Abusi, i fantasmi di Chiclayo inseguono papa Leone
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Un duro comunicato della presunta vittima di abusi sessuali in Perù contesta la dispensa dal sacerdozio concessa dal Papa a padre Lute, il prete accusato. Così si impedisce di appurare la verità e di rendere giustizia: una pessima scelta.
- Il testo integrale del comunicato
«Il 13 novembre 2025 la Chiesa ci ha comunicato per iscritto che il Papa ha concesso la dispensa dallo stato clericale al sacerdote di Chiclayo, Eleuterio Vasquez Gonzalez, che abusò sessualmente di noi quando eravamo bambine». Inizia così il comunicato stampa – un duro atto d’accusa - firmato da Ana Maria Quispe Diaz, la presunta vittima che ha denunciato gli abusi subiti al tempo in cui Robert Prevost, oggi papa Leone XIV, era vescovo della diocesi di Chiclayo, nel nord-est del Perù.
E che oggi chiama in causa proprio papa Leone perché oltre a non avere fatto svolgere una seria indagine quando nel 2022 ha raccolto la denuncia, concede ora la dispensa a padre Lute (questo il nomignolo con cui era noto) che impedisce vi sia un processo che accerti le vere responsabilità dell’ormai ex sacerdote e che nega quindi giustizia alle presunte vittime. Al punto che nel comunicato (qui il testo integrale), la Quispe annuncia «l’avvio di azioni legali presso le autorità canoniche competenti contro tutti i funzionari ecclesiastici che hanno partecipato o sono stati responsabili di tali negligenze», con riferimento al «primo responsabile del caso, il vescovo Robert Prevost».
Si tratta di una svolta clamorosa di un caso emerso poco più di un anno fa - e che la Bussola aveva ricostruito nei dettagli - su cui, purtroppo, non si è mai voluto fare veramente quella chiarezza che noi avevamo auspicato all’inizio del pontificato di papa Leone, lo scorso maggio.
Si ricorderà che la vicenda riguarda i presunti abusi subiti da tre sorelle in momenti separati tra il 2006 e il 2010 quando avevano tra i 9 e gli 11 anni, ma secondo Ana Maria Quispe, la più grande delle tre, diverse altre sarebbero le vittime di padre Lute, che aveva l’abitudine di portare i bambini nella fattoria teatro delle violenze. La denuncia all’allora vescovo Prevost fu fatta una prima volta telefonicamente nel 2020, ma l’emergenza Covid fece sì che l’incontro personale scivolasse alla primavera del 2022. Prevost le indirizzò al centro di ascolto delle vittime della diocesi, ma la Quispe ha sempre accusato la diocesi di non aver mai svolto un’inchiesta seria sulle accuse. La diocesi si è sempre difesa affermando che tutto è stato svolto secondo le regole e che dopo un primo rapporto inviato a Roma, ce ne è stato un secondo relativo alla riapertura dell’indagine voluta dal successore di Prevost.
Ma è stato l’attuale delegato della diocesi di Chiclayo per il processo di padre Lute, il cappuccino canonista padre Giampiero Gambaro, in un incontro con le sorelle Quispe lo scorso 23 aprile ad ammettere che la prima indagine è stata «gravemente carente, superficiale e piena di errori procedurali». L’indagine canonica, ha detto Gambaro, si è limitata a una procedura formale senza contenuto, senza domande alle vittime né all’imputato stesso, che «non ha risposto a nulla»; e quindi «la rabbia delle vittime è legittima».
Se questo è vero e perché ciò è accaduto è esattamente quello che avrebbe dovuto chiarire l’allora cardinale Prevost quando la vicenda è emersa l’anno scorso. Invece la linea di difesa è stata quella di parlare di una vendetta di alcuni elementi del Sodalitium Christiane Vitae, l’associazione peruviana soppressa lo scorso 14 aprile a causa delle accuse di abusi e scandali finanziari di cui alcuni leader si sarebbero resi responsabili. Effettivamente Prevost, prima da vescovo a poi da cardinale, si è molto adoperato prima per perseguire i responsabili del Sodalitium e poi per sciogliere l’associazione, collaborando strettamente con i due giornalisti – Paola Ugaz e Pedro Solinas – che avevano condotto una documentata inchiesta giornalistica dando voce alle vittime.
Proprio i due giornalisti, a Roma nei giorni dell’inizio del Pontificato di Leone XIV, hanno catechizzato tutti i giornalisti accorsi per l’evento garantendo sull’impegno di Prevost contro gli abusi sessuali e accusando di trame oscure chiunque abbia sollevato il caso delle bambine di Chiclayo e di padre Lute.
Proprio a loro si riferisce Ana Maria Quispe nel comunicato affermando che «abbiamo dovuto assistere, negli ultimi mesi, a come alcuni media e giornalisti molto influenti abbiano manipolato la nostra testimonianza per nascondere» gli errori della diocesi di Chiclayo.
Malgrado il grande impegno dei due giornalisti peruviani, domande e perplessità sui fatti di Chiclayo sono restate nell’aria ed è anche per questo che è nata l’idea del libro biografia+intervista (León XIV, Ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI) scritto dalla giornalista americana di Crux, Elise Ann Allen, peraltro molto vicina ai due giornalisti peruviani dell’inchiesta. Nel libro, curiosamente pubblicato soltanto in spagnolo e presentato in Perù, si dedica infatti un grande spazio alla vicenda delle sorelle Quispe, ma alla fine si evade ancora una volta la domanda sulle accuse di non avere svolto una vera indagine dopo la denuncia del 2022. Peraltro i giornalisti Giorgio Meletti e Federica Tourn, in un lungo articolo (L’angoscia di papa Prevost) dedicato proprio alla vicenda di Chiclayo, analizzando accuratamente il libro vi hanno trovato diverse incongruenze. Insomma quella che doveva essere una operazione-chiarezza ha fatto nascere ulteriori domande e perplessità.
E ora anche il sì alla richiesta di padre Lute di dispensa dal sacerdozio. Anche se nella lettera - consegnata alle sorelle Quispe il 13 novembre proprio da padre Gambaro – si chiarisce che tale decisione «non deve essere interpretata come una assoluzione», resta il fatto che questo impedirà un processo canonico al sacerdote accusato di abusi sessuali e quindi di appurare la verità. E anche se la richiesta di dispensa da parte di un sacerdote in questi casi è prevista dal Codice di Diritto Canonico, concederla è stata una pessima idea. «Evitare le indagini e chiudere i procedimenti tramite dispense che impediscono il giudizio penale canonico – afferma giustamente Ana Maria Quispe nel comunicato – è una strada che non dovrebbe mai essere percorsa, perché lascia senza tutela coloro che hanno avuto il coraggio di denunciare e di cercare la luce in mezzo al dolore». E ancora: «Le vittime spesso vengono messe in dubbio, stigmatizzate, accusate di mentire e sottoposte a persecuzioni pubbliche. Non avere un’indagine e una sentenza che sostengano la nostra denuncia significa lasciarci senza difesa di fronte alle accuse che riceviamo quando decidiamo di parlare».
Insomma il caso Chiclayo, anziché essere chiuso con una operazione di trasparenza e di giustizia – come da noi auspicato - che avrebbe potuto sanare anche eventuali negligenze passate, ora promette di diventare un motivo di grave imbarazzo per questo pontificato, perché la Quispe, oltre alla suddetta denuncia intende ricorrere alle associazioni internazionali di vittime di abusi e alla Commissione vaticana per la Protezione dei minori.
Certo, è possibile che alla pubblicità di questo caso non sia estraneo l’ambiente del Sodalitium, ma il punto è che ci sono dei fatti: delle presunte vittime che hanno denunciato un sacerdote e che hanno detto che non c’è stata una vera indagine dopo la loro denuncia; il sacerdote accusato che ha chiesto la dispensa dal sacerdozio che gli è stata accordata, evitandogli il processo. Se non ci sarà un qualche ripensamento dunque, di questa vicenda nulla sarà chiarito. Resta soltanto la percezione della negligenza di chi avrebbe dovuto fare chiarezza e non l’ha fatta.
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