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STATI UNITI

Sconfitta Dem: bocciato l’aborto fino alla nascita

In una battaglia storica il Senato Usa ha bocciato (48-46) la proposta dei Democratici di liberalizzare l’aborto fino alla nascita e di azzerare le vittorie pro vita degli ultimi decenni. Decisivo il voto di Joe Manchin (Dem). Sollievo per i gruppi pro life. E Biden non ha potuto accontentare le lobby abortiste.

Esteri 02_03_2022 English

Ieri sera, martedì 1 marzo, Joe Biden ha tenuto il suo discorso sullo “stato dell’Unione”, un appuntamento storico che ha visto impegnati tutti i presidenti degli Stati Uniti dalla fondazione del Paese. L’attuale presidente avrebbe voluto, al suo primo discorso alla Nazione, dopo 12 mesi di continuo calo dei consensi (36%, come i soli Trump e Ford prima di lui), celebrare almeno la vittoria di una legislazione federale pro-aborto (Women’s Health Protection Act). Il Senato però ha bocciato la proposta dei Democratici proprio lunedì 28 febbraio e nemmeno quest’annuncio si è potuto fare.

Quella di lunedì al Senato Usa è stata una battaglia storica. Dopo l’approvazione della Camera lo scorso settembre (218-211), la proposta dei Democratici di liberalizzare l’aborto a livello federale avrebbe potuto azzerare le battaglie pro life degli ultimi decenni. Il testo, bocciata la procedura per passare al voto sul testo stesso, grazie alla compattezza dei Repubblicani e al voto del senatore Democratico Joe Manchin (48 voti contrari contro 46 favorevoli), prevedeva: l’eliminazione di tutte le leggi statali e federali sul consenso dei genitori in relazione all’aborto delle minorenni; il divieto di tutte le leggi che prevedono non solo un consenso della madre che intende abortire ma anche pause di riflessione e presa visione delle immagini digitali del proprio figlio; il divieto per gli Stati di approvare leggi per proteggere i bambini sino alle 20 settimane (come avviene per la Corea del Nord, la Cina, il Vietnam, Singapore, il Canada e i Paesi Bassi); il licenziamento per i medici e le infermiere che si oppongono all’aborto e il taglio di tutti i fondi pubblici per gli ospedali di ispirazione religiosa che non eseguono aborti nelle proprie strutture; l’eliminazione di ogni limite al finanziamento federale diretto, con i soldi dei contribuenti, alle strutture che compiono gli aborti nel Paese.

La proposta dei Democratici avrebbe anche eliminato ogni divieto, introdotto dai singoli Stati, nei confronti degli aborti fino alla nascita, aborti selettivi (in base al sesso) e tutte le limitazioni statali ai finanziamenti degli aborti con fondi pubblici. È ben facile capire che l’approvazione del Women’s Health Protection Act (WHPA), avrebbe comportato una rivoluzione copernicana nell’intero sistema americano e persino potuto inficiare la discussione e decisione della Corte Suprema sulle diverse leggi pro life. Tutti i Repubblicani hanno votato a favore della vita e tutti i Democratici hanno votato a favore della legislazione pro aborto, tranne Manchin, mentre le assenze erano tre per ogni parte politica.  Durante il dibattito, non sono mancate le voci che hanno messo a nudo gli interessi dei lobbisti delle multinazionali abortiste, tra essi il senatore Ben Sasse, uno schietto sostenitore della vita, che ha denunciato come la legge avrebbe reso felice solo “l’esercito di lobbisti di Planned Parenthood”.

I movimenti pro life americani hanno accolto la bocciatura della legislazione federale pro aborto con entusiasmo. Alliance Defending Freedom (ADF) ha sottolineato come la legge avrebbe messo in pericolo le donne e i bambini non ancora nati, proibendo la maggior parte dei ragionevoli regolamenti statali sull’aborto attualmente in vigore. Secondo Jeanne Mancini, presidente della March for Life, la legge avrebbe liberalizzato l’aborto “fino al momento della nascita”, mentre la presidente di Live Action, Lila Rose, ha denunciato come i Democratici pensavano che il modo di aiutare gli americani in difficoltà sarebbe stato quello di aiutare “l’uccisione dei loro figli”. Lunedì stesso, con un articolo scritto di suo pugno sul National Catholic Register, il direttore della diffusissima catena televisiva EWTN aveva descritto la proposta dei Democratici come il più estremo tentativo di legalizzare l’aborto nella storia americana. Lo scorso 25 febbraio, è bene ricordarlo, l’ufficio pro vita della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti (USCCB) aveva promosso una campagna pubblica nella quale si invitavano i propri fedeli a scrivere ai senatori dei loro Stati perché votassero contro il Women’s Health Protection Act. Nell’e-mail, l’ufficio dei vescovi ricordava come la legge avrebbe imposto “l’aborto libero a livello nazionale in ogni fase della gravidanza”, vietato “le leggi pro-vita a livello nazionale e in ogni Stato e governo locale” e costretto gli americani “a sostenere finanziariamente gli aborti negli Stati Uniti e all’estero”.

Le testate giornalistiche, tra cui Newsweek e RawStory, hanno rapidamente criticato Manchin per aver votato con il popolo americano invece che con la lobby pro aborto, pubblicando titoli che descrivevano il suo voto come “vergognoso” e sostenuto che “Joe Manchin potrebbe aver contribuito a uccidere la Roe vs Wade”. Pericolo scampato. Dopo la nomina dell’abortista Ketanji Brown Jackson per la Corte Suprema, Biden voleva presentarsi ieri alla nazione come il presidente più abortista della storia, ma i sostenitori della vita hanno prevalso. Visti i sondaggi, dal prossimo novembre la Camera e il Senato Usa potrebbero avere solide maggioranze pro life e pro family, l’unica buona notizia per la nazione americana che speriamo Biden debba ricordare al Paese il prossimo anno.