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Accordo saltato

Natura e gas serra, doppio smacco per le follie verdi dell’Ue

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I ministri dell’Ambiente dei 27 Paesi dell’Unione europea non hanno approvato la legge sul “ripristino della natura” e sulla riduzione delle emissioni di gas serra. A far saltare l’accordo il realismo di vari governi, preoccupati per le proprie economie.

Attualità 27_03_2024
Wopke Hoekstra, commissario per il Clima (ImagoEconomica)

Doppio smacco in Europa per i paladini degli eccessi ambientalisti. Il doppio smacco è stato provocato dall'incapacità dei ministri dell’Ambiente dei Paesi membri dell’Unione europea, riunitisi il 25 marzo, di approvare un accordo politico su una nuova legge sul “ripristino della natura” e sull’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra per il 2040. Il testo della legge sul ripristino della natura era stato concordato durante il “trilogo” degli ultimi mesi, ossia durante gli incontri tra relatori del Parlamento, della Commissione e del Consiglio dell’Ue. Le nuove norme prevederebbero l’obbligo per i Paesi di ripristinare almeno il 30% degli habitat naturali in cattive condizioni entro il 2030, il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050.

Nei giorni scorsi il Belgio, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell'Ue, non è stato però in grado di assicurare la maggioranza necessaria per l’approvazione finale del testo, con più di una mezza dozzina di governi che si sono rifiutati di approvare l'accordo e lo stesso Belgio che si è astenuto. A fine riunione la dichiarazione del commissario per l’Ambiente, Virginijus Sinkevičius, ha confermato la sconcertante sconfitta: «L’attuale situazione di stallo solleva seri interrogativi sulla coerenza e la stabilità del processo decisionale dell’Ue... Alla luce di questa situazione di stallo, è in gioco la reputazione internazionale dell’Ue e dei suoi Stati membri».

Non a caso, lo stop dei giorni scorsi dimostra quanto l’impegno europeo in sede Onu per la protezione del 30% delle terre e dei mari del mondo, ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica, sia stato puramente ideologico e la Commissione abbia inseguito le proprie ambizioni, più che gli interessi dei Paesi europei. I governi che hanno bloccato la legge sono quelli di Svezia, Italia, Finlandia, Austria, Ungheria, Polonia, Paesi Bassi e Belgio, tutti preoccupati per gli effetti deleteri che tali norme provocherebbero nei confronti delle produzioni agricole e degli agricoltori dei propri Paesi.

Anche il dibattito sull’obiettivo della riduzione del 90% di CO2 per il 2040 ha lasciato l’amaro in bocca ai seguaci della “madre terra”, con dieci Paesi a favore, tre contrari, un astenuto e tredici che hanno chiesto ulteriore flessibilità e concessioni. L'Ue ha fissato per legge due obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio: un taglio del 55% entro il 2030, seguito dall'azzeramento delle emissioni nette nel 2050.

Un obiettivo intermedio per il 2040 è attualmente in discussione, dopo che la Commissione ha proposto, lo scorso febbraio, un obiettivo di riduzione del 90%. Tra i dieci Paesi fermamente convinti di perseguire il taglio draconiano delle emissioni ci sono Francia, Finlandia, Danimarca e Spagna, mentre la Germania e i Paesi Bassi hanno espresso solo un sostegno provvisorio. Fermamente contrarie invece la Repubblica Ceca, la Grecia e la Polonia. Tutti gli altri Paesi hanno preso tempo: vedi la Lettonia, la Slovenia e la Croazia che, come molti altri, chiedono una “transizione” giusta che concili l'azione per il clima con le politiche sociali per proteggere i cittadini vulnerabili.

Molti Paesi sono anche preoccupati per la propria competitività industriale: sovraccaricare l'industria con politiche climatiche troppo ambiziose rischia di provocare un effetto boomerang e trascinare fuori mercato l’economia e la produzione europea.

Secondo il commissario per il Clima, Wopke Hoekstra, l'attuazione della legislazione esistente sul clima dovrebbe essere intensificata, perché attualmente i progetti e i piani nazionali dei 27 Paesi membri non consentono di raggiungere l'obiettivo del 2030 di una riduzione delle emissioni del 55%. I governi nazionali, secondo il commissario al Clima, dovranno presentare i propri piani definitivi entro la fine di giugno, ma con le elezioni europee che incombono sarà ben difficile che coalizioni e governi antepongano le folli ambizioni verdi di Bruxelles ai bisogni e alle necessità dei propri cittadini e delle capacità produttive nazionali.

Non si può chiedere il suicidio politico ed economico ai governi nazionali, soprattutto quando a pretenderlo sono una Commissione e un Parlamento in scadenza che verranno soppiantati, si spera, da ben altri rappresentanti politici e altre maggioranze parlamentari, per nulla succubi dell’ideologia ambientalista.



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