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Il “magistero” del dissenso sulla contraccezione

Nel viaggio di ritorno dal Canada, a una domanda su possibili sviluppi in tema di contraccezione il Papa rinvia al magistero che esprimerà un giudizio sulla ricerca dei teologi. Ma il magistero si è già espresso, anche se chi lo ricorda viene tacciato di “indietrismo”, mentre si aprono le porte ai teologi del dissenso.

Editoriali 04_08_2022

John L. Allen aveva già abbozzato la strategia difensiva nel suo articolo del 13 luglio scorso. Dopo il nostro attacco (qui, qui e qui) ai contenuti del testo base di un Seminario organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita nel 2021 ed ora pubblicato nel volume Etica teologica della vita. Scrittura tradizione, sfide pratiche, Allen ha preferito evitare di entrare nei contenuti, dirottando l’attenzione sul fatto che il testo base non è un documento magisteriale e che in fondo le Pontificie Accademie esistono per dibattere, non per definire.

Papa Francesco, nel suo viaggio di ritorno dal Canada, sollecitato dalla domanda di Claire Giangrave, del Religion News Service, ha scelto la stessa linea (vedi qui). La giornalista auspicava uno «sviluppo nella dottrina della Chiesa per quanto riguarda gli anticoncezionali» e domandava a Francesco se fosse disponibile ad una «rivalutazione» del divieto totale, se esista «una possibilità per una coppia di considerare gli anticoncezionali». E lui si è guardato bene dal dare quel minimo di risposta che un Pontefice dovrebbe presentare a una tale domanda, e cioè che l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione non è modificabile, per la semplice ragione che vi sono « due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale» (Familiaris Consortio, 32); significati che pertanto gli uomini non possono scindere, comportandosi «come “arbitri” del disegno divino», manipolando e avvilendo «la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione “totale”». Questo era il minimo sindacale che un pastore della Chiesa, tanto più se Sommo Pontefice, avrebbe dovuto spiegare. Invece Francesco evita di offrire la parola di verità a riguardo ed intavola un discorso che dapprima chiama in causa lo sviluppo dogmatico, servendosi delle parole di San Vincenzo di Lerins nel Commonitorium, per poi sostanzialmente tradirne il significato ed assolvere i teologi estensori del testo base di cui sopra, giustificandoli di aver semplicemente fatto il loro dovere di teologi.

Veniamo alle parole del Papa: «il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica, non si può fare teologia con un “no” davanti. Poi sarà il Magistero a dire no, sei andato oltre, torna, ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, i teologi (ci) sono per questo. E il Magistero deve aiutare a capire i limiti». Ha poi aggiunto: «Sul problema dell’anticoncezionale, so che è uscita una pubblicazione su questo tema e su altri temi matrimoniali. Questi sono gli atti di un congresso e in un congresso ci sono le ponenze, poi discutono fra loro e fanno le proposte. Dobbiamo essere chiari: questi che hanno fatto questo congresso hanno fatto il loro dovere, perché hanno cercato di andare avanti nella dottrina, ma in senso ecclesiale, non fuori […]. Poi il Magistero dirà, sì va bene o non va bene». Oltre alla già evidenziata attenzione da parte del Pontefice di evitare ogni pronunciamento in linea con l’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione, non possono non balzare agli occhi almeno un paio di difficoltà.

La prima: notare i tempi verbali. “Sarà il Magistero”, “il Magistero dirà”: è mancare di rispetto chiedere al Papa se non si sia ancora accorto che il Magistero si è già pronunciato ripetutamente e coerentemente sulla questione? Casti Connubii, Humanae Vitae, Familiaris Consortio, giusto per citare qualche enciclica. I teologi non devono fare teologia con un “no” davanti, come dice il Papa, ma con un “no” che sta alle loro spalle, per guidarli nell’approfondimento della verità rivelata ed evitare che possano cadere nell’errore. E questo non è un limite all’approfondimento teologico, ma una garanzia che non si vada fuori strada. Ora, per evitare di confrontarsi con questo dato di fatto, con un Magistero che si è ripetutamente espresso sulla questione, il Papa inizia ad etichettare chi pensa molto semplicemente che il Magistero, quando propone in modo definitivo delle verità che riguardano la fede e la morale, dev’essere accettato e ritenuto da tutti i fedeli, teologi che insegnano nelle Università pontificie e pastori in primis. Sventolare a destra e a manca l’accusa di “indietrismo” – un neologismo vuoto di contenuto, e, appunto per questo, facilmente applicabile di volta in volta a chi si oppone al famoso avvio dei processi  –, serve solo a gettare fumo negli occhi, per evitare che le persona si rendano conto che il Re è nudo. Quando una persona parla così, significa che ormai non ha più nulla di veramente serio da dire: «No, no, non sono tradizionali, sono “indietristi”, vanno indietro, senza radici: sempre è stato fatto così, nel secolo scorso è stato fatto così. E l’“indietrismo” è un peccato perché non va avanti con la Chiesa. Invece la tradizione diceva qualcuno – credo che l’ho detto in uno dei discorsi – la tradizione è la fede viva dei morti, invece questi “indietristi” che si dicono tradizionalisti, è la fede morta dei viventi».

Il secondo problema è strettamente legato al primo e riguarda il ruolo del teologo nella Chiesa e i suoi rapporti con il Magistero. Perché bisogna capire bene cos’è accaduto alla Pontificia Accademia per la Vita: non si è trattato di un seminario di confronto con filosofi moralisti di varia estrazione culturale, ma di un incontro di teologi cattolici. Ed il testo base, quello che noi abbiamo contestato e continuiamo a ritenere in palese rottura con il Magistero della Chiesa, è stato scritto da teologi “cattolici”, che ricoprono importanti posti di insegnamento: Maurizio Chiodi, Ordinario di Bioetica all’Istituto Giovanni Paolo II e membro ordinario della stessa Pontificia Accademia per la Vita; Carlo Casalone, docente invitato di Teologia morale e Bioetica alla Gregoriana; Pier Davide Guenzi, anch’egli docente al Giovanni Paolo II e docente invitato alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale; Pierangelo Sequeri, che è stato preside del Giovanni Paolo II.

È del 1990 un'importante Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede che ricorda come sia il Magistero che il teologo hanno il medesimo fine: quello di «conservare il Popolo di Dio nella verità che libera e farne così la "luce delle nazioni"» (Sulla vocazione ecclesiale del teologo, § 21). Stessa verità indagata e stesso fine: per questo è sostanzialmente impossibile una reale divergenza tra il Magistero e la teologia, specie quando il teologo «riceve la missione canonica o il mandato di insegnare» (§ 22). Questo non significa che il teologo debba ripetere a pappagallo i pronunciamenti del Magistero, ma «in ogni caso non potrà mai venir meno un atteggiamento di fondo di disponibilità ad accogliere lealmente l'insegnamento del Magistero, come si conviene ad ogni credente nel nome dell'obbedienza della fede» (§ 29). Ora, invece, l'atteggiamento elogiato da papa Francesco corrisponde a quello dei teologi del dissenso, che hanno al contrario «di mira il cambiamento della Chiesa», appellandosi al pluralismo teologico. L'intervento al seminario di Pier Davide Guenzi (cf. Etica teologica della vita, 165-175) ne è un esempio evidente. L'Istruzione difende la pluralità delle espressioni teologiche a motivo dell'«insondabile mistero di Cristo che trascende ogni sistematizzazione oggettiva». E tuttavia la rivendicazione di questo pluralismo «non può significare che siano accettabili conclusioni» (§ 34) che siano contrarie al Magistero.
Essere d'accordo con queste considerazioni significa essere "indietristi"? Magari solo perché sono state scritte trent'anni fa?