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Graziano Motta, addio a un esempio di giornalismo vissuto con fede

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All'età di 96 anni è morto il nostro collaboratore che per dieci anni ci ha spiegato la complessa realtà del Medio Oriente. È stato un testimone d'eccezione della storia del XX secolo, raccontata in una sua autobiografia in cui emerge il disegno divino nella sua vita. Fu anche il primo giornalista a recarsi a Medjugorje, nell'ottobre 1981, appena trapelata la notizia delle apparizioni.

Cultura 21_08_2025

Ricordare Graziano Motta, morto il 19 agosto a 96 anni, significa ripercorrere tutta la mia vita da giornalista, segnata fin dai primi anni di professione dal rapporto quasi quotidiano con lui. Un rapporto quasi esclusivamente telefonico, perché io ero nella redazione esteri di Avvenire a Milano (dove ero entrato nel 1989), e Motta era il collaboratore-corrispondente dal Medio Oriente, da Gerusalemme dove allora si era messo al servizio del Patriarcato latino dopo una vita da corrispondente dell’Ansa da diversi Paesi, ultimo proprio Israele.

Intorno alle 15 arrivava puntuale la sua telefonata in cui spiegava le novità del giorno: non era mai uno scambio formale, un elenco di argomenti da vagliare, ma sempre una chiacchierata in cui Graziano con voce squillante e il suo classico modo vivace di parlare che tradiva la sua origine siciliana, ci teneva a far capire l’importanza di questo o quel fattore. Ogni volta trasmetteva non solo un’informazione ma un pezzo di storia del Medio Oriente. Quando finalmente a tarda sera arrivava un suo articolo, tutto quel sapere veniva fatalmente ridotto in modo drastico per i lettori perché non ci stava negli spazi. A volte lui si dispiaceva perché era stato sacrificato qualcosa di importante, ma alla fine capiva le esigenze della redazione. Anzi, un po’ si scusava per quei pezzi così lunghi dettati al telefono, che non era in grado di misurare. Nel frattempo però io imparavo ogni volta una lezione sul Medio Oriente.

Il suo entusiasmo per il giornalismo, la sua giovialità trasformarono man mano il rapporto professionale in una stima reciproca e in una amicizia: non posso dimenticare l’accoglienza che mi fece a Gerusalemme quando Avvenire mi inviò per coprire l’assassinio del premier israeliano Yitzhak Rabin avvenuto il 4 novembre 1995. Era lì ad aspettarmi e si mise tanto umilmente quanto discretamente a mia disposizione per aiutarmi a muovermi in Israele e in Cisgiordania. Mi ha così dimostrato una paternità, poi resasi evidente anche negli anni della Bussola, a cui ha accettato di collaborare con entusiasmo condividendone pienamente l’intento, tanto che dal 2014 in poi ha scritto per noi un centinaio di articoli, pur essendo ormai ultraottantenne e a un certo punto limitato da una rara malattia agli occhi. Ma in questo tempo, nelle chiacchierate telefoniche, si è andati oltre i temi imposti dalla quotidianità.

Perché Graziano Motta è stato molto più che un corrispondente dalla Terrasanta, un esperto di Medio Oriente; era un pezzo di storia del giornalismo, un testimone d’eccezione della storia del XX secolo, che ha iniziato a raccontare fin dal 1945 su giornali locali siciliani, per poi passare alla RAI – per la quale ha scritto anche il testo del cortometraggio Antenne TV con cui il 4 gennaio 1954 iniziarono le trasmissioni – e quindi al quotidiano cattolico milanese L’Italia, prima di trasferirsi all’agenzia ANSA. Questo l’ha portato a fare il corrispondente dapprima da Belgrado, allora capitale della Jugoslavia, e quindi la lunga permanenza in Medio Oriente, dapprima in Libano e poi a Gerusalemme, dove è rimasto a servizio della comunicazione del Patriarcato Latino dopo essere andato in pensione. Motta è stato anche critico musicale e letterario ed ha poi collaborato all’organizzazione del Gran Giubileo del 2000, dell’Anno Paolino (2010) e chiamato da Benedetto XVI, sempre nel 2010, come esperto all’Assemblea per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi.

Ma tutte queste attività, la storia e tutte le storie di cui è stato testimone e protagonista avevano un filo che le legava, ovvero la fede che si capiva essere il suo habitus, il suo DNA. Probabilmente proprio per questo amava ricordare fra tutti un episodio della sua vita professionale, ovvero quello di essere stato il primo giornalista a recarsi a Medjugorje, nell’ottobre 1981, appena trapelata a Belgrado – dove era corrispondente dell’ANSA - la notizia delle apparizioni, iniziate nel giugno precedente (sulla Bussola il suo racconto di come andò, clicca qui).

Il tema unificante della sua vita è apparso chiaro quando alla soglia dei 90 anni decise di raccogliere tutte le sue esperienze in un libro Verità e beffe del secolo passato, Marcianum Press 2021 – che egli ha inteso essere un grande “grazie”, come ha spiegato nell’introduzione: «Grazie a Dio, naturalmente; un grazie ripetuto in cuore settantasettemila volte sette, testimone del dono di un traguardo longevo, raggiunto nel santo suo Timore, in lucidità di mente e salute. Altrettanto grato per l’altro sentimento, prepotente e fiducioso, declinato sommessamente nel Kirye eleison. E riflettendo sui due binari paralleli, i due poli su cui si è istradata la storia mia, come quella di ogni creatura umana: quello della grazia e della verità, dell’ubbidienza e della libertà e quello della morte e del peccato, degli abbagli e degli errori. Poli attraversati da tanti altri doni dell’Essenza divina, l’amore infinito, e la speranza, la misericordia, il perdono. Una sintesi possibile adesso, perché solo la saggezza amica degli anni consente di leggerne le trame e le connessioni, di scoprirne l’ordine che le presiede e la linfa che le anima. Così alla luce di questa maturazione mi sono affacciato sulle soglie del Mistero per comprendere il logos che lo sostanzia».

E ora quel Mistero gli si è svelato completamente. Negli ultimi tempi Graziano soleva ripetere che era «pronto ad andare incontro al Signore». E noi lo accompagniamo con la preghiera perché il Signore accolga, come recita una orazione della messa esequiale, «l’anima fedele di Graziano: nella grandezza della Tua misericordia, lavalo da ogni colpa contratta nella sua esistenza terrena e fa’ che, liberato dai vincoli della morte, possa entrare nella vita eterna».

I funerali si terrano venerdì 22 agosto alle 10.30 nella chiesa di Santa Maria Assunta a Fregene.