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IL PROCESSO FABO

Cappato-Pm: il rovesciamento di ruoli uccide il diritto

Processo Dj Fabo: i Pm che hanno chiesto l'assoluzione del radicale Cappato dall'accusa di aiuto al suicidio hanno detto che esiste un diritto alla dignità, che cambia a seconda delle circostanze. Ma è falso e lo dice anche la Costituzione che rende invece immutabile la dignità umana. Siamo al rovesciamento dei ruoli: il pm diventa l’avvocato dell’imputato e ne chiede l’assoluzione, e l’imputato è la pubblica accusa, che chiede per sé la condanna se l'assoluzione non dovesse contemplare il diritto al suicidio assistito.

Vita e bioetica 19_01_2018
Marco Cappato imputato a Milano per induzione al suicidio

Potremmo intitolare questo articolo: “Della morte di un Dj o della morte della giustizia”. Ricostruiamo in sintesi la vicenda giudiziaria legata alla morte di Fabiano Antoniani. Quest’ultimo viene portato in Svizzera da Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, e lì nella clinica svizzera Dignitas premendo un pulsante con i denti muore il 27 febbraio 2017. Cappato si autodenuncia alla procura di Milano per il reato di aiuto al suicidio ex art 580 cp. I PM Tiziana Siciliano e Sara Arduini nel maggio dello stesso anno ne chiedono l’archiviazione, ma il Gip Luigi Gargiulo, dopo due mesi, chiede invece l’imputazione coatta: che si vada quindi a processo perché Cappato non solo ha aiutato Dj Fabo a morire, ma ha pure rafforzato in lui il proposito di togliersi la vita.

Arriviamo ad un paio di giorni fa quando i medesimi due PM hanno chiesto l’assoluzione per Cappato perché “il fatto non sussiste”, formula assolutoria usata quando il fatto di reato prospettato, in questo caso, dal Gip non è stato provato in sede di dibattimento nei suoi elementi oggettivi (condotta, evento, nesso di causalità tra condotta ed evento). In breve la condotta di Cappato non può essere qualificata come “aiuto al suicidio”. Il PM Sara Arduini ha spiegato che l’imputato “non ha avuto alcun ruolo nella fase esecutiva del suicidio assistito di Fabiano Antoniani e non ha nemmeno rafforzato la sua volontà di morire”.

E dunque portare in auto Fabo, aiutarlo a sbrigare le pratiche presso la clinica Dignitas, allettarlo, etc. cosa rappresentano alla luce del diritto secondo la pubblica accusa? A detta dei due PM, ripetendo tesi già illustrate a maggio, tutte queste condotte di Cappato configurano l’aiuto all’esercizio del diritto alla dignità personale. Così la dott.ssa Siciliani: “Il signor Cappato  è imputato per aver agevolato qualcuno nell’esercizio di un suo diritto. Non il diritto al suicidio, bensì il diritto alla dignità”. Cappato “viene perseguito per l’aiuto dato a Fabiano affinchè raggiungesse la sua piena autodeterminazione”. Ed infine aggiunge: “Non siamo in presenza, né lo si vuole qui affermare, di un diritto al suicidio. Vogliamo qui invece ribadire che esiste il diritto per tutti i cittadini ad avere una dignità e non essere sottoposti a condizioni degradanti”. Nel maggio del 2017 i due PM  dichiararono che "le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso”. Con coerenza infatti i PM hanno chiesto di sollevare eccezione di incostituzionalità in merito al reato di aiuto al suicidio ex art 580 cp. 

Per i PM la dignità personale è legata alla qualità di vita, alla capacità di svolgere alcune funzioni, alla mancanza di sofferenze fisiche e psicologiche, tutti aspetti inesistenti nell’ultima parte di esistenza di Fabo. “Viene da dire ‘se questo è un uomo’ – dichiara la Siciliani  - in base a quello che la Costituzione repubblicana ci ha abituato a credere, cioè un uomo come pieno fruitore di tutti i diritti della personalità che contempla. Dignità è poter essere uomo, può essere un sinonimo di autodeterminazione e di libertà. Ma come può esserci dignità se non c’è la libertà di esercitarla?”

Richiamiamo alcune riserve su questo punto che avevamo già illustrato a suo tempo e ne aggiungiamo altre. Innanzitutto non esiste nel nostro ordinamento giuridico un diritto alla dignità. La dignità infatti sia per la morale che per il nostro ordinamento giuridico è uno status personale immodificabile dalla assenza di salute o dalla mancanza di alcune funzioni. Nella nostra Costituzione si parla di dignità sociale (art. 3) e di dignità umana (art. 41). Per capire cosa si intende si possono andare a prendere proprio quegli articoli del codice penale così fastidiosi ai Radicali e messi sotto la lente di ingrandimento anche dai due PM di Milano: l’art. 579 cp che vieta l’omicidio del consenziente e l’art. 580 cp che sanziona l’istigazione e l’aiuto al suicidio. Questi due articoli, insieme a molti altri presenti nel nostro ordinamento giuridico, ci dicono che la vita è un bene indisponibile, ossia che anche il titolare del bene vita non può chiedere che qualcuno lo uccida o che l’aiuti a togliersi la vita.

Perché? Lo Stato riconosce alla persona una preziosità intrinseca elevatissima (dignità) che mai viene meno, anche in caso di malattie inguaribili, di disabilità gravissime, di sofferenze acute, di patologie ad esito infausto. Infatti i due articoli non prevedono eccezioni di sorta: non puoi mai aiutare nessuno a morire perché la persona vivente vale di per sé al di là della qualità della sua vita. Dunque la differenza è proprio questa: per il nostro ordinamento giuridico, fino al varo imminente della legge sulle Dat, un uomo è sempre un uomo anche se non riesce ad esercitare alcuni diritti fondamentali, per i due PM di Milano un uomo è tale solo se non soffre, se può vedere e parlare, se ha speranza di vita, etc., insomma se non solo è titolare di diritti ma può anche esercitarli. Per la Costituzione la dignità personale è immutabile, per i giudici di Milano la stessa cambia a seconda delle circostanze. Ma proprio perché l’art. 580 cp richiama a questa immutabilità della dignità umana e di conserva alla intangibilità della vita di qualsiasi persona il duo Siciliani-Arduini ne hanno chiesto la verifica di incostituzionalità.

Dunque, come dicevamo, i pubblici ministeri hanno chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Cappato non ci sta: “ad un tipo di assoluzione così motivata credo che sarebbe preferibile come cittadino una condanna”. Il leader radicale così argomenta: "Se dovesse maturare la possibilità di definire irrilevanti le mie condotte, vi dico che preferirei una condanna perchè con quella motivazione un’assoluzione aprirebbe la strada a qualcosa che nessuno può volere e cioè alla possibilità che l’assistenza alla morte volontaria dipenda dalla poter andare in Svizzera. Se Fabiano fosse stato residente a Catania non avrebbe potuto andare in Svizzera e nemmeno se non avesse avuto 12mila euro a sua disposizione".

Il suo legale Francesco Di Paolo gli fa eco: "Vi chiedo di far entrare la lunga mano di Fabiano in camera di consiglio e di chiedere al Presidente e ai giudici a latere se Fabiano aveva la possibilità di vedersi riconosciuto un diritto". Cappato e i suoi legali si sono visti in vantaggio con la richiesta di assoluzione e allora hanno rilanciato articolando il seguente ragionamento: i PM ci stanno dicendo che io ho aiutato Fabo ad esercitare il diritto alla dignità e stanno chiedendo di abrogare il reato di aiuto al suicidio. In tal modo l’aiuto al suicidio non sarebbe più un reato. Ma noi vogliamo di più, vogliamo che il suicidio sia dichiarato un diritto, cosa che invece il PM Siciliani ha escluso che si possa predicare nel nostro ordinamento (ed invece al varo della legge sulle Dat questo diritto sarà vigente). Se viene dichiarato diritto allora anche qui in Italia i medici dovranno aiutare ad uccidere e non ci sarà più bisogno di viaggiare sino in Svizzera. Se invece l’aiuto al suicidio sarà qualificato solo come una facoltà di fatto non sanzionabile, ma non un diritto, non ci sarà nessun obbligo in capo a nessuno di soddisfare tale facoltà. Solo un diritto invece implica un dovere di terzi di attivarsi.

Merita un’ultima riflessione una dichiarazione del PM Siciliani: “Mi rifiuto di essere l'avvocato dell'accusa io rappresento lo Stato e lo Stato è anche l’imputato Marco Cappato". Siamo al rovesciamento dei ruoli: il pubblico ministero diventa l’avvocato difensore d’ufficio dell’imputato e ne chiede l’assoluzione, e l’imputato diventa la pubblica accusa che chiede per sé la condanna. Torniamo alle parole della Siciliani. Il codice di procedura penale all’art. 50 comma 1 ci descrive il ruolo che deve svolgere il pubblico ministero: “Il pubblico ministero esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione”, articolo richiamato anche dalla stessa Siciliani.

Vero è che il PM rappresenta lo Stato, ma lo rappresenta nella sua funzione sanzionatoria laddove esistano gli estremi per esplicare questa funzione. Se il PM trova elementi a favore dell’imputato (art. 358 cpp) li deve evidenziare non perché sia suo difensore, ma perché deve accertare la verità dei fatti prima di procedere nell’esercizio della sua azione penale. Altro errore: lo Stato non è anche Marco Cappato perché lo Stato è un ente giuridico differente dal soggetto giuridico “Marco Cappato”. E dunque sono i difensori Di Paola e Rossi che rappresentano Cappato, non certo il Pubblico Ministero. Il quale pubblico ministero doveva fare solo una cosa: accertato che Cappato aveva aiutato Dj Fabo a morire – così come ammesso dallo stesso Cappato che si era addirittura autodenunciato – doveva applicare l’art. 580 cp che recita “Chiunque determina altri al suicidio […] ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione  è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”. E’ semplice: Cappato doveva finire in carcere.