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IL PAMPHLET

Hollywood (il)liberal, la rivoluzione portata in salotto

Alle ultime presidenziali americane, 167 divi hollywoodiani si erano schierati apertamente per Hillary Clinton, rimanendo poi sconvolti per la vittoria di Trump. Se in Italia comanda il pensiero comunista, negli Usa è quello liberal, che condiziona il lavoro e pretende di plasmare le menti. Anche attraverso il cinema e le serie tv, come scrive Maurizio Acerbi nel suo Hollywood (il)liberal.

Cultura 10_10_2019

Virna Lisi fu una delle poche, nel mondo del cinema italiano, ad avere il coraggio di dichiarare (Il Fatto Quotidiano, 28.9.2014): «Ma com’è ‘sto fatto che se uno è comunista lavora e se non lo è non lavora più?». Infatti, direbbe qualcuno, è il partito dei lavoratori. Qualcun altro direbbe: ma non era ai tempi del fascismo che se non avevi la tessera non lavoravi? Se ci può consolare, negli Usa non è diverso, solo che là li chiamano liberal. Maurizio Acerbi, critico cinematografico de Il Giornale, nel 2016 affrontò il tema col pamphlet Come sopravvivere al cinema di sinistra - Noia e pregiudizi: manuale per difendersi dai film a senso unico. Oggi torna e amplia con Hollywood (il)liberal (Fuori dal Coro, pp. 63, € 3, supplemento al quotidiano).

Nella mecca del cinema, l’attore Gary Sinise, cattolico e repubblicano, nel 2004 fondò addirittura una specie di club catacombale per attori, registi e sceneggiatori non di sinistra, costretti a nascondersi per non perdere il lavoro. All’ora delle elezioni presidenziali i vip hollywoodiani fecero campagna a favore di Hillary. Vinse Trump, segno che la maggioranza schiacciante degli americani non si fa abbindolare dai lustrini. Ma Trump da quel momento fu il Satana da esorcizzare. Noi, che abbiamo avuto Berlusconi e Salvini, ne sappiamo qualcosa. «Si erano messi in 167 divi a fare il cosiddetto endorsement, appoggiando pubblicamente la consorte di Bill, trasformandola nella candidata alla Casa Bianca con il maggior numero di testimonial della storia. Da Di Caprio a Clooney, da De Niro a Hoffman, da Damon a Penn. A questi, aggiungeteci i “grandi elettori” del mondo musicale, sorpresi, sconvolti, increduli non solo per la vittoria dell’odiato Donald, ma, soprattutto, per aver preso atto di contare, in politica, come il due di coppe quando la briscola è bastoni».

I repubblicani? Pochi: Dwayne “The Rock” Johnson, Arnold Schwarzenegger, James Woods, Bruce Willis, Sylvester Stallone, Lindsay Lohan, Hillary Duff, Jon Voight, Gary Sinise, Clint Eastwood e qualche altro.

All’Oscar di quest’anno è stato tutto un insulto a Trump: tacco 12, abiti costosissimi, fiocchetto azzurro sul petto (colore del Partito Democratico) sul red carpet a fare i filo-prolet. Ma la cerimonia ha registrato «i più bassi ascolti di sempre nella storia degli Oscar». Sì, ma non gliene frega niente. “Razzismo” o “Immigrato” rimangono le chiavi vincenti della cinematografia post Trump. «Vuoi avere possibilità di vittoria? Infilaci dentro uno dei due temi, meglio ancora se entrambi». Così ebbe a scrivere Camilo Vila, esiliato cubano fin dal 1961: «Parlano dei senzatetto quando hanno case che potrebbero ospitare i barboni di mezza Los Angeles». Lo stesso nelle serie televisive: «La televisione, attraverso i suoi show di natura Liberal, non si adegua al pubblico seduto in salotto, ma lo condiziona, lo plasma, riflettendo quelli che la creano al fine di trasformare il pensiero degli altri».

Già, gutta cavat lapidem, e forza con i «diversi», il sesso in tutte le forme e salse, sniffate e fumate. «Le rivoluzioni, anche le più importanti, non devono praticarsi, per forza di cose, in piazza o nelle strade, con la violenza contro il Potere costituito. Anzi, le più efficaci, le più invasive, le più sconvolgenti, sono quelle che avvengono silenziosamente, sottotraccia, plasmando le menti, spesso senza che queste se ne rendano conto. Basta, per dire, un salotto di casa o una sala cinematografica per rivoluzionare i modi di pensare. È quanto è avvenuto in America prima e, di riflesso, in Italia poi, attraverso un oggetto di uso comune come il telecomando di un televisore o godendosi un film sul grande schermo di un cinema».

Gli americani (e gli italiani) dimostrano però una capacità di resistenza imprevista e ammirevole, basta lasciarli votare. Ma i liberals, come si è visto in Italia, hanno anche altre armi. Che fare, dunque? Cambiare canale. Finché si può. «Non lasciarti ingannare da chi non ti vuole uguale ma identico agli altri, come un clone». Vecchia storia giacobina: «Faremo della Francia un cimitero se non potremo rigenerarla a modo nostro».