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DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

Statalismo, mondialismo, ecologismo: ideologie che uccidono l'uomo

La Dottrina sociale della Chiesa è il vero antidoto alle ideologie che oggi dominano le scelte economiche. Vale per la gestione della pandemia Covid, che ha dato impulso da una parte a un nuovo centralismo statalistico e dall'altra alla "società aperta". Vale per l'ecologismo, ormai assurto a nuova religione, che produce ingiustizie e colpisce i poveri. Vale per la decrescita economica che ha tutte le caratteristiche di una pericolosa utopia, simile alle eresie pauperistiche dei secoli passati. Vale per il mondialismo, che è una deformazione del vero concetto di fraternità. Ecco i passaggi fondamentali dell'intervento dell'arcivescovo Giampaolo Crepaldi alla III Giornata della Dottrina sociale della Chiesa.
- IL TESTO INTEGRALE DELLA LECTIO MAGISTRALIS

Economia 19_10_2020 English
Monsignor Giampaolo Crepaldi alla Giornata della Dottrina Sociale della Chiesa

Pubblichiamo ampi stralci della Lectio magistralis pronunciata dall'arcivescovo Giampaolo Crepaldi il 17 ottobre alla III Giornata della Dottrina Sociale della Chiesa, svoltasi a Lonigo (VI) per l'organizzazione dell'Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuan, della Nuova Bussola Quotidiana e del Coordinamento nazionale Iustitia et Pax.


(…) La Dottrina sociale della Chiesa si contrappone, per sua intima natura, all’ideologia perché è realista mentre l’ideologia è sempre un occultamento strumentale della realtà.  (…)

(…). La Dottrina sociale della Chiesa è realista, pensa che la verità non sia ideologica, anzi che ci liberi dalle ideologie proprio perché è ricevuta e non prodotta da noi. La verità rende liberi. L’ideologia è sempre un artificio, la Dottrina sociale della Chiesa non lo è mai. Anzi, essa educa l’intelligenza e il cuore degli uomini alla realtà, al retto ragionamento, ad una fede consapevole e ragionevole, al vero sviluppo, alla fiducia nelle risorse umane e nell’uomo come risorsa.

IL CASO COVID
(…) Non c’è dubbio che l’attuale pandemia da Covid-19 abbia avuto e avrà importanti ripercussioni sull’economia. Nel marasma delle informazioni che ci arrivano a questo proposito, due elementi possano essere ritenuti certi. Il primo è che l’impatto sull’economia reale delle imprese e delle famiglie sarà molto pesante. Attualmente gli effetti sono tenuti a freno da misure artificiali, ma ciò non può durare a lungo. Il secondo è che ci sono molti centri di potere politico e finanziario che intendono usufruire della pandemia per riorganizzare, in un senso che non può lasciarci tranquilli, l’economia mondiale. L’economia in questo momento è quindi preda di ideologie e la stessa pandemia viene gestita ideologicamente. (…)

L’economia dipende dal sistema morale di riferimento. Giovanni Paolo II ci ha insegnato che un crollo economico non ha mai solo delle cause economiche. C’è una imprenditorialità umana che precede l’imprenditorialità economica, come ci ricorda la Caritas in veritate. L’economia dipende dalle ideologie quando dimentica questo; la Dottrina sociale della Chiesa la salva dalle ideologie quando le ricorda questo.

In questo frangente essa [la Dottrina sociale della Chiesa] non è stata granché adoperata e proposta. La salvezza è stata spesso ridotta alla salute e il bene comune è stato fatto coincidere con l’applicazione delle restrizioni disposte dal governo. In questo modo l’economia è stata abbandonata alle ideologie. (…)

LA PROPRIETA’ PRIVATA
Tra i principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa c’è il diritto naturale alla proprietà privata (…). Prevedendo sue possibili deformazioni, Leone XIII aveva suggerito di considerare i beni come propri per quanto riguarda il possesso, ma come comuni per quanto riguarda il loro uso. Questa distinzione è di ordine morale ed è propria della persona e della sua creatività. Inoltre deve essere attuata nel rispetto dell’ordine sociale, per esempio passando prima di tutto dalla famiglia e dai corpi intermedi. Quando invece l'uso sociale della proprietà viene imposto dall’alto di un sistema politico centralistico, quando si pensa di attuarlo mediante un sistema fiscale ingiusto o perfino di rapina, quando per farlo si costruisce un sistema burocratico il cui scopo è a propria conservazione e magari a proprio ampliamento, allora il principio del diritto alla proprietà privata viene coperto dall’ideologia. Capita così anche quando esso viene contrapposto al principio della destinazione universale dei beni, oppure quando viene inteso come uno strumento nei suoi confronti, privo di una propria dignità se non come semplice mezzo per realizzare la destinazione universale. I due principi della proprietà privata e della destinazione universale dei beni vanno intesi come sullo stesso piano, oserei dire come due facce di uno stesso principio. È vero che la proprietà privata è la principale via per realizzare la destinazione universale dei beni, ma ciò non significa che debba essere intesa solo come uno strumento dalla dignità non originaria ma derivata. Esso, infatti, è presente perfino nel Decalogo, è un elemento di diritto naturale e rivelato.

STATALISMO E SOCIETA' APERTA
Faccio queste osservazioni non per celebrare l’esasperazione individualistica della proprietà privata, ma perché ho l’impressione che l’attuale gestione ideologica della pandemia miri a ridimensionare questo principio attraverso due strade apparentemente contrapposte ma oggi combinate insieme. La prima è la ripresa del centralismo statalistico. La debolezza della popolazione, l’allarme sociale spesso indotto e l’isolamento alimentano un bisogno di protezione che offre allo statalismo uno spazio inatteso. (…)

 L’altro percorso, apparentemente diverso, è l’impulso che la pandemia ha dato alla cosiddetta “società aperta”. Con ciò si intende una maggiore unificazione globale, la creazione di forti poteri sovranazionali, un meticciato culturale post-religioso, una “obbedienza” universale nei nostri stili di vita, l’accettazione di una gerarchia di valori artificialmente prodotta. (…)

IL MONDIALISMO
La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre insegnato il principio dell’unità del genere umano. Una unità di origine e di destino. Questo principio però non deve essere confuso con le principali proposte mondialiste in scena oggi. Non dovremmo tollerare equivoci su questo tema. Se inseguiamo le ideologie oggi prevalenti, finiremo per dare il nostro contributo a soluzioni sbagliate e dolorose. Né possiamo accontentarci di sintonie nominalistiche con le proposte culturali di oggi. La parola fratellanza oggi assume molti significati alla cui diversità dobbiamo prestare molta attenzione.

Per la Dottrina sociale della Chiesa la fraternità o fratellanza umana si fonda su due livelli. Il primo è di ordine naturale: siamo fratelli perché siamo tutti uomini, siamo uguali in dignità, calpestiamo lo stesso suolo, viviamo insieme non per motivi di fatto ma per vocazione. Questo piano naturale ci dà anche le regole della nostra fraternità, ossia il diritto naturale e la legge morale naturale, che permettono alla fratellanza ontologica di diventare anche fratellanza morale. Il Decalogo è una legge di fraternità e di fratellanza. Esso, infatti, è valido a tutte le latitudini.

L’altro piano è quello soprannaturale: siamo fratelli perché figli di Dio, figli di un unico Padre. Quello naturale è il piano di una fratellanza civica ed etica, quello sopra-naturale è il piano di una fratellanza religiosa e salvifica. I due piani sono in continuità tra loro, perché la natura rimanda al Creatore e la sopra-natura al Salvatore, che sono lo stesso Dio. Non mi sembra che ci siano altri tipi di fratellanza degni di questo nome oltre a questi due.

(…) Quando invece si deforma il concetto di fratellanza per ragioni riconducibili all’economia, allora si deforma anche l’economia. Mi sembra essere questa, a ben considerare le cose, la situazione dell’Unione Europea, dove si aveva una certa idea di fratellanza che avrebbe dovuto animare l’economia, ma alla fine è stata la nuova economia a chiedere e ottenere un nuovo concetto (sbagliato) di fratellanza. Dal quadro culturale dell’Unione Europea sono spariti infatti sia il fondamento naturale della fratellanza, dato che al diritto naturale le Corti europee e il Parlamento europeo non accennano più, sia il vero fondamento trascendente, che non è rimpiazzabile con un generico rifermento alle religioni, qualsiasi esse siano.

L’ECOLOGISMO
(…) L’ecologismo odierno, se applicato secondo le ideologie che sembrano dominarlo, produce ingiustizie e colpisce i poveri. Si spendono più risorse per i cani che per i bambini; per le ricerche sulla salubrità dell’aria che per difendere la vita; per insegnare alle nuove generazioni a rispettare l’ambiente piuttosto che ad avere figli. Benedetto XVI nella Caritas in veritate ha messo in evidenza con grande chiarezza questa stortura di fondo della nostra cultura, che disorienta l’economia dai suoi veri obiettivi. Si spendono somme enormi per difendere la natura più che per difendere l’uomo. Opera qui l’ideologia di una natura disumanizzata, che però a questo punto è solo un mucchio di pietre. Si pensi per esempio alle ricorrenti previsioni sull’esaurimento delle risorse energetiche. Esse prescindono dalla risorsa uomo, come se tutto fosse in mano alla materia e niente in mano all’intelligenza umana.

Il principale danno economico prodotto dall’ideologia ambientalista consiste nell’indurre a ridurre la natalità. Se impostiamo l’economia sui consumi individuali e prevalentemente voluttuari, una società senza figli, senza famiglia, fatta di individui asessuati o dalla sessualità polivalente che lavorano per consumare e consumano per lavorare è senz’altro attraente per gli operatori economici senza scrupoli. Ma se guardiano all’economia vera, vediamo che se non c’è la famiglia e se non si mettono al mondo figli il sistema in generale non regge.

ANTIFAMILISMO E ANTINATALISMO
L’ideologia antifamilista e antinatalista è oggi tra le più perniciose. Giovanni Paolo II aveva ben messo in evidenza la fondamentale importanza economica della famiglia che è scuola di lavoro, motivo di risparmio, ammortizzatore sociale nelle crisi, capitale sociale, educazione alle virtù civiche, trasmissione delle conoscenze e delle competenze tra le generazioni. La carenza di nuovi nati provoca mancanza di visione del futuro da parte di una società anziana, costi improduttivi, dipendenza dalle istituzioni politiche, stagnazione della creatività nel lavoro. L’ideologia antifamilista ed antinatalista vuole cambiare l’economia ma lo scopo è quello di creare una società antifamilista e antinatalista nei valori diffusi. Il suo scopo è negare la  famiglia e la vita. E, si badi bene, non solo per negare la famiglia e la via naturali, ma per negare la Sacra Famiglia e la vita soprannaturale.  (…)

Pensiamo che la questione di Dio non c’entri e invece è proprio quella centrale. Del resto è per questo che la Dottrina sociale della Chiesa se ne interessa. Se la questione di Dio fosse accessoria e marginale e se le cose potessero andar bene anche senza di lui, la Dottrina sociale della Chiesa sarebbe utile ma non indispensabile, come invece noi pensiamo che sia. Uno sguardo ideologico sulla vita, sulla famiglia, sulla natura, sull’economia non è neutro da conseguenze di tipo religioso. (…)

LA DECRESCITA ECONOMICA
Tutto questo sta alla base di un’altra ideologia oggi diffusa, l’ideologia della decrescita economica. (…) Essa non significa la semplice prudenza economica, ma indica un blocco del progresso e della produzione di ricchezza, come se l’essere tutti più poveri fosse di per sé garanzia di giustizia e pace. Intesa in questo senso, la decrescita ha tutte le caratteristiche dell’utopia, oltre che quelle dell’ideologia. I vari millenarismi e pauperismi eretici che abbiamo conosciuto nel corso della storia esprimevano lo stesso concetto. La Chiesa però li ha sempre contestati e l’operosità dei monaci ha sempre pensato di umanizzare la natura più che di naturalizzare l’uomo. A fare ciò essi sono stati spinti non solo dall’amore per la natura, non solo dall’amore per l’uomo, ma soprattutto dall’amore per Dio.

Le utopie hanno sempre procurato grandi dolori all’umanità. L’utopia della decrescita fa propria l’utopia egualitarista, che intende la comune dignità degli uomini come una identità esistenziale. Che tutti gli uomini siano uguali per dignità essenziale è vero. Ciò però non significa che siano uguali per dignità morale, né che siano uguali per condizioni di vita. Quando le diversità non sono causate da ingiustizie, rappresentano un valore per la società intera perché non tutti gli uomini hanno gli stessi talenti e non tutti sono capaci dello stesso impegno. Quando prevale il centralismo sia politico che economico si corre il rischio di intendere l’uguaglianza come appiattimento garantito dal sistema. Più o meno tutte le forme di welfare statalistico che abbiamo vissuto negli ultimi decenni hanno fatto questo errore. L’ideologia egualitarista fa poi un altro errore di impostazione: pensa che le disuguaglianze sociali provochino le disuguaglianze morali, mentre è vero il contrario. Non è la povertà a produrre immoralità ma l’immoralità a produrre povertà. (…)