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il dibattito

Il problema dell'alluvione emiliana si chiama burocrazia

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Il rimpallo di responsabilità tra Governo e Regione Emilia Romagna è uno dei risvolti più dolorosi della nuova ondata di maltempo intenso. Ma è la burocrazia il malato grave, che tarpa le ali a qualsiasi progetto riformatore e si traduce in un peso sulle spalle di famiglie e imprese per 225 miliardi di euro. 

Editoriali 23_09_2024

Il rimpallo di responsabilità tra Governo e Regione Emilia Romagna è uno dei risvolti più dolorosi della nuova ondata di maltempo intenso che sta provocando danni ingenti in quei territori già particolarmente colpiti dall’alluvione dell’anno scorso. I media contribuiscono a polarizzare lo scontro tra i diversi livelli istituzionali, perché sono quasi tutti mossi da disegni politici ben precisi, pro o contro l’esecutivo, pro o contro l’amministrazione regionale. Non si dimentichi, infatti, che a breve si vota in Emilia Romagna per il rinnovo del governo regionale e, sebbene i pronostici siano tutti in favore del centrosinistra, le forze di centrodestra continuano a sognare il colpaccio.

Ma al di là di come la si pensi dal punto di vista politico e sul caso specifico dei disastri naturali in quella regione, nessuno sta evidenziando quello che è il vero nodo da sciogliere per evitare che, in situazioni emergenziali, i processi decisionali si rallentino e nessuno sappia bene chi deve fare cosa e con quali strumenti.

In altre parole, nel nostro Paese non sono quasi mai definiti con chiarezza ruoli e responsabilità e, nella vaghezza e contraddittorietà delle norme in vigore, ognuno si sente legittimato a rifugiarsi nello scaricabarile, imputando agli avversari negligenze e inerzie.

In Italia c’è certamente, e non da oggi, un malato grave che si chiama burocrazia e che tarpa le ali a qualsiasi progetto riformatore, in ogni campo, e paralizza la gestione di situazioni meritevoli di soluzioni energiche e immediate.

Perché allora non si procede una volta per tutte e in modo condiviso a una riforma della burocrazia, abbattendo steccati ideologici e tattiche convenientistiche e definendo uno schema lineare e trasparente per intervenire in situazioni di emergenza come quella che stiamo vivendo in Emilia Romagna? Se così si facesse, sarebbe infatti chiaro anche agli occhi dei cittadini che c’è qualcuno che deve fare, anche in termini di prevenzione, e ci sono altri che possono intervenire solo in una fase successiva per contribuire a portare avanti gli interventi.

In mancanza di una road map limpida e cristallina ci saranno sempre questi mal di pancia di taluni che, messi di fronte alle loro responsabilità, rovesciano il tavolo e la buttano in caciara, per evitare di assumersi le proprie responsabilità.

Nella storia politico-istituzionale italiana sono state fatte tante commissioni bicamerali sugli oggetti più bizzarri, mentre sulla burocrazia nessuna maggioranza ha mai provato ad allargare all’opposizione il tavolo del confronto per tentare, una volta per tutte, di riformarla e renderla meno ostile alla crescita dei cittadini e al progresso sociale.

Nell’agenda dell’attuale maggioranza di centrodestra ci sono riforme come quelle del premierato e dell’autonomia differenziata, che potrebbero incidere profondamente sugli equilibri tra i poteri e sul rapporto tra cittadini e istituzioni. I benefici di quei cambiamenti, stando alle intenzioni di chi li propone, dovrebbero risultare evidenti in termini di risveglio della partecipazione alla vita pubblica e di ottimizzazione della gestione delle risorse da parte dei territori.

Ma la più preziosa delle riforme sarebbe senz’altro quella della burocrazia, intesa come alleggerimento della zavorra di adempimenti e formalità che appesantiscono le procedure e rallentano la crescita socio-economica del Paese. Lamentarsi di lacci e lacciuoli che rendono più farraginosi i processi decisionali e disarmano financo le volontà più tenaci è un atteggiamento assai diffuso nelle categorie produttive. Si tratta di uno stato d’animo del tutto comprensibile, fondato sulla forte percezione di uno Stato ostile che rema contro i cittadini.

Nelle molteplici attività che ogni individuo svolge quotidianamente il peso della burocrazia è soverchiante e andrebbe ridotto sensibilmente semplificando, anche grazie all’impiego delle tecnologie, il funzionamento dei sistemi e degli apparati.

La macchina amministrativa italiana sconta un deficit di trasparenza e di efficienza che ha assunto ormai risvolti drammatici. Sburocratizzare diventa pertanto l’imperativo numero uno della pubblica amministrazione italiana, con particolare riferimento ad alcuni settori strategici come la giustizia, l’ambiente, la digitalizzazione, la scuola, la concorrenza e il fisco, anche perché il costo di una burocrazia inefficiente lo pagano in primo luogo i cittadini.

Secondo un’analisi condotta l’anno scorso dalla CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa), la mala burocrazia si traduce in un peso sulle spalle di famiglie e imprese italiane per un ammontare annuale di 225 miliardi di euro. Facendo dei raffronti, la cifra in questione è pari a più del doppio dell’evasione tributaria e contributiva (stimata sui 100 miliardi all’anno nel 2023) e quasi il doppio della spesa sanitaria nazionale (131 miliardi nel 2023). I problemi alla base di questo fenomeno sono molteplici: l’amministrazione statale tortuosa e complicata, i mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione, la lentezza del sistema giudiziario, il deficit infrastrutturale, gli sprechi nella sanità e nel trasporto pubblico locale. Tante complicanze, troppe, che fanno dell’Italia un luogo in cui gli imprenditori rinunciano a fare impresa e in cui confusi e disorientati cittadini si perdono in tempi d’attesa difficili da stimare, dietro a scartoffie, documenti e pratiche di innumerevoli uffici sparsi per il territorio e spesso paralizzati da estenuanti rivendicazioni di competenze e sterili sovrapposizioni di ruoli.

La burocrazia finisce per diventare qualcosa di macchinoso e di inutilmente complesso, che, con le sue azioni, arriva a remare in senso opposto al suo obiettivo, rallentando la vita dei cittadini e delle imprese. Una dinamica davvero indicativa dell’inefficienza della macchina pubblica, che produce gravi perdite di tempo e di denaro e testimonia l’urgenza di riformare la burocrazia per restituire competitività al sistema Paese. In questo senso la lezione dell’Emilia Romagna, pur nella sua drammaticità, potrebbe stimolare tale inversione di rotta.