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IL SENSO DELLA CELEBRAZIONE

La festa di Cristo Re è un antidoto al laicismo

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Introdotta da Pio XI nel 1925, questa solennità che chiude l’anno liturgico è più che mai attuale: è un invito a svegliarsi e rifuggire dall’accomodamento allo spirito mondano.

Ecclesia 25_11_2023 English Español

L’anno liturgico si chiude con la Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo, introdotta da Pio XI, con l’enciclica Quas primas l’11 dicembre 1925, a coronamento del Giubileo di quell’anno, un “Giubileo della pace” dopo i tristi eventi della Prima guerra mondiale. Collocata originariamente l’ultima domenica di ottobre, con il Concilio Vaticano II la Solennità è stata spostata all’ultima domenica dell’anno liturgico. La ricorrenza è stata adottata anche dalle confessioni luterana e anglicana.

Il prefazio della Messa definisce quello di Cristo «regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Parlare di regalità di Cristo oggi ha ancora un senso e, se sì, come farla vivere nella nostra società post-cristiana sempre più autonoma da ogni riferimento a Dio e a Cristo? Le ragioni che spinsero Pio XI, su richiesta di pastori e fedeli, ad istituirla valgono ancora oggi?

La citata enciclica Quas primas sottolineava l’impegno dei cattolici nella società per accelerare e affrettare il ritorno alla regalità sociale di Cristo e ne spiegava la ragione: per opporre «un rimedio efficacissimo a quella peste, che pervade l’umana società», la peste del «così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi». Lo scopo era pertanto di contrastare la nascita e la crescita di una società atea e secolarizzata, che il Papa definiva «peste del nostro tempo». Annotava ancora che i mali del mondo derivano dall’aver allontanato Cristo «e la sua santa legge» dalla pratica della vita quotidiana, dalla famiglia e dalla società e pertanto è impossibile una speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli individui e le nazioni continuano a negare e rigettare «l’impero di Cristo Salvatore». Occorre quindi – concludeva il Papa – «instaurare il Regno di Cristo e proclamarlo Re dell’Universo».

A ben vedere, al di là del linguaggio del tempo, appare di enorme attualità l’analisi che della società faceva Pio XI, analisi che oggi ci aiuta a constatare che, in nome di una sempre più riaffermata autonomia, l’umanità contemporanea sembra scegliere volontariamente di fare a meno di Dio. Riascoltiamo queste parole di Pio XI: «Se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società». Si riferiva appunto al «così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi».  Allora come oggi emerge un dato innegabile: la fede va diluendosi sempre più, sino a diventare ininfluente nella concezione della vita e nelle scelte delle nostre società; pure i cristiani talora rinunciano a essere sale e lievito evangelico nella pasta di questo mondo e molti appaiono rinchiudersi nei propri recinti, quasi riluttanti nell’affrontare le grandi sfide dell’epoca contemporanea.

La festa di Cristo Re può essere uno stimolo per i cattolici a svegliarsi dal sonno dell’indifferenza e dell’accomodamento allo spirito mondano; una spinta a convertirsi al coraggio della testimonianza evangelica in ogni ambito della società. Se ieri la “peste” era il laicismo, oggi la “peste” è l’indifferenza, il disimpegno, l’accettazione acritica di tutto come se non ci fosse più differenza fra il bene e il male. L’eroismo dei martiri, ricchezza imperitura della Chiesa, è sempre indispensabile per andare controcorrente, pronti a rischiare anche la vita quando si tratta di testimoniare Cristo. Pretestuosa è la polemica di chi considera l’immagine di Gesù Re come se noi cristiani volessimo imporre ad altri le nostre convinzioni.  Destinatari di questa festa siamo noi cattolici, la Chiesa nel suo insieme, sollecitati dallo Spirito Santo a considerare Cristo nostro Re e Signore: infatti soltanto attraverso la nostra fedeltà al Vangelo il messaggio di Cristo può arrivare a tutti, credenti e non credenti.

Cristo è l’Alfa e l’Omega (Ap 21, 6); dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità, rispondendo alla sua domanda: «Allora tu sei re?», «Tu lo dici, io sono re» (Gv 18, 37). Il suo regno, spiega Pio XI, «principalmente spirituale» è contrapposto unicamente a quello di Satana e delle potenze delle tenebre. Regno, dunque, non di questo mondo, perché non proviene dagli uomini, ma da Dio solo.

Ai suoi sudditi questo Re richiede, prosegue Pio XI, non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, bensì anche di rinnegare sé stessi e di prendere la loro croce per seguirlo. Questo Regno di Cristo è già presente sulla terra, ma in mistero – lo ricorda anche il Concilio Vaticano II nella costituzione pastorale Gaudium et spes (nn. 19-22; 33-39); tuttavia, giungerà a perfezione piena alla fine dei tempi con la venuta del Signore, Sommo Giudice e Re, per  giudicare i vivi e i morti (Mt 25, 31 ss).

* Vescovo emerito di Ascoli Piceno