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IL CASO

Il figlio in provetta e l’ex: il guaio sta nei “diritti civili”

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dà ragione a una donna che vuole l’impianto degli embrioni nonostante il no del marito da cui ha divorziato. La vicenda fa comprendere che disordine chiama disordine. E le prime vittime sono i figli, cosificati dai cosiddetti diritti civili, dal “diritto” al divorzio a quello alla fecondazione artificiale.

Vita e bioetica 27_02_2021

Disordine chiama disordine. Lui e lei si sposano. Non riuscendo ad avere figli ricorrono alla fecondazione artificiale. Un primo tentativo va a vuoto. Non fanno in tempo a provarci nuovamente che il marito divorzia dalla moglie. Quest’ultima, a distanza di tempo, decide di diventare comunque madre degli embrioni ancora crioconservati, perché già precedentemente «prodotti». L’ex marito si oppone all’impianto degli embrioni: non vuole diventare genitore suo malgrado. Ne nasce una vertenza giudiziaria. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nell’ordinanza del 27 gennaio 2021, resa nota giovedì scorso, dà ragione alla donna.

I giudici - l’ordinanza è stata emessa dal Tribunale monocratico e poi da quello in composizione collegiale - hanno invocato il comma 3 dell’articolo 6 della Legge 40/2004 sulla fecondazione extracorporea: «La volontà […] di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita […] può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo». In altri termini, ciascun membro della coppia può rifiutarsi di diventare genitore fino al momento in cui non c’è il concepimento. Da quel momento in poi l’iter di fecondazione artificiale dovrebbe continuare fino alla nascita. Usiamo il condizionale perché l’impianto in utero dei concepiti viene qualificato come trattamento sanitario e come ogni trattamento sanitario può essere rifiutato dalla donna. Da qui la posizione asimmetrica tra uomo e donna: quest’ultima può decidere come non decidere a favore dell’impianto o può farsi impiantare l’embrione e poi decidere di abortirlo; invece, la decisione del primo, sia per l’impianto che per il suo rifiuto, deve ricevere il placet dalla donna per diventare effettiva. Insomma, spetta alla madre l’ultima parola.

Perché il comma 3 dell’art. 6 obbliga, con le eccezioni appena viste, la coppia a non fare un passo indietro una volta che il concepito è venuto ad esistenza? Perché la legge desidera, con mille contraddizioni interne, che ogni embrione veda la luce. Ecco perché la vecchia norma, cancellata dalla Corte costituzionale con la sentenza 151/2009, che limitava la «produzione» a tre embrioni obbligava il loro contestuale impianto in utero (a dire il vero con qualche significativa eccezione). Li hai «prodotti»? Ora li impianti. Ma questo obbligo di impiantare immediatamente gli embrioni oggi non sempre si verifica. Infatti, tolto il limite dei tre embrioni per ogni ciclo e non potendo impiantare in utero un numero eccessivo di embrioni, quelli cosiddetti soprannumerari finiscono in azoto liquido. Da qui la possibilità che si creino cortocircuiti come quello che ha dovuto aggiustare il tribunale casertano: nelle more del possibile scongelamento può succedere di tutto, come, ad esempio, il divorzio della coppia che aveva avuto accesso alla provetta.

Ma a fronte di tutti questi mutamenti della Legge 40, sopravvive quel comma 3 dell’art. 6 secondo il quale il concepito deve nascere, sempre che la donna lo voglia. E, una volta nato, sia l’uomo che la donna diventano necessariamente genitori, stante l’impossibilità, ex art. 8 della stessa legge, di disconoscere il pargolo. Ecco quindi spiegata la decisione dei giudici: caro ex marito, diventerai papà anche contro la tua volontà.

Sottolineiamo una riflessione già prima accennata: l’uomo diventerà genitore de iure anche contro la sua volontà. Possiamo dal punto di vista giuridico rovesciare la situazione? No, è vietato costringere la donna a farsi impiantare l’embrione in utero e, se impiantato, a continuare la gravidanza fino al parto perché potrà sempre abortire.

Fin qui le riflessioni di carattere giuridico. Ora qualche pensierino di altra natura. L’ex marito non vuole diventare padre. Ma in realtà lo è già dal momento in cui è venuto ad esistenza il concepito. Lui, al pari della donna, è già genitore di tutti quei bambini crioconservati, impiantati o meno. In questo caso la condizione di genitore non è una scelta, ma un fatto da riconoscere.

Seconda riflessione. Questa vicenda ci fa comprendere ancor meglio che la Legge 40 e la Legge 194 hanno la medesima radice ideologica: l’autodeterminazione della donna. È solo lei che decide se diventare madre o meno e quindi se farsi impiantare l’embrione e se continuare la gravidanza o abortire. Il parere del padre è meramente accessorio. Questo potere di vita e di morte in capo alla donna è assoluto, come testimoniano le adamantine parole di Gianni Baldini, avvocato della donna e membro di giunta dell’Associazione Luca Coscioni, il quale parla di «diritto assoluto della donna di utilizzare [sic] gli embrioni creati con il coniuge».

Infine il pensiero più importante va a lui, anzi a loro: i figli di questa coppia - di cui uno certamente già in Cielo - cosificati sin da quando la stessa coppia ha deciso di accedere alla fecondazione extracorporea e dimenticati sotto lo spesso manto dei cosiddetti diritti civili: il «diritto» al divorzio, il «diritto» a diventare genitore, il «diritto» a non diventarlo.