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figliuolo e rezza al meeting

“Viva i vaccini e Big pharma”. In scena la narrazione di regime

«È stato il trionfo della vaccinologia, viva il profitto di Big pharma che si sposa col bene comune». Col monologo al profumo di incenso di Figliuolo e Rezza, al Meeting va in scena la narrazione pandemica di regime. Assente ogni tipo di problematica scaturita dalla campagna vaccinale, dai danneggiati dal vaccino alle vittime della vigile attesa, dalla libertà calpestata alla bugia del green pass. E la minaccia di Stato per lavorare ora diventa solo un semplice «stimolo». 

Attualità 26_08_2022

«Il Green Pass si è dimostrato una soluzione vincente». Fine della discussione. Il senso dell'incontro del Meeting di Rimini sulla campagna vaccinale e la pandemia (QUI il video integrale) è tutto nelle parole del conduttore Carlo Lucchina. Se il titolo è questo, non conviene nemmeno andare a vedere in che cosa è stato vincente. Tanto si sa già: per costringere tutti a vaccinarsi a prezzo della propria dignità? È più o meno questo il sunto delle quasi due ore di chiacchierata tra il generale Francesco Paolo Figliuolo, Guido Bertolaso, Gianni Rezza e Giancarlo Cesana.

I primi tre sono stati dei protagonisti della stagione pandemica che ci stiamo – forse – lasciando alle spalle. E quindi in quanto protagonisti sono venuti a Rimini per raccogliere applauso, lodi e la piaggeria vicendevole (è stato anche detto questo, da Rezza, ad un certo punto). Va da sé che, se il senso è quello di lodarsi per dire “quanto siamo stati bravi a costringere la gente a vaccinarsi contro la propria volontà”, la narrazione che ci aspetta da qui ai prossimi giorni di questa campagna elettorale non si discosterà molto da questo impianto.

Del resto, i partiti al governo che si ricandidano, non ci pensano minimamente a mettere in discussione la campagna vaccinale visto che l’hanno sostenuta.

Dunque, narrazione sia, da qui almeno fino al 25 settembre e poi, si spera, magari cambierà la stagione politica e forse usciranno fuori anche delle letture diverse. Per ora, dobbiamo sorbirci la narrazione pandemica che esclude il problema della libertà calpestata, delle terapie sperimentali forzate e di quelle domiciliari negate, della paura di un virus che si poteva curare, dell’efficacia nel tempo del vaccino e del problema enorme della loro sicurezza. Tutto sotto la coperta della piaggeria.

Eppure, un controcanto ci sarebbe stato bene l’altro giorno sul palco di Rimini, un palco che si sapeva essere da 40 anni un tempio di confronto e libertà e che invece ha dato l’impressione di essere una riveduta e corretta Festa de l’Unità, senza il comizio finale “alla Berlinguer”, per intenderci.

Se l’obiettivo è capire perché la campagna vaccinale ha funzionato così magnificamente, per la verità si è capito molto bene ascoltando Figliuolo, che di mestiere fa il generale e quindi è abituato a prendere ordini dall’alto (il Governo, quanto incenso, mamma mia, a Draghi: «ho sentito la sua fiducia e mi dava la carica») e darne in basso: «Logistica, programmazione finanziaria, amministrativi e verticalità delle decisioni, esecuzione decentrata e controllo accentrato», questa la ricetta di Figliuolo che in un Paese come il nostro dove in ogni campanile c’è una campana significa rigore cieco e assoluto.

Infatti, a Figliuolo, si scopre che stanno anche un po’ sulle scatole tutte quelle «associazioni che telefonavano per dire la loro» e che quello che «dicevamo in streaming poi uscisse fuori. Non va bene, va bene la trasparenza ma la gente ha bisogno di spiegazioni semplici». Tipo questa: “Il vaccino è efficace e sicuro”. Punto. Con questo corollario, ripetuto a megafono dai media uniti in cooperativa si è creata la fortuna della campagna vaccinale.

Qual è stato il momento decisivo? Chiede il conduttore a Rezza? «È stato il trionfo della vaccinologia avere tutti quei vaccini nel giro di pochi mesi e con quella piattaforma innovativa», che sarebbe poi la tecnologia a mRna. Ecco liquidato il problema. Della spike che rimane in circolo per quasi un anno proprio grazie a questa tecnologia e provoca gli effetti avversi, se ne parlerà un’altra volta.

Rezza, che nella scala dell’imbrodamento tocca il vertice quando parla di sé stesso arrivando anche a definirsi – per due volte – un civil servant come stesse parlando di Re Artù, ci impartisce anche una lezione di economia applicata al bene comune. «È eccezionale, quando il profitto (delle case farmaceutiche ndr.) si sposa al bene dell’umanità, viva il profitto». Con tanti saluti alle dosi acquistate e mai usate e a quelle fatte di fretta perché pronte a scadere. Insomma, il governo ha dimostrato che profitto e bene comune possono stare insieme. Basta solo cambiare i connotati al bene comune. E anche il destinatario del profitto perché se tutti quei miliardi di euro fossero andati, invece che in vaccini, per una programmazione volta a curare e non a inoculare forse qualcuno oggi piangerebbe lacrime di coccodrillo. Davvero servant, questo Rezza, ma del genere servile verso Big pharma con lingua a pendaglio.  

E i no vax? Ma certo, c’è spazio anche per liquidare loro: «Questo gran parlar di no vax, anti vax, esitanti, per carità possono causare problemi, ma alla fin fine chi voleva evadere l’obbligo era una minoranza sparuta. Alla fine, quando il gioco si è fatto pesante, si è visto che la gente i vaccini li vuole e sa riconoscerne l’importanza». E quand’è, Rezza, che il gioco si è fatto pesante? Quando la narrazione, dallo statista Draghi in giù fino al soldato semplice De Girolamo Nunzia, ha raccontato che «se non ti vaccini muori» e che «se hai il green pass hai la certezza di essere in mezzo a persone non contagiose». Balle clamorose smentite dalla realtà che hanno spinto milioni a prestare il braccio e di cui nessuno chiederà mai scusa, ma la realtà si sa fa a pugni con la propaganda.

Certo, c’è stato qualche esitante, qualcuno che, poverino, ha provato a mettere in fila qualche criticità sul rapporto rischi/benefici, qualcuno che ha ritardato la vaccinazione perché vedeva che poteva contrastare il covid con terapie semplici e la vicinanza di qualche medico senza l’elmetto, qualcuno che in preda ad un dilaniante quesito ha dovuto scegliere se portare a casa lo stipendio o farsi bucare con il rischio di stare male. E allora, per loro, è arrivata la mano di ferro del governo. Tradotta oggi con un paterno: «È chiaro che ci sono momenti in cui bisogna stimolare» (Rezza) e «è servita una moral suasion» (Figliuolo). Tradotto: “Quando abbiamo cominciato a minacciarvi nella vostra libertà, nel vostro lavoro, nel vostro tempo libero, quando abbiamo tolto ai vostri figli lo svago e lo sport, i vaccini ve li siete fatti venire a piacere”. Siamo bravi tutti a stimolare così e a persuadere moralmente.

Insomma, alla fine la pragmaticità del generale ha fatto il resto: «I cittadini hanno capito sono stati fatti anche troppi dibattiti che potevano essere non fatti e si sarebbe impiegato il tempo per lavorare meglio». I danneggiati da vaccino (il governo neanche sa quanti sono, ma ci sono), vaccinati per convinzione e responsabilità, ringraziano. Oggi soffrono e nessuno li ascolta né li visita. Così come i famigliari dei pazienti lasciati in casa a morire senza cure perché le cure erano Tachipirina e vigile attesa. Generale, dietro la collina ci sta questa verità, triste e meschina.