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L’ideologia avanza

Da Melania pro aborto ai pro vita in carcere, brutta aria negli USA

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Pubblicate le anticipazioni del libro della terza moglie di Donald Trump: un convinto sostegno alla causa abortista, venduta come “libertà”. Intanto, condannati altri tre attivisti pro vita: tra loro una 89enne (in libertà vigilata) sopravvissuta a un campo di concentramento comunista.

Vita e bioetica 04_10_2024
Melania Trump (Ap via LaPresse)

Il suo libro, intitolato semplicemente Melania, sarà pubblicato negli Stati Uniti martedì prossimo, 8 ottobre, a meno di un mese dalle elezioni per la Casa Bianca. Ma le frasi a sostegno dell’aborto messe nero su bianco dalla terza moglie di Donald Trump e anticipate dal Guardian, che ha potuto leggere in anteprima il libro, stanno già facendo il giro del mondo.

Un sostegno che colpisce per la sua radicalità e il suo tempismo, tanto più se si considera il basso profilo che aveva fin qui tenuto Melania Knavs Trump sulle questioni politiche. «È imperativo garantire che le donne abbiano autonomia nel decidere la loro preferenza di avere figli, sulla base delle proprie convinzioni, libere da qualsiasi intervento o pressione da parte del governo. Perché qualcuno che non sia la donna stessa dovrebbe avere il potere di decidere cosa fare del proprio corpo? Il diritto fondamentale della donna alla libertà individuale, alla propria vita, le conferisce l'autorità di interrompere la gravidanza se lo desidera. Limitare il diritto di una donna di scegliere se interrompere una gravidanza indesiderata equivale a negarle il controllo sul proprio corpo. Ho portato con me questa convinzione per tutta la mia vita adulta», scrive Melania.

Parole che manifestano un linguaggio da femminista provetta. A conferma di ciò, l’ex first lady si spinge a dire che su tali questioni «non c’è spazio per la negoziazione», secondo una prospettiva spiccatamente edonista: «Tutti noi nasciamo con una serie di diritti fondamentali, tra cui il diritto di goderci la vita. Abbiamo tutti il diritto di mantenere un’esistenza gratificante e dignitosa. Questo approccio di buon senso si applica al diritto naturale di una donna di prendere decisioni sul proprio corpo e sulla propria salute». Peccato che Melania citi a sproposito, capovolgendolo, il diritto naturale, che presuppone il riconoscimento dell’immensa dignità del concepito e del suo diritto naturale (questo sì), da essere umano innocente, di vedersi rispettata la vita.

Melania adotta in pieno tutta la casistica con cui l’aborto è stato prima legalizzato e poi progressivamente normalizzato: secondo lei l’aborto legale sarebbe necessario in caso di stupro, incesto, pericolo di vita per la madre e altre «gravi condizioni mediche». Da qui, arriva a giustificare anche gli aborti tardivi – tema di scontro nella corsa verso le presidenziali – che sarebbero «estremamente rari» e conseguenti a «gravi anomalie fetali». Ora, «estremamente raro» equivale nel contesto statunitense, anche quando si trattasse di percentuali relativamente piccole, come per gli aborti dalla 21^ settimana in poi (0,9% nelle 41 aree che hanno riportato l'età gestazionale), a diverse migliaia di bambini uccisi: basti vedere i dati ufficiali diffusi dai Centers for disease control. Ma al di là dei numeri, il punto è che qualsiasi aborto intenzionalmente procurato è un delitto contro la vita umana innocente, e tale rimane anche se c’è una legge statale che lo prevede.

Lady Trump, dal canto suo, non vuole solo che l’aborto sia legale, ma anche che sia eliminato «lo stigma culturale associato all’aborto». E questo perché lo slogan “My body, my choice” (“Il mio corpo, la mia scelta”) si può applicare, a suo dire, sia a chi abortisce sia a chi fa nascere il bambino. «Libertà personale», la chiama lei. In realtà, è la solita distorta idea di libertà degli abortisti, che pretendono di cancellare il fatto che la loro “scelta” è a danno del corpo di un’altra persona: il bambino nel grembo materno.

Il Guardian informa che il libro di Melania è breve e che si sofferma sulle descrizioni della sua giovinezza in Slovenia, la sua vita da modella a New York e l’amore per Trump, mentre è conciso sui temi politici. È dunque tanto più significativo che abbia proprio voluto esprimere questo suo ampio sostegno all’aborto (oltre a qualche distinguo rispetto alle politiche migratorie di Trump) in piena campagna per le presidenziali. Di certo, comunque la si pensi su questa presa di posizione, è un altro boccone amaro per il movimento pro vita. Già Trump, da qualche tempo a questa parte, ha fatto registrare un preoccupante scivolamento sul tema della difesa della vita del concepito, facendo esternazioni a cui durante il suo mandato alla Casa Bianca – segnato da varie decisioni pro life – non eravamo abituati. Se allora si diceva favorevole all’aborto legale per le famigerate e fuorvianti “tre eccezioni” (stupro, incesto, pericolo di vita per la madre), negli ultimi tempi questo favore si è progressivamente ampliato, anche se certamente non al livello estremo del Partito democratico.

L’altra certezza è l’aria pesante che i pro vita respirano negli Stati Uniti. Aria di prigione, anche. La scorsa settimana altri tre attivisti pro life sono stati condannati con l’accusa di aver violato la «Legge sulla libertà di accesso agli ingressi delle cliniche» (Face Act), nell’ambito di una manifestazione, nel 2021, al di fuori di una clinica per aborti del Tennessee. Si tratta di Heather Idoni e Chester Gallagher, condannati dal giudice distrettuale Aleta Trauger, il 27 settembre, rispettivamente a 8 e 16 mesi di prigione. Il giorno precedente, un altro giudice, Jeffery S. Frensley, si è pronunciato contro l’ottantanovenne Eda Edl, condannata a tre anni di libertà vigilata. Secondo Steve Crampton, legale della Thomas More Society che aveva rappresentato un altro pro life coinvolto nella stessa vicenda, si sarebbe trattato di «una manifestazione pacifica di cittadini assolutamente pacifici, con preghiere, canti e adorazione, orientata a convincere le madri in attesa a non abortire i loro bambini».

Singolare, su tutti, il caso dell’anziana signora Edl, che rischia fino a 11 anni di carcere per un’altra manifestazione pro vita, in Michigan. Emigrata in America dopo essere sopravvissuta a un campo di concentramento nella Jugoslavia comunista, Edl ha dichiarato in un’intervista a Catholic Vote di aver scoperto dell’esistenza degli aborti legali negli Stati Uniti solo nel 1988, vedendo delle persone bloccare l’accesso a una clinica per aborti ad Atlanta. Da lì la decisione di fare qualcosa anche lei, perché «le persone avrebbero dovuto farlo per me quando mi stavano spedendo in un campo di morte per sterminarmi. Questi bambini vengono solo spediti in un modo diverso». Eda afferma di agire orientata dalle parole delle Sacre Scritture, tra cui il fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te (cfr. Mt 7,12; Lc 6,31) e il parlare in favore di chi non ha voce (cfr. Proverbi 31,8-9).