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CAMBIO DI MENTALITÀ

Pro Vita & Famiglia al prossimo governo: un sottosegretario per i nonni

Dibattito a Roma sul crollo demografico: la popolazione invecchia, ma gli anziani – dice il demografo Blangiardo – sono una risorsa, non un peso per le nuove famiglie. Valorizzare la terza età anche a livello governativo: è la proposta di Pro Vita & Famiglia al futuro esecutivo.

Famiglia 14_10_2022
nonni

Il rilancio della natalità passa per l’alleanza tra le generazioni e la valorizzazione della terza età. Ha più senso, a questo punto, parlare di nonni piuttosto che di anziani: il loro ruolo è sempre più attivo nella società e demograficamente essi occupano uno spazio molto rilevante; pertanto, è giunto il momento che le istituzioni ne riconoscano pienamente il ruolo.

Se n’è parlato ieri pomeriggio all’Hotel Nazionale di Roma, a due passi da Montecitorio, in un dibattito promosso da Pro Vita & Famiglia che, per l’occasione, ha avanzato la sua proposta al prossimo governo: istituire la carica di sottosegretario per la Terza Età, operativo presso il Ministero delle Politiche sociali. Questa figura si prenderebbe carico delle problematiche degli oltre 13 milioni di anziani e nonni italiani, dei quali oltre mezzo milione vivono in condizioni di indigenza economica e con gravi difficoltà motorie, senza ricevere dallo Stato, gli aiuti che meriterebbero.

Come ricordato dal presidente di Pro Vita & Famiglia onlus, Toni Brandi, la società italiana è ormai viziata da una «mentalità eutanasica» che, in tante forme, va a discapito degli anziani. Alle istituzioni, quindi, va chiesto l’«adeguato finanziamento» della Legge 38/2010 sulle cure palliative ma anche, un «potenziamento dei servizi socio-sanitari» (in particolare per le «malattie neurodegenerative»), la «detrazione fiscale delle spese economiche a beneficio dei nonni per le attività scolastiche dei loro nipoti», mentre i Comuni andrebbero sollecitati a “festeggiare ogni 2 ottobre la Festa dei nonni, assieme alla scuola e alla cittadinanza”, ha aggiunto Brandi.

Francesca Romana Poleggi, membro del direttivo di Pro Vita & Famiglia e direttore editoriale della rivista omonima ha messo in luce come per ogni nonno che, a vario titolo, si occupa dei nipoti, lo Stato risparmia circa 2500 euro al mese. Il tema, tuttavia, non è solo economico ma culturale: «i nonni hanno anche il compito di custodire la tradizione» e di trasmetterla ai nipoti. Al tempo stesso «accudire una persona anziana o un nonno è qualcosa che ritorna al giovane». È proprio per questo, ha concluso Poleggi, che è importante fare figli: in una società privata dei giovani, gli anziani «diventano un peso» e l’«eutanasia» bussa alla porta. Da parte sua, Peppino Zola, fondatore e presidente dell’associazione Nonni 2.0, propone che «i contributi economici che i nonni offrono ai nipoti rientrino nella detrazione» e che i nonni stessi abbiano la possibilità di partecipare, su delega dei loro figli agli «organi scolastici dei nipoti». Un ulteriore punto riguarda il maggior peso dei nonni nelle cause di separazione dei genitori, laddove oggi «i giudici preferiscono ascoltare più gli psicologi o gli assistenti sociali», ha detto Zola.

I risvolti più critici risiedono nei numeri e sono stati affrontati dal presidente dell’ISTAT, Giancarlo Blangiardo. La prospettiva è quella che, dai 59 milioni di oggi, l’Italia possa precipitare a 48 milioni scarsi nel 2070. Tra mezzo secolo, in compenso, gli ultranovantenni raggiungeranno i 2.200.000, mentre i centenari arriveranno a 140mila. Se le stime spaventano, i dati attuali e reali non rassicurano, tutt’altro. Il numero di figli per donna è di 1,25: portarlo subito a 1,5 sarebbe già un grande risultato, tuttavia, pur crescendo la fecondità, il numero di bambini continuerebbe lo stesso a diminuire, essendo ben al di sotto del tasso di ricambio demografico (2 figli per donna). Le donne in età fertile, infine, dagli attuali 12 milioni scenderanno a 8 milioni nel 2070.

Fin qui la diagnosi. E la terapia? Blangiardo suggerisce di puntare – tra le altre cose – al potenziamento degli asili nido: se il rapporto ottimale di posti disponibili è di 33 per ogni centinaio di bambini, in Italia lo stesso rapporto scende a 23, ma in regioni come la Calabria precipita a 10. «Se non ci fossero i nonni ci sarebbero conseguenze gravi anche a livello familiare – ha commentato Blangiardo – È una risorsa che non possiamo permetterci di sprecare». Oggi l’età media dei nonni si è alzata a 71 anni (dai 68 del 1998), tuttavia si è alzato anche il loro livello di istruzione: se nel 1998, i nonni con un livello di istruzione superiore alla scuola secondaria di primo grado erano all’11%, oggi quella stessa percentuale è raddoppiata.

Sollecitato da una domanda della Nuova Bussola Quotidiana sulle misure demografiche da adottare, il professor Blangiardo ha indicato in primis l’esempio della Francia, che vanta più di 730mila nati nell’ultimo anno: quasi il doppio rispetto ai 399mila dell’Italia. Al nostro Paese serve una «cultura d’attenzione a questi temi»: in tal senso, «la Francia, al di là degli interventi compiuti ha dentro di sé l’attenzione alla demografia». Non vanno trascurate, ha detto il demografo, le strade battute dalla Germania e, in particolare, dall’Ungheria o da altri Paesi dell’Est che, demograficamente parlando, «stavano precipitando» e ora «hanno invertito pesantemente le dinamiche».

L’Italia, al contrario, ha spiegato Blangiardo, sconta ancora i pregiudizi sullo sviluppo demografico, visto come retaggio del passato [fascista, ndr], come degli «scheletri nell’armadio». «È dal 1977 che viviamo sotto il livello di ricambio generazionale» e da allora «non si è fatto nulla», ha detto. Il «quoziente familiare» da anni praticato in Francia ha dei «costi» importanti ma è risultato efficace. Premesso che il problema non è solo economico ma «culturale» (per cui fare figli va nell’interesse non solo dei genitori ma della società intera), il presidente dell’ISTAT suggerisce una misura molto concreta: l’esenzione dal canone Rai per tutte le famiglie con almeno due figli. Si tratterebbe, in fondo, di una misura poco più che simbolica, di un «riconoscimento», tuttavia, «con un po’ di fantasia, questi riconoscimenti possono diventare tanti», contribuendo a costruire un «clima culturale» di attenzione ed aiuto a «chi collabora affinché la società possa tornare a crescere».