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ALCUNI CRITERI

Dopo elezioni, per i cattolici una strada dal basso

Dentro la Chiesa ci sono due modi di intendere le cose politiche, quella dei cattolici-democratici e quella dei cattolici-che-intendono-distinguersi-dai-cattolici-democratici. Tra le due posizioni, prima che di orientamento politico, ci sono differenze teologiche. La sola via possibile è far nascere dal basso esperienze formative e poi di orientamento politico, con criteri molto demarcati e definiti da giocare poi con interlocutori politici.

Editoriali 29_01_2020

Anche dopo le elezioni in Emilia Romagna, molti cattolici-che-intendono-distinguersi-dai-cattolici-democratici si chiedono cosa fare. Bisogna essere realisticamente scettici verso la politica da cui non è mai lecito attendersi troppo rispetto al poco che sa dare. Però non si può nemmeno abbandonarla a se stessa, dato che molti aspetti importanti della vita comunitaria passano ancora da lì, nonostante i limiti dei suoi protagonisti. Per tentare una risposta al “che fare?” bisogna da un lato dare una valutazione della recente vicenda elettorale emiliano-romagnola e dall’altro tornare ai fondamenti. Proviamo a farlo.

I cattolici-che-intendono-distinguersi-dai-cattolici-democratici non devono pensare di essere stati sconfitti dall’esito elettorale, prima di tutto perché essi non si consegnano a nessuna parte politica, e poi perché gli esiti elettorali dipendono da mille variabili, molte delle quali imponderabili. Certamente essi non potevano votare Bonaccini, ma con ciò non si sono fatti Salviniani. Il loro ragionamento è stato di cercare la parte che permettesse maggiore agibilità politica ai loro princìpi, non era di identificarsi con una parte. Quindi, anche dopo il risultato, possono esprimere un giudizio dal di fuori o, se volete, dall’alto.

Considerato in questo modo, il risultato elettorale presenta alcuni aspetti da valutare adeguatamente. Non faccio l’analisi delle strategie e dei comportamenti in campagna elettorale, argomenti di cui la Nuova BQ ha già trattato. Mi limito ad osservare che il Partito democratico ha vinto ma ha dimostrato di aver avuto paura e di sentirsi realmente minacciato nella sua roccaforte storica. Ha vinto, ma tirando un sospiro di sollievo alla vista dei risultati e non dormendo sonni tranquilli mentre si aprivano le urne. Certamente ha vinto su Salvini, ma ancora di più sui 5 stelle che ora sono indeboliti anche nel governo e che possono diventare bacino elettorale di voti futuri per un PD allargato.

Quanto a Salvini e alla Meloni: siamo sicuri che sarebbero veramente stati contenti di vincere? Amministrare una regione come l’Emilia Romagna non è facile. I Bonaccini vengono da una scuola che comunque sapeva il fatto suo, ma le Borgonzoni da dove vengono? Se i perdenti avessero vinto, avrebbero avuto poi gli uomini capaci di tanta impresa? Il protagonismo elettorale di Salvini è dovuto anche a questo, ossia alla mancanza di una vera e propria classe di governo. Più  che una scelta è stato un caso di necessità. Per questo motivo sostengo che, tutto sommato, avere minacciato da vicino il colosso PD a casa sua e averlo fatto traballare, nonché avere davanti cinque anni per rafforzare le proprie file e il proprio staff politico può rappresentare una accettabile soluzione per i cosiddetti perdenti alle elezioni di domenica scorsa.

Veniamo ora all’altro tema della questione. I cattolici-che-intendono-distinguersi-dai-cattolici-democratici sanno bene che il problema dell’agibilità politica dei cattolici comincia dentro il mondo cattolico prima che nei partiti. Prima di essere una offerta da parte dei partiti, è una richiesta da parte dei cattolici in base a dei principi. In quale partito andranno a finire i cattolici non si decide in politica, ma prima, dentro la Chiesa. Qui, dentro la Chiesa, nascono i due modi di intendere le cose politiche, quella dei cattolici-democratici e quella dei cattolici-che-intendono-distinguersi-dai-cattolici-democratici. Tra le due posizioni, prima di esserci differenze di orientamento politico, ci sono differenze di orientamento teologico.

Se questo è vero, allora ne deriva una conseguenza importante. Non è più possibile, anzi è controproducente, fare elenchi di princìpi, di valutazioni politiche e di direttive di azione che valgano sia per i cattolici-democratici e sia per i cattolici-che-intendono-distinguersi-dai-cattolici-democratici. Sono in corso anche in questo momento simili tentativi, come lo sono stati in passato, nelle epoche dei diversi progetti di “ricomposizione dell’area cattolica”. Ma sono inutili e controproducenti. Inutili in quanto vorrebbero unificare a valle quando non è unificato a monte. Controproducenti perché mirano ad un minimo comun denominatore che scontenta tutti e abbassa il livello dell’apporto cattolico alla politica. Progettare un luogo prepolitico in cui ci possano stare tutti i cattolici oggi è sconveniente e impossibile.

Si apre allora un’altra strada: cominciare dal basso a far nascere esperienze prima di tutto formative e poi anche di orientamento politico fondate su una rosa di princìpi, criteri e direttive d’azione non cattolicamente generica, ma molto demarcata e definita. Escludente anche? Sì, anche escludente. Non nel senso che non sia rivolta a tutti, ma nel senso che non è per tutti. In internet, in questi giorni, molti hanno richiamato in causa i “comitati civici” di Gedda. Non sono più i tempi, ma si tratterebbe di fare qualcosa di analogo: una rete di cattolici-che-intendono-distinguersi-dai-cattolici-democratici che si forma e si collega dal basso e poi si rivolge al mondo politico con delle chiare e non generiche idee in testa per vedere quale possa garantire una agibilità politica. La lettura che ho fatto sopra sull’esito delle regionali in Emilia Romagna sembrerebbe incoraggiare questa prospettiva.