha un titolo che è tutto un programma: Abuso, clericalismo e sinodalità. Il succo è questo: «Tutte le persone che hanno autorità hanno la tendenza ad abusare». E il cardinale si riferisce «agli abusi di qualsiasi genere (sessuali, di autorità, di manipolazione delle coscienze, ecc.)». Poi si sofferma su una particolare forma di abuso che però pare tramontata almeno tra i più: «c'era anche una violenza verbale che portava troppo presto a giudicare duramente gli altri, senza timore di ferirli e di distruggere la loro autostima. Si diceva: "adulteri", "sodomiti", "figli illegittimi", "degenerati", "peccatori", ecc. ». E dunque veniamo a scoprire che schiere di santi, da San Paolo passando da San Tommaso d’Aquino per arrivare a San Giovanni Bosco erano abusatori perché usavano questi ignobili termini.

Ma c’è di più nell'osservazione del card. Fernández: la categoria morale dell’adulterio, della sodomia, della filiazione illegittima, della degenerazione dei costumi e persino quella del peccato, non solo non esiste più, ma è sbagliato evocarla. Sono come insulti, sono parole o espressioni che non indicano più una realtà oggettiva, ma sono solo epiteti spregevoli, titoli ingiuriosi. Di tal modo non c’è più l’adultero, ma la persona che trova in una nuova unione, dopo un serio discernimento, una strada affettiva benedetta da Dio. Non c’è più la persona omosessuale che vive una condizione intrinsecamente disordinata, bensì una persona che sperimenta una diversa variante naturale dell’attrazione sentimentale e sessuale. Non c’è il figlio nato fuori dal matrimonio, ma esiste solo il figlio, il resto è irrilevante. Non c’è più il degenerato morale, ma una persona in ricerca. Ed infine non c’è più il peccatore, ma solo la persona fragile. Non ci sono più il male, il malvagio, ma solo il bene e il virtuoso.

Il romanziere Cormac McCarthy scriveva con efficacia: «pian piano il bandito finisce con il diventare indistinguibile dalla collettività. Col ritrovarsi cooptato. Difficile oggigiorno essere un gaudente o un farabutto. Un debosciato. Un deviante? Un pervertito? Stai scherzando. I nuovi ordinamenti hanno pressoché cancellato dalla lingua queste categorie. Non puoi più essere una donna dissoluta. Per esempio. Una sgualdrina. Il concetto stesso è privo di senso. Non puoi manco essere un drogato. Se va bene sei un semplice consumatore. Un consumatore? Che cavolo significa? In un paio di annetti siamo passati dai fattoni ai consumatori. Non ci vuole Nostradamus per prevedere dove andremo a finire. I criminali più efferati reclamano uno status. Serial killer e cannibali rivendicano il diritto al loro stile di vita. […] Senza malfattori il mondo dei giusti è completamente spogliato di senso» (Il passeggero, Einaudi, p. 141).

Torniamo al nostro prefetto che, censurando il concetto di autorità, prosegue affermando che «questo ci permette di capire perché Papa Francesco afferma che la causa principale degli abusi nella Chiesa è il clericalismo, piuttosto che la sessualizzazione della società». Due brevi note. Come affermava Benedetto XVI la causa degli abusi è la mancanza di fede: «Solo dove la fede non determina più l’agire degli uomini sono possibili tali delitti» (Papa Ratzinger: la Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali, Corriere della Sera, 11 aprile 2019) Togli Dio ed hai tolto l’ostacolo maggiore per compiere il male. Inoltre e in merito al clericalismo – uno dei molti vocaboli talismano di questo Sinodo che vogliono dire tutto e nulla – l’autoritarismo di alcuni sacerdoti non è causa degli abusi, ma solo condizione. È come dire che la causa dei divorzi sono i matrimoni.

Il cardinale così continua: il riferimento al clericalismo «aiuta anche a comprendere la chiamata a una Chiesa più “sinodale”, dove l'autorità è compresa solo nel contesto della corresponsabilità e della varietà dei carismi». Ecco che l’autorità gerarchica si liquefa in un consesso apparentemente tra pari, in una corresponsabilità democratica che in realtà serve da paravento per occultare le grandi manovre di pochi.

Poi l’affondo: occorre «collocare l'autorità in un contesto che impedisca abusi di qualsiasi tipo e assicuri il rispetto religioso della dignità delle persone. La storia della Chiesa ci mostra ampi esempi dell'assenza di questo rispetto di fronte all'ostentazione di una sana dottrina e di una rigida moralità». Dunque chi, come i cinque cardinali di cui sopra, richiama alla fedeltà alla dottrina è un abusatore, una persona che vilipendia la dignità dei suoi fratelli. Al contrario la dottrina è rigida perché deve tutelare rigidamente la dignità delle persone.

In ballo c’è l’intima preziosità personale e la salvezza eterna e quindi è necessario ed è benedetto essere rigorosi e inflessibili nell’indicare ciò che è consono a tale dignità e ti porta in Paradiso e ciò che invece non è consono ad essa e ti apre le porte dell’Inferno.

 



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