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LO STUDIO DI DEAN E SPEARS

L'unico pericolo per l'umanità è la denatalità. Parola di economisti

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Il vero rischio di estinzione per l’umanità, l’unico prevedibile e dimostrabile, è la denatalità. Lo affermano anche due economisti laici e progressisti: Dean Spears e Michael Geruso, dell’Università del Texas.

- Italia a rischio estinzione di Luca Volontè

Vita e bioetica 30_07_2025
Los Angeles

Il vero rischio di estinzione per l’umanità, l’unico prevedibile e dimostrabile, è la denatalità. Finché lo dicevano ricercatori e docenti cattolici, il loro passava per “pregiudizio” religioso. Finché lo dicevano i conservatori, il loro è “pregiudizio” nazionalista (“il numero è potenza”). Finché lo diceva Elon Musk, “è pazzo” e non va ascoltato. Se però iniziano a dirlo anche due economisti laici e progressisti, allora forse qualcuno si metterà in ascolto. I due studiosi in questione sono Dean Spears e Michael Geruso, dell’Università del Texas, con il libro After the Spike: Population, Progress, and the Case for People, (Dopo il picco: popolazione, progresso e l’importanza delle persone).

L’allarme dei due economisti parte da un dato reale, confermato dalle statistiche delle Nazioni Unite. Il tasso di fertilità globale (numero di bambini che una donna dovrebbe avere nel corso della sua vita) è sceso fino a 2,25, dal 2,72 dell’inizio del secolo, il dato finora più basso della storia, appena sopra il tasso di sostituzione (2,1) che mantiene stabile la popolazione mondiale. Ovviamente il tasso di fertilità è disomogeneo. Il 6,13 della Somalia non è pari allo 0,72 della Corea del Sud, la nazione che fa meno figli al mondo, attualmente. Ma la tendenza, in tutto il mondo, è quella di fare sempre meno figli. Spears e Geruso calcolano che l’umanità raggiungerà il culmine della sua espansione attorno alla fine del secolo, quando raggiungerà i 10 miliardi di persone. Ma poi inizierà a contrarsi altrettanto rapidamente. Se tutto il mondo avesse il tasso di fertilità degli Usa, cioè 1,6, l’umanità potrebbe estinguersi del tutto entro il 2500.

Spears e Geruso non prendono neppure in considerazione l’idea di un’estinzione, in senso letterale, ma mostrano quanto l’umanità potrebbe perdere, se la popolazione del mondo dovesse calare. Ed è qui che sfidano il pensiero imperante da tutto il Novecento: quello della “bomba demografica”. Ai pessimisti che, come Paul Ehrlich, predicevano un collasso economico dovuto alla sovrappopolazione, i due economisti americani oppongono dati e fatti inoppugnabili: col crescere dell’umanità, la fame nel mondo si è ridotta (in proporzione alla popolazione mondiale), il benessere si è diffuso, l’innovazione tecnologica ha visto un’accelerazione. “Le vere fonti rinnovabili sono le persone” dicono Spears e Geruso, perché è dalle menti umane che arrivano le soluzioni, anche per moltiplicare le risorse. Una contrazione dell’umanità, ci priverebbe di sempre più menti.

Tre esempi aiutano capire come la sovrappopolazione non sia nociva neppure per l’ambiente, né per la salute umana, due concetti ripetuti molto spesso da scienziati con sensibilità ecologista. Primo esempio eclatante: nel 2013, lo smog in Cina era tra i peggiori al mondo. Nel decennio successivo la popolazione è cresciuta di 50 milioni, ma l’inquinamento atmosferico da particolato si è dimezzato. Secondo esempio: le emissioni di carbonio pro capite della Gran Bretagna si sono dimezzate dagli anni ‘50. Quindi, con buona pace di chi lamenta un’impronta ecologica insostenibile per l’ambiente, «l’impatto climatico di un bambino in più nel corso della vita è in calo», osservano gli autori. E per quanto riguarda la salute umana e la nutrizione, terzo esempio: con la crescita della popolazione indiana, attualmente la più numerosa al mondo, è cresciuta anche l’altezza media dei suoi bambini, grazie a una migliore alimentazione e a migliori condizioni igienico-sanitarie.

Demoliti i miti dell’ambientalismo, i due economisti dell’Università del Texas passano alla pars costruens, smentendo, anche qui, una serie di soluzioni facili. Dal caso più eclatante del regime comunista di Ceausescu in Romania, che puntava ad una natalità forzata, si apprende che nemmeno monitorando ogni donna con la polizia segreta, incentivando le nascite e punendo le donne meno fertili si riescono ad ottenere risultati apprezzabili: dopo un breve baby boom, il tasso di fertilità rumeno ha di nuovo ripreso la sua tendenza calante durante tutti gli anni 70 e 80. Nelle moderne democrazie scandinave, le più generose in termini di asili nido e di servizi per l’infanzia, il tasso di fertilità resta ancora fra i più bassi d’Europa. In sintesi: lo Stato non è di grande aiuto.

La soluzione parte, in realtà, soprattutto dalla cultura. O, come dicono i due economisti, dal senso di urgenza. Siamo colpiti da mille paure, anche ingigantite dai media, dalla crisi climatica alle pandemie, fino al pericolo di inverno nucleare. Ma mai viene percepita l’urgenza di scongiurare un inverno demografico. Quindi manca la domanda stessa di una soluzione, abituati ancora, come siamo, a pensare alla sovrappopolazione come un problema. E non al suo opposto.