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"Gesù è Dio", la prova dei papiri del Magdalen College

Non solo Qumran: anche i frammenti di papiro conservati a Oxford, studiati dal papirologo tedesco Thiede, provano che i vangeli originali sono databili ai primi anni del periodo apostolico. E inoltre contengono già i nomina sacra, che dimostrano come Gesù fosse da subito riconosciuto come il Signore.

Catechismo 27_02_2022
I frammenti conservati al Magdalen College

Non solo Qumran. Ci sono altri tre frammenti di papiro che hanno sfidato la datazione tardiva dei Vangeli, che – lo ricordiamo – colloca il Vangelo di Marco nell’anno 70, nell’80 quelli di Matteo e Luca, mentre la scrittura del Vangelo di Giovanni è spostata alla fine del primo secolo o all’alba del secondo.

Dunque, ancora tre frammenti di papiro, ma questa volta non appartenenti ad un rotolo, bensì ad un codice, scritto recto e verso: il primo misura 4,1 x 1,2 cm; il secondo 1,6 x 1,6; ed il terzo 4,1 x 1,3. Il passaggio dal rotolo al codice potrebbe essere avvenuta con il progressivo distanziamento della comunità cristiana dalla sinagoga. L’identificazione dei frammenti è chiara: si tratta di alcuni versetti del capitolo ventiseiesimo del Vangelo di Matteo, che parlano dell’unzione di Gesù da parte di una donna, alla vigilia della Sua Passione, e del tradimento di Giuda.

Conservati al Magdalen College di Oxford, questi frammenti sono il frutto della scoperta di un missionario anglicano, il rev. Charles Bousfield Huleatt (1863-1908), che li trovò a Luxor, in Egitto, e li donò, nel 1901, al collegio dove egli stesso aveva compiuto i suoi studi. I frammenti vennero subito datati dal papirologo Arthur Hunt al IV secolo, sulla base della convinzione errata che i codici avrebbero sostituito i rotoli solo a partire dal III-IV sec.; poi, nel 1953, Colin Roberts spostò la datazione indietro di quasi due secoli, collocandoli così alla metà del II sec. d. C. I papiri rimasero lì, per lo più dimenticati, testimonianza di antiche scritture del primo Vangelo, ma senza chissà quale interesse da parte degli studiosi ed ancor meno del grande pubblico.

Ci volle tutta la passione e la curiosità di un altro papirologo, che abbiamo già nominato in relazione ai frammenti 7Q5 e 7Q4 (vedi qui), il tedesco Carsten Peter Thiede, che si trovava a Oxford per una ricorrenza familiare della moglie, inglese. Un papirologo, però, non va mai in vacanza; e così Thiede chiese al College di poter osservare il papiro P64. Incuriosito dal tipo di scrittura presente nel frammento e stupito dalla dimenticanza in cui era caduto, Thiede ebbe modo di osservarlo con attenzione altre volte, servendosi anche di un microscopio, ideato con il biologo Georg Masuch, che utilizzava la scansione laser confocale epifluorescente. Thiede era perciò in grado di poter vedere quanto l’inchiostro si fosse impresso nel papiro e comprendere dunque se alcuni segni difficili da decifrare fossero stati tracciati o fossero semplicemente involontarie macchie d’inchiostro.

Con questo microscopio poté anche ricostruire con grande precisione le lettere nella loro integrità, accorgendosi così che quello stile di scrittura era ben noto. Così, nel 1994, il papirologo tedesco ipotizzò che in realtà i papiri del Magdalen College dovevano essere datati prima del 70 d. C. La “pistola fumante” fu per Thiede quella particolare scrittura onciale, che ha dei gemelli in altri papiri, i quali si collocano nei primi anni della seconda metà del I secolo e non oltre. In particolare, il papiro di Ossirinco, pubblicato nel 1899 – un papiro che conserva la dichiarazione a dei funzionari da parte di un agricoltore circa il numero di agnelli presenti nel proprio gregge - ha la particolarità estremamente rara di recare con sé la sua precisa “data di nascita”: il dodicesimo anno dell’imperatore Nerone, cioè il 65/66 d. C. Sono dunque ragioni di carattere comparativo – che qui abbiamo solo riassunto – ad aver portato Thiede a ritenere il papiro del Magdalen College come il più antico esemplare dei Vangeli, coevo ai frammenti del Vangelo di Marco rinvenuti a Qumran.

Thiede pubblicò il suo studio approfondito sulla rivista specialistica Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, ma la notizia non avrebbe riscosso tanto interesse – e tante reazioni contrarie – se il giornalista Matthew d’Ancona non avesse divulgato su The Times di Londra la scoperta.

P64 costituisce chiaramente non l’originale, ma un copia del primo Vangelo. Questo significa che l’originale dev’essere ancora più antico, tanto più che il Vangelo di Matteo in greco è la traduzione di un originale in lingua ebraica, come attestato da Origene e san Girolamo, sorte che probabilmente riguarda anche gli altri sinottici (vedi qui).

La datazione del papiro del Magdalen College alla metà del I secolo acquista importanza anche per un altro dettaglio. In essi si ritrova la più antica testimonianza dell’utilizzo dei nomina sacra negli scritti cristiani. Si tratta di abbreviazioni di nomi sacri, dei quali viene scritta solamente la prima e l’ultima lettera. Il primo si trova nel frammento 3 recto, dove Kyrie viene scritto come KE; la seconda nel frammento 1 recto, che abbrevia Iēsous con IS. Secondo lo studioso tedesco Ludwig Traube, che ne tratta in riferimento ai papiri greci dei primi secoli in generale, non si tratta di semplici abbreviazioni o contrazioni, ma appunto di nomina sacra, così scritti per ragioni teologiche, che si collegano all’uso ebraico di “abbreviare” il nome sacro di Dio.

Non era una novità cristiana; la novità stava però nel fatto che questa abbreviazione riguardasse il nome di Gesù, il suo titolo di Signore, confessandolo in questo modo apertamente come Dio. La “divinizzazione” del Signore non sarebbe stata pertanto il frutto di un lungo sviluppo successivo, maturato con i primi concili ecumenici, ma una consapevolezza confessata fin dal primo secolo. Il fatto che i cristiani arrivino ad utilizzare così apertamente il nome di Gesù come nomen sacrum, indica anche la rottura consumata con le correnti giudaiche, avvenuta con il martirio di Giacomo, “il fratello del Signore”, nell’anno 62 d.C. A partire da quell’anno non c’erano più ragioni “pastorali” per evitare motivi di tensione con la tradizione ebraica; e così il rotolo venne progressivamente abbandonato in favore del codice, e i nomina sacra cristiani poterono essere utilizzati nella copiatura.