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ATTACCO A ISRAELE

Medio Oriente, i problemi da risolvere per disinnescare la guerra

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L'attacco di Hamas è stato devastante ed è l'ultimo di una lunga serie di assalti a sorpresa allo Stato ebraico. I problemi che la diplomazia ora deve risolvere sono, prima di tutto, la liberazione degli ostaggi e la fine della solidarietà ai gruppi terroristi.

Esteri 10_10_2023
Bombardamenti su Gaza

“Al peggio non c’e fine” dice un proverbio siciliano che in un italiano corretto è “Il peggio non ha fine”. Con foschi presagi sovviene proprio nel momento in cui è riesploso il conflitto aperto israelo-palestinese con la discesa in campo dei miliziani di Hamas – un compendio di guerra e terrorismo, di violenza materiale e psicologica, di preparazione accurata e di tempismo calcolato – con il sostegno dichiarato del paese islamico sostenitore, l’Iran, e ovvio dei paesi arabi finanziatori, l’emirato del Qatar in primis. E con il compiacimento di paesi molto interessati al disorientamento e all’aggravamento degli equilibri internazionali, quali la Russia, o ipocritamente “neutrali”, nazioni asiatiche, africane e latino-americane, sue alleate o sostenitrici  nell’ambito di organismi internazionali, al di fuori dell’Onu e apertamente critiche dell’Occidente, Stati Uniti ed Europa.

Dinanzi alla imperdonabile sottovalutazione del pericolo Hamas in un contesto internazionale delicatissimo, molto controverso, caratterizzato da una guerra in corso per l’invasione russa dell’Ucraina; e all’interno politicamente teso e conflittuale per le divisioni politiche tra avversari e sostenitori del premier Netanyahu – per cui si è parlato di “sorpresa” del controspionaggio israeliano – due problemi esigerebbero una soluzione, rapida, urgente, attraverso il più ampio coinvolgimento della diplomazia occidentale (si è già attivato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani): si tratta della liberazione degli ostaggi israeliani catturati, bambini e donne specialmente, tutti ora trattenuti a Gaza; e della rinuncia della “solidarietà” ai miliziani palestinesi da parte dei combattenti Hezbollah libanesi, o al contenimento di quella di filo-palestinesi in altri paesi arabi, Siria e Iraq i più esposti.

La mancata o ritardata soluzione dei due problemi influenzerà certamente la durata della guerra, al cui prolungamento sono invece interessati iraniani e russi, anche per conseguire il fallimento delle trattative in corso fra  Israele e Arabia Saudita in chiave anti-Iran, ben viste invece dagli Stati Uniti. Il rischio è che gli strascichi di questa guerra si paleseranno per diverso tempo, come avvenne per l’intifada. Che cominciò il 9 dicembre 1987 pochi giorni dopo l’atterraggio di un miliziano palestinese a bordo di un parapendio presso una base militare israeliana in sud Libano dove fece una strage. Fu quella la dimostrazione della vulnerabilità di un apparato di sicurezza ritenuto perfetto. La terza Intifada, denominata “dei coltelli”, ebbe inizio ai primi di ottobre del 2015.

Oltre alla ormai scontata vulnerabilità, questa operazione di Hamas va ricordata per la codardia nel deliberato oltraggio religioso del giorno del riposo ebraico, il sabato, nell’anno cinquantenario dell'inizio (1973) della terza guerra araba allo Stato ebraico, persa come le due precedenti, nel giorno sacro del Kippur. Per “vanificare una possibile resistenza”, è stata la spiegazione dei terroristi ; certo per sfruttarne la “sorpresa” e ampliare le devastanti conseguenze umanitarie. In effetti per evitare di riconoscere la sconfitta. Perché, come ha affermato papa Francesco, le guerre, le violenze non producono vittoria alcuna.

Sulle cause profonde della crisi israelo-palestinese ho scritto molto, un capitolo del mio recente libro Verità e beffe del secolo passato è proprio dedicato a “Gerusalemme l’incompresa”. Ho illustrato norme giuridiche e tradizioni sociali palestinesi che scaturiscono da precetti religiosi islamici, con i quali mi sono confrontato in trent’anni di esperienza professionale in Medio Oriente. In un mondo globalizzato composto da etnie e popolazioni diverse, non possono essere proposte, e tanto meno applicate, perché se non di manifesta sopraffazione, intrise di esclusivismo e di violenza, anche morale. Così Hamas chiedendo la piena sovranità della Palestina, denuncia l’usurpazione da parte di Israele, l’invalidità delle  risoluzioni dell’Onu, la prepotenza dello Stato ebraico.

Solo dei compromessi fra uomini di buona volontà e con veri, sinceri intenti di pace, possono regolare, sovrintendere ai rapporti tra Stati vicini, specie su un territorio che, per motivazioni anche religiose, considerano proprio. Se il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese nel maggio 2008 ha rigettato un onesto compromesso territoriale con Israele, con la condivisione di Gerusalemme capitale di due Stati presentatagli dal premier israeliano Ehud Olmert – ne parla con dovizia di dettagli l’allora segretaria di Stato americana Condoleezza Rice in un libro di memorie pubblicato nel 2011 -  non è possibile prevederne ragionevolmente di migliori. La Rice la ricorda come “l’ultima possiibilità” spiegata invano quell’anno dal presidente George W. Bush.

Ma vale ricordare pure quel che avvenne il 23 dicembre 2000, quando Bill Clinton ,allora presidente Usa, dinnanzi al rifiuto di Arafat del compromesso territoriale avanzato da Israele che riguardava il 97% della Cisgiordania, definì quel gesto “fatale per il processo di pace”, un “errore di dimensioni storiche”. E ad Arafat che “confuso da sembrare non in grado di controllare gli avvenimenti” gli esprimeva gratitudine definendolo “un grande uomo”, Clinton rispose: ”No, sono un fallimento e questo grazie a lei”.

Hamas, movimento politico-militare che controlla da anni la Striscia di Gaza, dalla quale lo Stato ebraico si era ritirato (come dal Sud Libano, su pressione delle “mamme in lutto”) ha sempre sostenuto una posizione ostile ad ogni negoziato con Israele, propugnando e attuando contro di esso la lotta armata, senza escludere il terrorismo, fino alla sua totale distruzione. Mentre Abu Mazen, erede di Arafat , ha mantenuto nei suoi confronti una posizione ambigua, cercando comunque la debilitazione di Israele con mezzi diplomatici operando in sede Onu, per non perdere il sostegno finanziario americano ed europeo. Una situazione che quanto meno dovrebbe far riflettere il mondo occidentale, e non pochi italiani, specie ora che Hamas ha praticato la cattura di bambini come ostaggi.