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LA TREGUA

Libia, tacciono le armi. Un'opportunità per l'Italia

Tregua a Tripoli, mediata dalla missione Onu. Se regge si avvierà un negoziato fra tutte le milizie coinvolte negli scontri nella capitale libica, per rafforzare il governo di Sarraj. L'Italia ha una possibilità di tutelare al meglio i suoi interessi, pur escludendo un intervento militare, difendendo il governo di Sarraj.

Esteri 05_09_2018
Fayaz al Sarraj

"Sotto gli auspici" dell'inviato speciale dell'Onu in Libia, Ghassan Salamé, "un accordo per il cessate il fuoco è stato raggiunto e firmato ieri sera per porre fine a tutte le ostilità, proteggere i civili, salvaguardare la proprietà pubblica e privata e riaprire l'aeroporto di Mitiga". Lo ha reso noto la Missione dell’Onu in Libia (Unsmil) sintetizzando l'intesa raggiunta fra le milizie che "non punta a risolvere tutti i problemi della sicurezza della capitale della Libia: cerca un accordo quadro sul modo di iniziare ad affrontare tali questioni".

"Se tutte le parti daranno prova di un vero e totale rispetto del cessate il fuoco, le Nazioni Unite terranno un'altra riunione per esaminare i preparativi di sicurezza della capitale": L'incontro si è svolto a Zawiya e ha posto fine (almeno per ora) a nove giorni di scontri che hanno provocato i 50 morti e 138 feriti, protrattisi anche ieri sulla strada dell’aeroporto e la via Sahaladdin, anche con sporadici lanci di razzi. Salameh aveva annunciato di aver invitato "le varie parti interessate" dal conflitto a un "incontro allargato sulla base delle pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell'offerta del Segretario generale delle Nazioni Unite di mediare tra le varie parti libiche". L’ipotesi più probabile è che la spinta offensiva dei ribelli si fosse esaurita, grazie anche all’intervento al fianco dei gruppi armati che sostengono al-Sarraj di una parte delle milizie di Misurata, determinando così l’interesse comune a trattare una pace che forse non sarà stabile ma che determinerà una ridistribuzione delle risorse finanziarie determinate da export petrolifero e da aiuti internazionali grazie alle quali al-Sarraj paga le milizie che lo sostengono. Probabile che l’intesa vedrà una parte di questo denaro finire nelle tasche anche della Settima Brigata e delle milizie di Misurata, consentendo così al governo di accordo nazionale (GNA) di al-Sarraj (che non ha un suo esercito) di sopravvivere.

Il governo italiano sostiene l'esecutivo di Accordo nazionale libico guidato da Fayez al Sarraj, e sottolinea chela prossima Conferenza internazionale sarà incentrata sulla sicurezza, "pre-condizione per lo svolgimento di elezioni, obiettivo cardine del piano delle Nazioni Unite" ha confermato ieri il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, al premier libico. Quanto al ruolo dell’Italia, al di là delle sterili polemiche tra governo e opposizione, l’attuale crisi libica offre, accanto ai rischi, anche qualche buona opportunità. Innanzitutto non è detto che dietro l’attacco a Tripoli ci siano solo le forze di Haftar e la Francia (il cui ministero degli esteri ha ieri condannato con forza le violenze a Tripoli). Le prime non controllano le milizie ribelli che combattono a Tripoli ed eventuali alleanze-lampo possono essere solo di facciata dal momento che la rivendicazione della Settima Brigata è più economica che politica. I secondi potrebbero non avere interesse a scatenare violenze e caos che non riusciranno a far cadere al-Sarraj e il suo debole governo ma al tempo stesso confermano che il piano francese di far votare i libici in dicembre è del tutto irrealizzabile.

Gli scontri di Tripoli semmai rafforzano la proposta italiana che verrà discussa dalle parti in causa al vertice di Sciacca in novembre, che prevede un’ampia adesione a un piano di pacificazione della nostra ex colonia e solo dopo le elezioni presidenziali e parlamentari. Non a caso ieri il leghista Guglielmo Picchi, sottosegretario agli Esteri, ha smorzato i toni nella polemica tra Roma e Parigi. "C'è un legittimo sospetto, ma io non parlo di Francia, che quanto sta avvenendo in Libia non sia proprio qualcosa di spontaneo ma possa avere fattori esterni che lo scatenano. E' indubbio che l'Italia, con tutti gli altri partner internazionali, deve interagire per forza per dare stabilità ma la nostra querelle con la Francia è sicuramente nei dossier europei” non in Libia. Picchi ha anche escluso un intervento militare italiano. “Lo ha escluso il ministro della difesa. Sono questioni interne libiche" ha aggiunto.

Del resto i francesi non sono i nostri unici rivali in Libia e colpire al-Sarraj è anche nell’interesse delle milizie dei Fratelli Musulmani che fanno capo all’ex premier del disciolto governo di Salvezza nazionale libico, Khalifa Ghwell, che conta sull’appoggio di Turchia e Qatar e sospettato di avere allacciato rapporti strumentali con la Settima Brigata ribelle e con il generale Haftar. Fonti vicine a Ghwell, hanno riferito che l’ex premier (a cui sono fedeli anche alcune brigate di Misurata legate alla Fratellanza Musulmana) non sta giocando alcun ruolo militare negli scontri fra milizie in corso, ma viene consultato da imprecisati "capi”.

In un contesto così complesso per l’Italia resta prioritario difendere al-Sarraj (pur tenendo aperto il dialogo con tutte le fazioni e in particolare con Haftar) perché è in Tripolitania che ci giochiamo le carte strategiche, che riguardano i nostri interessi energetici e il blocco ai flussi di immigrati clandestini. Del resto a Misurata e Tripoli sono già presenti 400 militari italiani con compiti sanitari, di addestramento e supporto marittimo alla Guardia Costiera libica.