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DEMOGRAFIA

La Cina paga gli effetti della politica del figlio unico

In Cina la politica di pianificazione familiare è sfuggita di mano. E tirando le somme del 2020, l’Ufficio nazionale di statistica di Pechino constata che il ritmo della crescita demografica risulti in calo per il quarto anno di fila, nonostante la parziale liberalizzazione della politica del figlio unico avvenuta nel 2016.

Famiglia 12_05_2021
Cina, poster di propaganda della politica del figlio unico

In Cina la politica di pianificazione familiare è sfuggita di mano. E tirando le somme del 2020, l’Ufficio nazionale di statistica di Pechino constata che il ritmo della crescita demografica risulti in calo per il quarto anno di fila, nonostante la parziale liberalizzazione della politica del figlio unico avvenuta nel 2016. Nel 2020 i nuovi nati sono 12 milioni, su una popolazione di 1,41 miliardi. Un dato inferiore ai 14,65 milioni di nuovi nati nel 2019, che a sua volta era inferiore rispetto agli anni precedenti.

Non è solo l’epidemia di Covid-19, dunque, che ha influito sul calo delle nascite. Il 2020 non è l’eccezione, ma la conferma di una tendenza. Nel decennio 2000-2010, il tasso annuo di crescita era dello 0,57%, mentre nel decennio successivo dello 0,53%. Il demografo He Yafu, citato dal quotidiano South China Morning Post parla addirittura di un calo demografico a partire dall’anno prossimo, quando il numero dei nuovi nati (10 milioni previsti) sarà inferiore a quello dei morti.

Ad essere preoccupati maggiormente sono soprattutto gli ambienti economici. Già in aprile, prima che venissero pubblicati questi dati, la Banca centrale cinese aveva pubblicato raccomandazioni al governo per l’abbandono completa della politica di controllo delle nascite. «Senza un’azione di questo tipo il Paese perderà il suo vantaggio economico nei confronti degli Stati Uniti» era la conclusione del rapporto, in cui si sottolinea che la liberalizzazione debba avvenire subito, poiché finora le coppie cinesi sono ancora desiderose di avere figli, in futuro potrebbe non essere più così. E probabilmente già nel presente non è più così, vista la tendenza in calo. La preoccupazione maggiore è quella di una popolazione invecchiata. Rispetto al 2010 la popolazione in età da lavoro è calata del 6,79%: meno contribuenti e più pensionati mantenuti dallo Stato.

Il calo delle nascite è conseguenza inevitabile di 35 anni di politica del figlio unico. Dal 1979 al 2014, infatti, in Cina era vietato mettere al mondo più di un figlio, con pochissime eccezioni. Questa regola era stata imposta da Deng Xiaoping, preoccupato che l’aumento demografico potesse costituire un freno alla crescita del benessere del Paese: meno figli, più risorse da distribuire ad ogni cittadino. Nel 1979 i pianificatori familiari avevano fissato l’obiettivo di un unico figlio per ogni coppia in modo da raggiungere la crescita zero per il 2000. Nel 1982 i principi della pianificazione familiare e della riduzione della crescita della popolazione vennero inseriti nella Costituzione, negli articoli 25 e 49. Furono da subito introdotte leggi draconiane per costringere la popolazione a rispettare la regola del figlio unico.

In questo periodo, secondo i dati dell’Oms, in media, ogni anno, in Cina sono stati compiuti 14 milioni di aborti forzati, circa il 25% di tutti gli aborti nel mondo. Un caso balzato agli onori della cronaca era stato quello di Feng Jianmei. Il 2 giugno 2012, al settimo mese di gravidanza, era stata arrestata e picchiata da funzionari della pianificazione familiare, portata in clinica e sottoposta ad aborto forzato. Il figlio, venuto alla luce con parto indotto e inizialmente sopravvissuto, era stato lasciato agonizzare sullo stesso letto della madre. Il caso di Feng Jianmei aveva fatto scandalo in tutto il mondo perché i parenti erano riusciti a fotografare il tutto e a far circolare le immagini in Internet. Le autorità erano corse ai ripari, chiedendo scusa alla donna e licenziando i tre funzionari che l’avevano arrestata e picchiata. Ma queste pratiche crudeli, in alcuni casi anche più violente (secondo numerose testimonianze di donne che le hanno subite) erano all’ordine del giorno in quei 35 anni.

A monte, una donna, per poter concepire, aveva bisogno di un permesso ufficiale, rilasciato dalle autorità locali. Per la donna in attesa di un secondogenito non c’era scampo: pagare una multa molto salata che pochi possono permettersi in Cina (equivalente di 5mila euro) o subire un aborto forzato, in alcuni casi anche la sterilizzazione e un periodo di carcere, più soprusi e violenze da parte di funzionari particolarmente zelanti. Molti bambini sono comunque venuti alla luce illegalmente, ma per questo non sono stati registrati regolarmente nelle anagrafi e quindi non possono godere di alcun diritto politico o sociale, nemmeno il diritto alla salute con l’accesso agli ospedali o ai farmaci. Sono fantasmi, letteralmente, destinati a vivere una vita da cittadini di serie B.

Su iniziativa dei governi provinciali locali, preoccupati per l’andamento demografico delle loro popolazioni, la regola del figlio unico venne allentata nel 2013 e dall’anno successivo in tutte le province si permise di mettere al mondo anche un secondo figlio. La “politica dei due figli” entrò in vigore ufficialmente in tutta la Repubblica Popolare Cinese a partire dal 2016. Si tratta di una liberalizzazione parziale e, nel tentativo di spingere le coppie cinesi ad avere due figli lo Stato sta iniziando a introdurre sia incentivi. Il terrore del trentennio precedente, chiaramente, non passa in pochi anni e la pianificazione familiare è stata ormai introiettata nella mentalità comune

Probabilmente è troppo poco e troppo tardi, secondo le attuali proiezioni demografiche un terzo della popolazione cinese del 2050 sarà costituita da ultra-60enni.