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persecuzioni

L'islamismo torna a colpire in Nigeria, 200 cristiani uccisi

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Fra il 13 e il 14 giugno l'ennesimo massacro perpetrato dai pastori Fulani. E c'è chi minimizza sostenendo che a muoverli non è l'odio religioso ma lo «stress ambientale», trasformando i carnefici in vittime del cambiamento climatico.

Libertà religiosa 23_06_2025

Dall’inizio di giugno centinaia di persone sono state uccise in Nigeria, nella “Middle belt”, l’ampia fascia centrale del Paese. Le vittime sono in gran parte cristiani uccisi da gruppi di giovani musulmani prevalentemente di etnia Fulani. I massacri si sono concentrati in uno degli Stati della fascia centrale, il Benue. In due soli giorni, il 13 e il 14 giugno, nel corso degli attacchi ad alcuni villaggi sono morte più di 200 persone. Neanche i bambini sono stati risparmiati. Migliaia di cristiani si sono dati alla fuga, sapendo per esperienza di non poter contare sulla protezione delle forze di sicurezza e dell’esercito la cui presenza finora a nulla è valsa. Alcune centinaia di sfollati hanno cercato rifugio nella missione cattolica di Yelwata e sono stati accolti in una struttura della parrocchia di san Giuseppe. Credevano di essere al sicuro, ma i Fulani sono arrivati anche lì, dopo il tramonto,  ed è stato un massacro. Non contenti, hanno devastato anche la struttura – ha raccontato all’agenzia di stampa Fides padre Remigius Ihyula, Coordinatore della Commissione Sviluppo, Giustizia e Pace della diocesi di Makurdi – «i sopravvissuti mancano ora di tutto, dal cibo ai vestiti, dai materassi alle coperte e ai medicinali».

Nel Benue e in tutta la fascia centrale della Nigeria attacchi, razzie, incursioni sono frequenti e si verificano sempre più spesso. Lì infatti entrano in contatto e sono costrette a convivere molte etnie, diverse per struttura sociale, economia e religione: quelle del nord, per lo più Fulani, dedite alla pastorizia e, come la maggior parte degli abitanti dei 12 Stati settentrionali della federazione, convertite all’islam nei secoli della colonizzazione araba a partire dal VII secolo; e quelle meridionali, agricole, molte delle quali convertite al cristianesimo fin dal XV secolo con l’arrivo dei primi missionari europei nella regione.

Le tensioni tra pastori e agricoltori caratterizzano tutta la storia del continente africano e sono causa di conflitti tribali tra i più cruenti e insanabili perché praticano modi di produzione incompatibili. I pastori transumanti o semi nomadi spostano le loro mandrie cercando pascoli e punti d’acqua di stagione in stagione. Nel farlo, quando avvicinano il bestiame alle comunità stanziali, danneggiano i terreni coltivati, inquinano le sorgenti e non di rado, se riescono, rubano raccolti e bestiame. Gli agricoltori cercano di impedirlo, si difendono, organizzano spedizioni punitive e per recuperare il bestiame sottratto. È uno stato di endemica conflittualità che vede gli uni e gli altri a volte prevalere a volte soccombere.

Ma in Nigeria il fattore religioso si assomma a quello economico e sta rendendo ancora più difficile, conflittuale la convivenza tra pastori e agricoltori. Inoltre l’estremismo islamico, dagli Stati del nord est dove ha messo radici e all’inizio del secolo ha dato vita a due gruppi armati – Boko Haram e Iswap – è penetrato anche tra i musulmani che vivono nella fascia centrale e ha fatto presa soprattutto tra i giovani Fulani, rendendoli più agguerriti e determinati, legittimati dalla missione di contribuire al jihad, la guerra santa islamica. Assai meglio armati dei contadini, imperversano su territori sempre più estesi.

Ormai da tempo è uno stillicidio quotidiano di morti quando non sono stragi, come è appena successo. A denunciarlo è la Chiesa cattolica che inoltre respinge le narrazioni intese a minimizzare o escludere il fattore religioso come quella della Beacon Consulting Limited, una società nigeriana di consulenza per la gestione dei rischi, che di recente ha pubblicato dati allarmanti sul deterioramento della situazione nella fascia centrale e nel Benue in particolare, ma spiega il fenomeno escludendo che l’islam giochi un ruolo. Il suo direttore, Kabir Adamu, ha infatti dichiarato che il fattore critico è dato «dal degrado ambientale, in particolare dalla desertificazione provocata dal cambiamento climatico che spinge verso sud i pastori dalle regioni settentrionali. La rapida crescita della popolazione in queste aree intensifica ulteriormente la competizione per terre e acqua limitate, creando un circolo vizioso di stress ambientale, migrazione e inasprimento dei conflitti».

È una spiegazione che ha convinto in certi ambienti, ma contro la quale protesta padre Ihyula. I pastori Fulani «non sono vittime del cambiamento climatico come si è detto su certa stampa occidentale – sostiene – no, non si tratta di questo. Le bande di pastori Fulani sono motivate da un’ideologia islamista. Vogliono conquistare le terre degli agricoltori cristiani per potere poi fondare uno Stato Islamico. In quanto responsabile della Commissione Giustizia e Pace ho cercato il dialogo con loro. Ma lo hanno sempre respinto».



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