L’altare verso il popolo, una novità della nostra epoca
I testi e le chiese dei primi secoli cristiani ci dicono che non esistevano altari e celebrazioni “verso il popolo”. La loro introduzione, come possibilità, non si deve al Vaticano II, che mai ne parla, bensì a uno strappo dell’Inter Oecumenici. Vescovi e liturgisti hanno fatto il resto, proibendo l’orientamento “ad Deum”.
Se c’è un dato certo che emerge con grande chiarezza dallo studio delle chiese e dei testi cristiani dei primissimi secoli della Chiesa (vedi qui) è il fatto che i luoghi di culto venivano costruiti, fatte salve alcune eccezioni, sull’asse est-ovest, con l’abside prevalentemente rivolta a est. L’altare era collocato in modo che il vescovo e i presbiteri potessero sacrificare rivolti verso oriente: quando l’abside era sul lato orientale, allora i ministri sacri erano rivolti anche verso l’abside; quando invece, meno frequentemente, l’abside era rivolta ad ovest, allora si celebrava rivolti verso la facciata della chiesa, che risultava essere collocata sul versante orientale.
Quello che non emerge affatto da queste ricostruzioni storiche è che sia mai esistita una celebrazione “verso il popolo” e, di conseguenza, un altare “verso il popolo”. Detto in altri termini: il popolo non è mai stato considerato quale punto di orientamento della preghiera pubblica della Chiesa, come anche della preghiera del fedele. Che la Chiesa come popolo gerarchicamente ordinato fosse il soggetto di questa preghiera era fuori discussione; ma, proprio per questo, il suo punto di orientamento non era in se stesso, ma in Dio.
Si potrebbe obiettare – e di fatto si obietta – che “Dio è in ogni luogo” e dunque non avrebbe senso orientare fisicamente la preghiera. Ma non era affatto questa la convinzione dei cristiani dei primi secoli; e non perché non credessero all’onnipresenza divina, bensì perché erano assai più consapevoli e attenti rispetto a noi nel riconoscere il simbolismo cosmico, conseguenza dell’atto creativo della Sapienza eterna, e la sua importanza nei confronti dell’homo religiosus. Il segno del sole non ha lasciato indifferente alcun popolo antico, nemmeno i cristiani, che del significato di questo segno cosmico conoscevano ormai il senso pieno, nel suo essere espressione della potenza di Cristo risorto così come dell’orientamento di tutta la storia umana verso la Parusia. Il senso dell’orientamento della preghiera, e dunque degli edifici sacri e degli altari, non lo si comprende di certo a partire dall’onnipresenza divina, bensì a partire dalla nostra umanità, che è collocata in un universo simbolico, uscito da Dio, Sapienza eterna. Il nostro tempo fa tremendamente fatica a ricomprendere questa verità, perché il nostro rapporto con l’universo si è ridotto drasticamente al suo uso e consumo o, al massimo, alla sua “comprensione” in termini meramente fisico-matematici. La realtà è però che culto e cosmo si incontrano e si illuminano reciprocamente proprio nel loro riferimento intimo alla trascendenza da cui derivano e a cui tendono. E così est geografico e orientamento della preghiera si uniscono armonicamente.
Dunque, non è mai esistito, fino a tempi molto recenti, alcun altare orientato verso il popolo, né un tale orientamento sarebbe stato compreso. Anche quando il ministro sacro era effettivamente orientato verso la navata, lo faceva perché la Chiesa aveva la facciata verso est, anziché verso ovest. La ragione è persino elementare per l’uomo religioso e per il cristiano in particolare: la preghiera è rivolta a Dio, il sacrificio offerto dal sacerdote sale al cospetto dell’Altissimo, l’altare è segno dell’altare del Cielo che sta davanti alla Maestà divina: solo Dio è il punto d’orientamento della preghiera della Chiesa. Pertanto il punto fisico di questo orientamento dev’essere capace di esprimere questa realtà trascendente, secondo un linguaggio cosmico universale. E il “popolo” non ha certamente questa caratteristica. L’incomprensione di questo punto è ormai talmente radicata che persino il tradizionale orientamento verso Dio/est viene compreso solo negativamente, come un “dare le spalle” al popolo; interpretazione che conferma ulteriormente come ormai il popolo sia diventato, per la prima volta nella storia, non solo della Chiesa, ma anche delle religioni, il punto focale dell’azione cultuale.
Da dove viene dunque questa idea di un altare verso il popolo? La risposta a questa domanda (che continuerà anche la prossima domenica) deve prima sgomberare il campo da un luogo comune duro a morire, ossia che questo nuovo orientamento sia stato voluto dal Concilio Vaticano II. In realtà è accaduto come per altri cambiamenti liturgici: la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium (SC), non dice una sola parola su questo tema, né per quanto riguarda l’orientamento, né per quanto concerne la costruzione di nuovi altari. È l’Istruzione emanata dalla Sacra Congregazione dei Riti e dal Consilium per l’applicazione della Costituzione liturgica, Inter Oecumenici (26 settembre 1964), a prendersi una licenza e introdurre per la prima volta l’espressione versus populum riferita alla celebrazione liturgica: «È bene che l’altare maggiore sia staccato dalla parete per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo». Non si comprende quale punto di SC si stia qui applicando, dal momento che, come dicevamo, la Costituzione liturgica non ne parla minimamente; ad ogni modo, si può notare che l’Istruzione parla ancora di una possibilità, non di un obbligo. Il testo è stato recepito nell’Ordinamento Generale del Messale Romano e, nella sua edizione ancora in fase di studio, nell’anno 2000, riporta l’aggiunta, apparentemente restrittiva: «la qual cosa è desiderabile ovunque sia possibile».
Il carattere non obbligatorio degli altari staccati dalla parete e della celebrazione verso il popolo era già stato messo in luce dall’allora presidente del Consilium per l’applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia, il cardinale Giacomo Lercaro, che il 25 gennaio 1966 spiegava a tutti i presidenti delle Conferenze episcopali nazionali che «per una liturgia vera e partecipe, non è indispensabile che l’altare sia rivolto versus populum: nella Messa, l’intera liturgia della parola viene celebrata dalla sede, dall’ambone e dal leggio, quindi rivolti verso l’assemblea; per quanto riguarda la liturgia eucaristica, i sistemi di altoparlanti rendono la partecipazione abbastanza possibile. In secondo luogo si dovrebbe pensare seriamente ai problemi artistici e architettonici essendo questi elementi protetti in molti paesi da rigorose leggi civili». Detto e smentito: in tutte le chiese l’altare versus populum fu di fatto imposto, arrivando persino ad abbandonare e demolire altari antichi.
La non obbligatorietà emerge anche dalla risposta del 25 settembre 2000 della Congregazione per il Culto Divino, che appunto chiariva come l’indicazione di Inter Oecumenici «non costituisce una forma obbligatoria, ma un suggerimento». Riflettendo su come diversi fattori possano sconsigliare di apportare queste modifiche, concludeva che «la posizione verso l’assemblea sembra più conveniente […] senza escludere però l’altra possibilità». Le stesse rubriche del Messale romano vigente richiedono che il sacerdote, al momento dell’Orate, fratres, della Pax Domini, dell’Ecce Agnus Dei e dell’Orémus che introduce l’Orazione dopo la Comunione, sia «rivolto verso il popolo», rubrica che non avrebbe senso se tutta la celebrazione si svolgesse necessariamente già verso il popolo.
Possiamo dunque constatare una scansione a cui siamo purtroppo abituati quanto a riforme liturgiche: il Vaticano II non parla di altare e celebrazione versus populum; l’Istruzione che dovrebbe semplicemente applicare il documento sulla liturgia ne introduce la possibilità; vescovi e liturgisti ne impongono l’obbligo, proibendo l’orientamento tradizionale, che per comodità chiamiamo ad Deum. Va da sé che il ritornello di oggi e di allora non è altro che quello di una presunta migliore partecipazione del popolo, così che chi difende l’orientamento classico possa e debba essere avversato come “nemico del popolo”. Anche questo è un déjà vu di ogni rivoluzione che si rispetti. Alla quale però non può mancare il supporto di plausibilità offerto dalla scienza. Come vedremo.
I doni dello Spirito Santo – Il testo del video
Nella Summa san Tommaso spiega che «i doni dello Spirito Santo sono abiti che servono a predisporre l’uomo a obbedire prontamente allo Spirito Santo». La differenza con le virtù. Noi e l’iniziativa divina: l’immagine della barca a vela.
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Le chiese dell’antichità erano costruite su un asse con orientamento est-ovest, di modo che l’abside, nella cui prossimità era posto l’altare, fosse ordinariamente collocata ad oriente, simbolo del Sole che sorge: Gesù Cristo.
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Il corpo è chiamato a partecipare alla preghiera in ragione del rispetto dovuto a Dio. L’orientamento della preghiera è centrale in ogni religione e si lega a quello degli altari. L’importanza di pregare volgendosi a Oriente e il suo significato nuovo nel cristianesimo.

