L'arresto di Hannoun svela che in Italia c'è una cellula di Hamas
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Hamas ha una sua cellula in Italia. L’operazione «Domino» ha condotto all’arresto di nove persone, tra cui il noto imam Mohammad Mahmoud Ahmad Hannoun. E squarcia il velo su un canale stabile di sostegno al terrorismo islamico, radicato nel Belpaese e spacciato per solidarietà.
Hamas ha una sua cellula in Italia. È la conclusione degli inquirenti italiani dopo oltre due anni di indagini meticolose, di flussi finanziari setacciati e di cooperazione investigativa oltreconfine: la trama invisibile che lega l’Europa a Gaza sembra solo apparentemente emergere all’improvviso, ma dispiega sul tavolo della storia come una mappa segreta finalmente decifrata.
L’operazione «Domino», coordinata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, con il concorso di apparati investigativi italiani ed europei, ha condotto all’arresto di nove persone, tra cui il noto imam Mohammad Mahmoud Ahmad Hannoun. Un esito che, pur nel rispetto imprescindibile della presunzione di innocenza dei soggetti interessati, squarcia il velo su un canale stabile di sostegno al terrorismo islamico, radicato nel Belpaese e spacciato per solidarietà.
Sarebbero oltre sette i milioni di euro intercettati e confiscati raccolti attraverso tre presunte associazioni benefiche e giunto, secondo le accuse, nelle casse dell’organizzazione responsabile dell’eccidio del 7 ottobre. Una cifra che, avvertono gli organi investigativi, rappresenterebbe solo una frazione di flussi ben più vasti e in parte irraggiungibili. In totale 17 le perquisizioni, in varie città italiane, per 25 indagati. Nel corso delle operazioni è stato sequestrato oltre 1 milione di euro in contanti, rinvenuto tra sedi associative e abitazioni private; circa 560 mila euro erano nascosti in un garage a Sassuolo tra bandiere della Palestina e kefiah. In una casa sono stati trovati 6 mila euro e una bandiera di Hamas.
L’operazione «Domino» affonda le sue radici ben prima del 7 ottobre, a partire da segnalazioni di transazioni sospette. Da lì, il filo ha condotto fino a esponenti di primo piano dell’organizzazione, come Osama Alisawi, già ministro del governo di fatto nella Striscia di Gaza, indicato come diretto sollecitatore del sostegno. Un mosaico che ora, tessera dopo tessera, rivela un disegno oscuro disegnato dietro il lessico ambiguo dell’aiuto umanitario alle popolazioni palestinesi per alimentare una delle organizzazioni terroristiche più sorvegliate e temute al mondo.
L’imam Hannoun, volto onnipresente e carismatico delle agitazioni di piazza proPal in Italia degli ultimi anni, kefiah e megafono come vessillo identitario, è indicato dagli investigatori come figura apicale di Hamas: l’architetto di una poderosa macchina di raccolta fondi, innervata in un filo rosso finanziario che unirebbe l’Italia Turchia, Giordania, Egitto e infine a Gaza. Per gli atti d’indagine, è il perno della cellula italiana dell’organizzazione e siede nel board della European Palestinians Conference. A lui viene attribuita la regia di una raccolta soldi sterminata, presentata come soccorso umanitario e invece — secondo l’accusa — destinata alle casse di Hamas, ai familiari degli attentatori suicidi, ai detenuti per terrorismo, nonché al rafforzamento dell’apparato propagandistico. Un flusso ininterrotto, avviato già nell’ottobre del 2001, capace di attraversare anni, confini e sistemi di controllo.
Hannoun avrebbe agito sfruttando una pluralità di ruoli, formali e informali: storico legale rappresentante dell’Associazione Benefica di Solidarietà col Popolo Palestinese (A.b.s.p.p.), fondata a Genova nel 1994, nonché promotore e gestore di altre due sigle — la Cupola d’Oro, aperta a Milano nel dicembre 2023, e La Palma — create, secondo gli investigatori, per eludere i blocchi del circuito finanziario e garantire continuità ai flussi di denaro: un progetto strategico di Hamas, capace di dotarsi di una struttura articolata, ramificata all’estero, e funzionale agli obiettivi del movimento per le sue battaglie in Medio Oriente. Le tre associazioni sono state poste sotto sequestro per un patrimonio del valore complessivo di circa otto milioni di euro. Per comprendere la potenza economica della rete basti pensare che un dipendente di A.b.s.p.p., Abu Rawwa, referente per il Nord est Italia e, oggi, tra gli uomini finiti in manette, avrebbe acquistato una quarantina di immobili all’asta in pochi mesi.
È in questo solco che l’A.B.S.P.P. viene descritta dagli atti come un’articolazione esterna dell’organizzazione terroristica di Hamas, operativa in Italia e innestata in un più ampio reticolo europeo. Perché non è solo raccolta di fondi, vi è anche la costruzione di tutta la narrazione della propaganda per la causa palestinese. Da qui il sostegno economico al sito di informazione Infopal, finanziato — secondo le ricostruzioni — da una delle associazioni sotto inchiesta tra il 2010 e il 2024 con oltre 300 mila euro. Il denaro, del resto, viaggiava anche in piena luce, attraverso bonifici formalmente ineccepibili, schermati da causali di apparente beneficenza.
Gli inquirenti hanno individuato, per esempio, tra il 2017 e il 2023, 168 bonifici verso l’estero per oltre un milione e mezzo di euro sotto forma di «adozioni a distanza di orfani»; «pacchi per i poveri»; «pasti caldi»; «sostegno alle famiglie»; «pagamento di cartelle scolastiche», ma destinati all’organizzazione terroristica islamica. Sono stati individuati anche bonifici diretti verso conti correnti turchi per circa 762 mila euro.
A luglio scorso, su richiesta del ministro della Difesa israeliano, le autorità italiane venivano sollecitate a congelare circa 500 mila dollari destinati, secondo le segnalazioni, a conti riconducibili a Hannoun. La richiesta non produsse effetti. A intervenire è stato invece il sistema europeo antiriciclaggio che, dal 2021, ha chiuso le decine di conti per l’arrivo di fondi da soggetti sanzionati. E Hannoun reagì invitando i donatori, via Instagram, a una nuova “migrazione” finanziaria.
L’inchiesta ricostruisce intorno a lui una struttura organica. Tra gli arrestati, Dawoud Ra’Ed Hussny Mousa, indicato come membro del comparto estero e referente operativo: dipendente A.B.S.P.P. dal 2016, co-responsabile della sede di Milano con Yaser. Al Salahat Raed, anch’egli ritenuto parte del comparto estero, entra nel board della European Palestinians Conference nel 2023 ed è indicato come figura chiave della cellula italiana, referente per Firenze e la Toscana dal luglio 2024.
Con loro, Elasaly Yaser, dipendente dal 2016 e co-responsabile milanese, e Albustanji Riyad Abdelrahim Jaber, attivo dal 2015 nella promozione della raccolta fondi: giordano, fermato a Modena ma residente in Norvegia, in costante movimento tra Italia, Europa e Cisgiordania. Completano il quadro Rade Al Salahat, referente toscano per le offerte nelle moschee e che nel corso delle intercettazioni esprimeva apprezzamenti per gli attentati terroristici, e Abu Deiah Khalil, custode della Cupola. È Elasaly a suggerire nell’agosto scorso all’imam di Torino, Mohamed Shanin, oggi liberato dalla Corte d’appello e non indagato in questa inchiesta, di non rivelare le modalità di invio dei fondi a Gaza. In base all’ordinanza Shahin parla costantemente con gli arrestati, viene chiamato in causa e sposta denaro con l’uomo accusato di raccogliere fondi a Torino per farli arrivare a Gaza.
Insomma, associazionismo, militanza ideologica e flussi finanziari saldati in un’architettura operativa pianificata. Gli arresti di oggi non chiudono il racconto: lo rendono pubblico. È l’istante in cui ciò che per anni è rimasto sommerso affiora, con tutta la sua gravità. E pensare che chi, in questi mesi, ha osato mettere in discussione la rete ora colpita in virtù di tante anomalie che già emergevano dalla cronaca quotidiana, è finito additato come complice del genocidio. Oggi che si scopre che dall’Italia si è finanziato Hamas, resta una domanda aperta: quel fiumi di denaro hanno sostenuto anche lo smisurato consenso mediatico oltre le mobilitazioni collaterali? Lì in mezzo c’erano anche il finanziamento alla Flottilla?

