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IL CASO

L'eutanasia di Anastasi

Le parole del figlio Gianluca fanno chiaramente intendere che la sedazione che ha portato alla morte l'ex campione di calcio Pietro Anastasi, malato di Sla, aveva chiare intenzioni eutanasiche. È la dimostrazione che già oggi l'eutanasia è possibile in Italia e che la recente sentenza della Consulta sul suicidio assistito è ideologica.

Editoriali 20_01_2020
Pietro Anastasi

Torniamo a parlare a distanza di pochi giorni (clicca qui) della cosiddetta sedazione profonda. E lo facciamo in relazione alla morte del calciatore Pietro Anastasi, ex attaccante del Varese, della Juve, dell’Inter e dell’Ascoli, nonché campione d'Europa con la Nazionale italiana, deceduto a 71 anni il 17 gennaio scorso.

Il figlio Gianluca racconta all’Ansa: «Tutto era cominciato tre anni fa con dei dolori al braccio e alla gamba ma a lui all'inizio non abbiamo detto nulla. Abbiamo fatto altri esami ed è venuto fuori che aveva un tumore all'intestino, anche se persisteva il problema neurologico alle gambe. Comunque papà si è operato e il tumore è stato tirato via. Poi abbiamo fatto altre analisi e approfondimenti medici ed è venuto fuori il problema. Il medico ci ha detto che era Sla ma a papà abbiamo preferito tacerlo anche se lui aveva capito tutto».

Poi il figlio così prosegue: «Gli ultimi mesi sono stati davvero devastanti, perché papà non riusciva più a muoversi e respirava a fatica, e si aiutava con l'ausilio di una macchina da cui non riusciva più a staccarsi. Poi gli è stata consigliata anche la tracheotomia ma a quel punto lui ha detto 'basta, seguirò il destino della mia malattia’, e ha rifiutato l'accanimento terapeutico. Così mercoledì è entrato nell'Hospice, dove sono i malati terminali, e il giorno dopo ha deciso di essere sedato. Lui era cosciente anche se faceva fatica a parlare, ci ha salutato, mio fratello che vive in America, poi me e mia mamma, abbiamo chiacchierato una mezz'oretta dei vecchi tempi e della vita bella insieme, poi è arrivato il dottore, gli ha messo l'ago per la sedazione assistita. In 40 minuti si è addormentato e il giorno dopo papà è morto». Il figlio Gianluca sottolinea il nesso causale tra sedazione e morte del padre: «Lui, giovedì sera, quando era ricoverato all' ospedale 'di Circolo' di Varese ha chiesto la sedazione assistita per poter morire serenamente. Ha scelto lui giovedì sera di andarsene. Ha chiamato mia mamma e ci ha detto di volerla subito».

Limitatamente al racconto del figlio, si possono articolare alcune riflessioni. In prima battuta Anastasi non era paziente terminale. In secondo luogo pare proprio che la ventilazione assistita a cui era sottoposto Anastasi non configurasse accanimento terapeutico perché mezzo proporzionato al fine perseguito, ossia al mantenimento in vita del calciatore. In terzo luogo, dal punto di vista della mera dinamica degli eventi, bisognerebbe comprendere se, in merito alla morte del calciatore, la sedazione è stata causa esclusiva o causa congiunta ad altri fattori (come ad esempio il distacco dal supporto ventilatorio), oppure se la sedazione di suo non ha determinato la morte del paziente, ma è stata solo condizione che ha agevolato o semplicemente ha accompagnato un’azione eutanasica di altra natura: sediamo il paziente per non fargli patire la sofferenza del distacco del supporto ventilatorio che causerà la sua morte. Tutte ipotesi comunque che confluiscono in condotte eutanasiche.

Le parole del figlio ci suggeriscono di supporre che la sedazione, probabilmente, è stata causa congiunta della morte del padre, anche perché alcuni preparati farmacologici usati nella sedazione in dosi massicce deprimono i centri del respiro, in specie in pazienti, come Anastasi, che già presentano difficoltà respiratorie. E dunque la sedazione praticata non avrebbe perseguito un fine terapeutico – eliminare la sofferenza – bensì un fine eutanasico.
Il quadro clinico di Anastasi, così come disegnato dal figlio, ci presenta un paziente sì fisicamente e psicologicamente provato dalla Sla, ma non al punto di ricorrere a particolari terapie palliative e antalgiche. Probabilmente la cosiddetta sedazione profonda, unita quasi certamente ad altri interventi dei medici (distacco dal supporto ventilatorio?), hanno portato alla morte del calciatore come effetto direttamente ricercato, non come effetto non voluto e tollerato.

Le parole del figlio Gianluca rivelano chiaramente le intenzioni di Anastasi, intenzioni assecondate dai medici: volere la sedazione eutanasica e non quella terapeutica. In altri termini, usare della sedazione per morire, non usare della sedazione per eliminare la sofferenza e tollerare il possibile effetto non voluto dell’accorciamento della vita (effetto che nei Paesi occidentali è pressochè escluso dalle recenti tecniche della medicina palliativa). Quindi su Anastasi si è praticata l’eutanasia attiva.

Il protocollo eutanasico applicato presso l’ospedale di Varese è in punta di diritto legittimo, perché previsto dalla legge sulle Dat, la legge 219 del 2017. In secondo luogo questa vicenda ci fa comprendere che, probabilmente, lo strumento più utilizzato per praticare l’eutanasia negli ospedali è proprio quello che fa riferimento alla sedazione. Infine questa triste vicenda ci consolida in un certo giudizio: la recente apertura della Corte costituzionale all’aiuto al suicidio (clicca qui) è di carattere ideologico e non è motivata da necessità pratiche, quasi che ad oggi sarebbe impossibile soddisfare le richieste eutanasiche dei pazienti e dunque il suicidio assistito dovrebbe diventare obbligatoriamente una soluzione da offrire ai pazienti.

Infatti, anche in assenza di una legge sull’aiuto al suicidio, qualsiasi paziente già oggi può chiedere di essere sedato profondamente al fine di morire, come testimonia appunto la vicenda di Anastasi. Quindi i disegni legge sull’aiuto al suicidio attualmente all’esame del Parlamento vogliono semplicemente affermare un principio: se esiste il diritto a morire così come enunciato dalla legge sulle Dat, questo diritto deve poter essere esercitato dai cittadini in tutte le sue forme, tra cui anche l’aiuto al suicidio. In breve, così si argomenta, è vero che già oggi esistono più modalità per uccidere una persona in un ospedale, ma non tutte le modalità sono ancora legalizzate. Occorre che l’eutanasia non conosca nessun limite in ordine ai mezzi utilizzati.

A noi rimane non solo il dovere della battaglia culturale, ma ancor prima il dovere della preghiera che, in questo caso, significherà pregare per l’anima del povero Anastasi e dei suoi familiari.