Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Francesco d’Assisi a cura di Ermes Dovico
INVASIONI

Dopo l'Ucraina, non è detto che tocchi a Taiwan

E dopo l’Ucraina, anche Taiwan rischia di essere invasa? Il volo di nove aerei militari cinesi nello spazio aereo dell’isola, proprio nel giorno in cui i carri armati russi passavano il confine dell’Ucraina, ha risvegliato paure mai del tutto sopite. Quanto sono fondati i timori dei “cinesi di Taipei”? 

Esteri 26_02_2022
Vladimir Putin e Xi Jinping

E dopo l’Ucraina, anche Taiwan rischia di essere invasa? Il volo di nove aerei militari cinesi nello spazio aereo dell’isola, proprio nel giorno in cui i carri armati russi passavano il confine del Paese vicino, ha risvegliato paure mai del tutto sopite. Quanto sono fondati i timori dei “cinesi di Taipei”?

Le due situazioni sono molto diverse. L’Ucraina è uno Stato indipendente riconosciuto dalla comunità internazionale e dalla stessa Russia che la sta invadendo. Taiwan, al contrario, era considerata l’unica vera Cina, rappresentata all’Onu fino al 1971, finché non è stata sostituita dal regime comunista di Pechino. Oggi pochi Paesi al mondo riconoscono ancora il governo democratico di Taipei come legittimo governo cinese, ma nessuno riconosce Taiwan come Stato indipendente e sovrano, indipendenza, per altro, mai proclamata ufficialmente (anche se esiste, di fatto, dalla fine della guerra civile cinese nel 1949). La Cina, dunque, se prendesse esempio da quanto la Russia sta facendo, avrebbe addirittura più facilità a dimostrare la legalità del suo atto di guerra, perché verrebbe considerato, almeno formalmente, una “questione interna” e non un’invasione.

Il secondo motivo per aver paura è l’incontro fra Vladimir Putin e Xi Jinping a Pechino, il 4 febbraio, in occasione dell’inizio delle Olimpiadi invernali. In quell’occasione Pechino ha promesso a Mosca di appoggiarla nella sua contesa con la Nato, alla base della crisi ucraina. Mentre Mosca ha garantito appoggio a Pechino contro la formazione delle nuove alleanze occidentali, come l’Aukus, l’accordo di collaborazione fra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, o il Quad, che coinvolge anche India e Giappone. «Russia e Cina si oppongono ai tentativi di potenze esterne di minare la sicurezza e la stabilità nelle loro rispettive regioni adiacenti». Non si parla, dunque, solo di difesa dei propri confini, ma anche di impedire ingerenze occidentali nel “cortile di casa”, che per la Russia è anzitutto l’Ucraina e per la Cina è anche Taiwan.

Un segnale che questo patto stia reggendo alla dura prova dei fatti, è la reazione iniziale cinese all’invasione russa dell’Ucraina. Il regime di Pechino non l’ha definita neppure “invasione” ed ha attribuito la colpa soprattutto agli Usa, rei di aver inviato armi agli ucraini e di aver creato allarmismo prima della guerra. La reazione cinese è stata però, tutt’altro che entusiasta: “Ciò che vediamo oggi non è quel che desideravamo vedere”, ha dichiarato la portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Hua Chunying.

All’atto pratico, la Cina si è opposta alla minaccia di sanzioni internazionali. Le ha definite “inefficaci” anche sul piano economico, perché la Russia ha riserve sufficienti a reggere il blocco. E le condanna sul piano politico: «Le sanzioni non sono mai state fondamentalmente efficaci per risolvere i problemi. Ci opponiamo risolutamente a tutte le sanzioni unilaterali illegali». Tuttavia, anche in questo caso, un segnale in controtendenza ci sarebbe: almeno due delle maggiori banche statali cinesi stanno limitando i finanziamenti per gli acquisti di materie prime russe. Le unità offshore di Industrial & Commercial Bank of China Ltd. hanno smesso di emettere lettere di credito denominate in dollari statunitensi per gli acquisti di materie prime russe fisiche pronte per l'esportazione, secondo quanto hanno affermato due fonti dell’agenzia Bloomberg.

Il primo segnale veramente in controtendenza è arrivato però ieri, quando Pechino ha chiesto a Mosca e Kiev di riprendere il dialogo. Una proposta di pace, solo al secondo giorno di conflitto, rivela una certa insofferenza da parte della Cina, soprattutto se letta alla luce di queste parziali sanzioni bancarie e della freddezza con cui sono state accolte le notizie della guerra russa, come abbiamo visto prima. Perché? Forse perché la Russia ha iniziato il conflitto in Ucraina riconoscendo l’indipendenza delle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk. E Pechino non le ha ancora riconosciute. Questo perché minerebbe il suo stesso principio di integrità territoriale, su cui fonda tutta la politica estera. Taiwan, per Pechino, “è Cina” e una sua eventuale conquista sarebbe, appunto, questione di “ordine interno”. Riconoscere due repubbliche secessioniste è invece un precedente pericoloso per il regime comunista, perché, un domani, gli Usa potrebbero allo stesso modo riconoscere l’indipendenza di Taiwan, o del Tibet, o del Turkestan.

Per questo motivo, forse, in Asia orientale si possono ancora dormire sonni tranquilli. Se il patto fra Putin e Xi non è un patto di spartizione delle proprie aree di influenza e già a meno di un mese dalla firma si registrano i primi attriti, Pechino rimanderà ancora il suo giorno del giudizio per Taipei.