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LA SCULTURA

L’estasi di santa Teresa nel capolavoro del Bernini

Per Teresa d’Ávila, come scrive nella sua autobiografia, l’estasi rappresenta il quarto stadio dell’anima, il punto più profondo dell’unione con Dio che giunge al culmine di un cammino che inizia con l’orazione. Ed è proprio l’estasi della grande santa e mistica spagnola a essere stata raffigurata dal Bernini nella scultura custodita nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria.

Ecclesia 15_10_2021

Estasi, termine alto e che fa volare in alto. Lo sapeva bene santa Teresa d’Ávila con i suoi voli sulle ali della fede. E lo sapeva bene anche Gian Lorenzo Bernini, artista simbolo del Barocco italiano. Artista poliedrico, Bernini, che riusciva a passare addirittura dalla scrittura teatrale alla scultura, dall’arte figurativa all’architettura. Il capolavoro barocco custodito nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria rappresenta la santa spagnola, in piena estasi. Ma cosa vuol dire questo termine così affascinante?

Ci viene in aiuto il dizionario. Estasi deriva dal greco ἔκστασις: parola composta da ἐκ e στάσις, che vuol dire “essere fuori”. Uscire, dunque. E Teresa “usciva” da sé per congiungersi al suo unico, grande Sposo: il Signore. Il corpo si estrania e l’anima si congiunge a Dio. Sublime mistero, incanto profondo. Teresa d’Ávila, Teresa di Gesù, era spesso in questo stato d’estasi, appunto.

Per la santa, l’estasi rappresentava il quarto stato dell’anima, così come è possibile leggere nella sua autobiografia. È il punto più profondo dell’unione dell’anima col Signore. Il primo stadio riguarda la meditazione od orazione: l’anima si ritira in maniera solitaria, per non essere più incline alle “cose del mondo”. È attenta ad ascoltare la Parola di Dio, e si concentra soprattutto sulla Sua Passione. Il successivo stadio è quello detto “dell’orazione di quiete”. In questo, la volontà umana è rimessa in quella di Dio, mentre le altre facoltà - quali la memoria, l’immaginazione e la ragione, non ancora sicure a causa delle distrazioni del mondo - anelano a congiungersi a Dio. Poi, vi è il penultimo stadio, la cosiddetta “orazione di unione”. Un ruolo fondamentale lo gioca lo Spirito Santo che attrae a Sé la volontà e l’intelletto, in un dono e dialogo reciproco tra il Signore e la creatura. È, questo, il raggiungimento di una beata pace. Si è immersi in Dio, nel Suo infinito Amore. In ultimo, arriva la famosa “estasi”: stato soprannaturale dell’anima, immersa nella piena unione con Dio.

Ed è proprio questo stadio dell’anima, raggiunto da santa Teresa, ad essere stato l’oggetto dell’opera d’arte custodita nella chiesa carmelitana che sorge nel centro storico della Capitale, a pochi passi da Piazza della Repubblica, una delle piazze più conosciute di Roma. Santa Maria della Vittoria fu costruita, tra il 1608 e il 1620, dietro commissione dei Carmelitani Scalzi. Inizialmente era dedicata a San Pietro.

Il titolo con il quale conosciamo oggi la magnifica perla barocca romana è stato attribuito successivamente: voleva essere un omaggio alla vittoria dell’esercito nella battaglia della Montagna Bianca, avvenuta a Praga l’8 novembre 1620, durante la Guerra dei Trent’anni. Vuole la tradizione che, proprio in un momento di sconforto per le truppe cattoliche, il cappellano militare - un carmelitano scalzo - avesse con sé una piccola immagine della Vergine Maria col Bambino. E fu proprio questa effige - fortemente danneggiata dalle truppe nemiche - a cambiare le sorti della battaglia, illuminandosi improvvisamente di raggi di luce divina spaventando e accecando così gli avversari. La vittoria era di Maria, era dell’esercito cattolico. Per questo motivo, la vittoria andava celebrata e la chiesa doveva essere intitolata a Maria vittoriosa contro il male, contro le tenebre degli infedeli. Così, l’8 maggio del 1622, l’immagine venne intronizzata proprio in questa chiesa.

Sopra l’altare di Santa Maria della Vittoria è posta l’icona della Madonna: è piccola, piccolissima, ma brilla d’una luce del tutto particolare. In fondo, a sinistra, a lato dell’altare, troviamo la Cappella Cornaro. Qui si trova l’affascinante opera d’arte del Bernini. Il gruppo scultoreo, chiamato “Transverberazione di Santa Teresa d’Ávila”, raffigura la santa trafitta al cuore con un dardo da un angelo. Cattura il nostro sguardo per quanto è sublime. L’opera fu commissionata all’artista dal cardinale Federico Cornaro. Siamo intorno al 1647. L’intera cappella - che ha tutto il sembiante di una vera e propria scenografia - è stata progettata dal Bernini stesso. Le figure, gli archi, gli ori e i marmi respirano in quel fermoimmagine che sembra essere un tableau vivant di marmo: è insieme architettura, scultura, pittura e decorazione.

Chiunque si trovi di fronte a questa opera non può che emozionarsi: rivive l’attimo dell’estasi della santa, assorbendo nella sua anima tutta la spiritualità intrinseca nei panneggi marmorei di santa Teresa, in quei suoi occhi semichiusi, in quell’oro che la circonda e che spicca, lucente, tra il marmo bianco. A fare da cornice al tutto, vi sono delle figure marmoree - che sembrano davvero degli spettatori dell’evento mistico - riconducibili alla famiglia Cornaro, la famiglia committente.

“Come da una fonte limpidissima non sgorgano che limpidi ruscelli, così di un’anima in grazia: le sue opere riescono assai grate agli occhi di Dio e degli uomini, perché procedenti da quella fonte di vita nella quale essa è piantata come un albero, e fuor dalla quale non avrebbe né freschezza né fecondità”. Così la santa scriveva in uno dei suoi libri, Il castello interiore. Freschezza rievoca nel nostro immaginario l’acqua, fonte di vita e purificazione nel Vangelo. Se guardiamo bene quest’opera del Bernini, i raggi di luce che travolgono la santa sembrano essere una sorta di “doccia di luce”. Una doccia di Dio che lava e purifica ogni anima dai peccati. L’artista del Seicento è riuscito a cogliere tutto questo, in quel marmo così splendente e limpido. L’oro vince e le tenebre scompaiono: è la vittoria di Maria, del Signore.