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LIBERAZIONE

Don Mauro Fornasari, un giovane martire sconosciuto

Il 5 ottobre 1944, don Mauro Fornasari, un giovane religioso, veniva ucciso a Logara (Bologna) dai fascisti. In suo ricordo è stata allestita una mostra itinerante, inaugurata nella parrocchia di Longara, e un nuovo studio: Vangelo e coscienza – Antifascismo e Resistenza dei cattolici bolognesi”. 

Cultura 30_04_2015
La copertina del libro Vangelo e coscienza

La mano sovvertitrice si è fermata a Longara. La sua campagna vede preservate molte delle connotazioni ambientali di prima dell’ultima guerra e lo spazio ordinatissimo attorno alla chiesa parrocchiale di san Michele Arcangelo (con il campanile che si annuncia da lontano) non è stato aggredito dall’espansione urbanistica di Bologna che si è fermata a pochi chilometri di distanza oltre l’aeroporto, a Calderara di Reno, il Comune di cui è una frazione. Longara riesce così a presentarsi come doveva essere settanta anni fa, quando nel pieno della tempesta fratricida, il 5 ottobre 1944, un giovane religioso – aveva ventidue anni, era stato da poco ordinato diacono e sua mamma aveva già deposto nella cassapanca di famiglia la veste per la sua prima messa – veniva ucciso pochi chilometri lontano, sul greto del torrente Lavino, presso Gessi, nel territorio di Zola Predosa.   

Si scoprirà un anno dopo, a guerra finita, quando fu possibile istruire un processo, che era stato verosimilmente un veterinario, noto esponente fascista, papà di due ragazzi ai quali il seminarista impartiva delle lezioni private, a segnalarlo agli assassini, militi della Guardia nazionale repubblicana e delle Brigate nere “Facchini”: per odio religioso e l’acceso anticlericalismo nel clima di esasperata conflittualità e violenza del tempo. Più che un delitto fu un martirio. Ed è per questo che la devozione di don Mauro Fornasari, questo il suo nome, si è sviluppata nell’arcidiocesi di Bologna.  La sua memoria, coltivata da seminaristi suoi coetanei, in particolare da don Dante Campagna, che presiede un’associazione di fedeli che ne porta il nome, e da mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, continua a sfidare il tempo, a suscitare sempre nuovo interesse , e da ultimo una mostra, concepita come itinerante, inaugurata nella parrocchia di Longara, e un nuovo importante studio del suo biografo, lo storico Alberto Mandreoli , dal significativo titolo Vangelo e coscienza – Antifascismo e Resistenza dei cattolici bolognesi, presentato in questa occasione. Giusto in tempo per inserirsi come importante contributo commemorativo dei 70 anni della Liberazione. 

Tante le ragioni di una così forte attrazione. Innanzi tutto le circostanze del suo assassinio, ma certo anche la sua personalità , il suo carisma, la sua fede, la sua testimonianza del Vangelo e l’offerta della vita nel pieno della sua giovinezza : virtù espresse in modo esemplare in un momento tempestoso.  Ecco perché il rettore del Seminario bolognese, mons. Roberto Macciantelli, nella prefazione della biografia, opera dello stesso prof. Mandreoli, edito dalla “Dehoniana Libri”, può esaltare la «figura eminente» di don Mauro come «dono particolare per il nostro Presbiterio diocesano…. trovando in lui una vera scuola di santità e un forte motivo di identità, ispirazione, incoraggiamento». Don Mauro é l’unico diacono tra i 19 religiosi “martiri e confessori” ricordati in una lapide nella cappella del Seminario. «Nonostante  siano tanti gli anni passati da quelle vicende che hanno insanguinato le nostre comunità, sappiamo», afferma mons. Macciantelli, «come ogni giorno debba essere grande l’impegno per continuare a costruire la concordia e il rispetto della dignità di ciascuno, crescendo nella capacità del perdono e non della vendetta, della giustizia e non dell’usurpazione violenta». 

Se il Seminario di Bologna non fosse stato distrutto da un bombardamento nel 1943, don Mauro vi sarebbe rimasto fino all’ordinazione sacerdotale prevista per la primavera del 1945. Dovette invece ritornare in famiglia; ne profittò per  impegnarsi intensamente in parrocchia , animando molteplici attività e testimoniando ovunque la carità cristiana. «Era dotato di un’intelligenza e di una spiritualità ferma…. era un entusiasta, un energico, un coraggioso….un nemico della guerra…. al di sopra delle parti… un innamorato della Creazione tanto da iscriversi alla facoltà di Scienze naturali», così viene ancora oggi ricordato. «Era un catechista rigoroso» e così pure «un consolatore… dallo stile controcorrente … un pacificatore in tempo di guerra» . Visitava ammalati e bisognosi, ma essere stato notato talvolta a portare del cibo a sbandati che si erano dati alla macchia nella campagna, avrà presumibilmente convinto qualche sostenitore del regime della sua avversione; da qui la delazione e, poi, quel che fu considerato un tradimento.  Il titolo del libro biografico “Chi cercate?”, evoca inequivocabilmente la cattura di Gesù nel Getsemani tramandataci dalla Passione secondo Giovanni.  

Anche la dinamica degli eventi non ha mai cessato di essere narrata e ascoltata. La sera del 4 ottobre 1944 cinque uomini armati si presentarono nella casa dei Fornasari tra i campi, erano coltivatori diretti, e chiesero a Mauro di seguirli perché serviva da testimone (ma era una fandonia) al veterinario della zona, il dott. Giuseppe Belluzzi, «inviso e prepotente», sostenitore della Rsi (Repubblica Sociale Italiana).  Lo caricarono sulla loro automobile che però percorsi alcuni chilometri su una strada poderale si fermò per un guasto, don Mauro fu costretto a scendere e uno del gruppo gli rivolse contro la pistola sparando alcuni colpi andati a vuoto. Compreso il pericolo, favorito dal buio, riuscì a sottrarsi e, correndo a zig-zag tra alberi e filari di viti, a raggiungere casa. «Miracolosamente la Madonna di San Luca mi ha fatto la grazia di essermi salvato», dirà ai suoi.

Seguì una notte terribile, di interrogativi, di incessante preghiera. Confrontandosi con i genitori, due sorelle e un fratello che erano stati presenti al prelevamento, don Mauro pensò anche a un equivoco, a uno scambio di persona. Ma quando venne presa in considerazione l’opportunità di una sua fuga – vana era risultata la richiesta di aiuto al parroco di Longara, in canonica c’era un militare tedesco – come colto da un presentimento non volle più discutere, la sua anima innocente sentì di prepararsi ad «una scelta, definitiva» . «Se questa è la mia ora, disse ai suoi, io devo restare. Non dovevo scappare ieri sera». Racconterà sua nonna Enrica: «Di fronte alla morte era scappato e questo non gli piaceva affatto di se stesso. Chiese perdono al Signore per non aver saputo accettare subito il suo momento e pregò (tutta la notte, inginocchiato) per trovare la forza di affrontare tutto quello che il Signore aveva deciso per lui» .Così quando, alle sette del mattino, i cinque si ripresentarono, pretendendo con urla e bestemmie che uscisse e si consegnasse, minacciando diversamente di bruciare la casa, di uccidere suo padre, affermò: «Si vede che il Signore mi vuole ora. Devo andare».  Le sue ultime parole di obbedienza alla propria coscienza e a Dio furono: «Ecco, è arrivato il mio momento, sono qui». Si offrì liberamente, seguendo l’esempio di Cristo. Sarebbe stato picchiato, vilipeso e oltraggiato, senza risparmiare una sola parte del suo corpo.  

Prima di essere finito con diversi colpi di pistola al volto, privato persino di un occhio, gli furono inflitte bruciature di sigaretta sugli arti e mutilazioni ai genitali. Sul greto del torrente Lavino, un cippo ricorda il martirio, fu ritrovato, lordato di sangue e di fango, che stringeva ancora nella mano il Breviario, il Salterio della sua preghiera. In quel momento dei militari tedeschi di un vicino comando, sentendo gli spari e credendo che fossero di partigiani, ignari quindi che fosse in corso l’esecuzione, aprirono il fuoco contro l’auto dei miliziani fascisti uccidendone uno e ferendone un altro.  I funerali di don Mauro riunirono nella sua parrocchia di Longara una folla sbigottita e dolente mentre nella zona il clima generale era di smarrimento e di confusione, di silenzio e di lacerazioni, di odio e di inesistenza del perdono. Erano tempi travagliatissimi anche per la Chiesa e la sua gerarchia, evocati con rigorosa lucidità –in occasione dell’ apertura della mostra commemorativa di don Mauro – da Alberto Mandreoli, lo storico che da anni conduce ricerche sulle stragi della seconda Guerra Mondiale e il loro riflesso sulla coscienza individuale laica e cattolica. Oltre ad aver scritto della vita e morte di don Mauro, tra le sue pubblicazioni va ricordata Chi resta saldo. Memoria e responsabilità sull’eccidio nazi-fascista di Monte Sole dove tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 persero la vita 770 persone.  

Ed ora, in quest’anno celebrativo dei 70 anni della liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo, il volume Vangelo e coscienza, edito da “Il pozzo di Giacobbe”. É un’opera importante che, penetrando fra le pieghe della guerra e della resistenza a Bologna, «si propone di recuperare la storia dimenticata della partecipazione dei cristiani locali alla Resistenza».  Emergono così «nomi e circostanze subito coperti da oblio per calcolo, per desiderio di voltare pagina e timore di essere accusati di intesa con il nemico, individuato, nei primi anni della Repubblica, con le amministrazioni di sinistra dell’Emilia- Romagna». É ricca di testimonianze la sofferta , obiettiva rievocazione della figura dell’arcivescovo cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca e del ruolo svolto dal quotidiano L’Avvenire d’Italia diretto da Raimondo Manzini nelle drammatiche situazioni della guerra civile. E suscita emozioni la galleria di «preti, religiosi e laici che seppero superare la tentazione dell’indifferenza; che, in nome del Vangelo, diedero ascolto alla coscienza, rifiutando complicità e silenzio, e che, di fronte a crimini ed orrori, operarono sino all’effusione del sangue». Come don Mauro Fornasari; come quei sacerdoti che condivisero nelle stragi, non solo in quella di Monte Sole, la sorte del loro gregge. Non di meno tutti quei cristiani che si prodigarono nel portare aiuto e assistenza agli inermi, ai perseguitati politici, alle famiglie di sfollati.

Lo storico Mandreoli lascia allo storico Vecchio ( citando la voce della Treccani “Guerra e Resistenza” in “Cristiani d’Italia”) la spiegazione dell’ «ansia della gerarchia ecclesiale per gli accadimenti che avrebbero potuto destabilizzare l’unità della Chiesa»: «La sincera preoccupazione di evitare guai maggiori alla popolazione civile, il tentativo di contenere il numero delle vittime e lo spargimento di sangue, gli appelli alla moderazione e alla pacificazione, la paura di dover passare dal dominio nazista a quello comunista . Presente nell’episcopato italiano era il tentativo di rinsaldare l’unità del popolo di Dio attorno al proprio vescovo contro ogni forza disgregatrice. Questo impegno […] è una chiave più utile al fine di comprendere l’atteggiamento dell’episcopato, rispetto a quella dell’anticomunismo, che, a scanso di equivoci, esisteva ed era più che radicato».

Ho introdotto nella parrocchia di Longara l’inaugurazione della mostra e la presentazione del libro di Mandreoli evocando la figura, il martirio di don Mauro Fornasari e il mantello del perdono cristiano che li avvolge . I promotori della manifestazione non si aspettavano che raccontassi come il 3 agosto 1943 ero stato testimone, a Pedara, sulle pendici dell’Etna, della prima cattura in assoluto di ostaggi civili da parte di una compagnia di militari tedeschi per rappresaglia all’uccisione di un loro soldato, vicenda da me evocata in un libro che ricorda pure come i miei concittadini, uno era mio vicino di casa, ebbero salva la vita grazie all’intervento di mons. Francesco Pennisi, rettore del seminario arcivescovile di Catania. Ho scritto pure in questo volumetto , edito da I.l.a Palma nel 1977, della contemporanea insurrezione antitedesca nella vicina cittadina di Mascalucia e della strage compiuta il 12 agosto per le vie di Castiglione di Sicilia, sempre nella zona etnea, da un reparto tedesco: 16 civili morti e 20 feriti. Tre episodi tuttora largamente sconosciuti, precursori di quella che sarebbe stata la Resistenza.