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IL BELLO DELLA LITURGIA

Dalla bellezza del Paradiso all’orrore del peccato

La chiesa fiorentina di Santa Maria del Carmine custodisce due capolavori dell’arte, uno di Masolino e l’altro di Masaccio. Aulico e cortese sembra essere il mondo da cui emergono le figure slanciate e armoniche dei nostri progenitori nella versione che ci restituisce Masolino. Intensa e drammatica, invece, è la scena dipinta sul lato opposto da Masaccio, che raffigura il dramma del peccato originale.

Cultura 16_02_2019
Masolino da Panicale e Masaccio, La tentazione dei progenitori e La cacciata dal Paradiso Terrestre, Firenze - Chiesa di Santa Maria del Carmine

Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Genesi 3, 9-12


Firenze, Oltrarno. Qui, nel 1268 si costruì la chiesa di Santa Maria del Carmine, all’interno di un convento, ovviamente carmelitano, ancora oggi esistente. Di quella chiesa, rimaneggiata nei secoli, poco rimane di quel periodo, offesa come fu da un devastante incendio nel 1771. Le fiamme risparmiarono la barocca cappella Corsini e la Cappella Brancacci, celebre nel mondo per l’apporto di due grandi maestri della storia dell’arte italiana: Masolino da Panicale e Masaccio, suo presunto allievo, più probabilmente suo collega e collaboratore.

La suddetta cappella, sulla testata destra del transetto, fu fondata alla fine del Trecento dagli esponenti di un’antica famiglia patrizia di Firenze, i Brancacci appunto. Il programma iconografico, commissionato a Masolino, fu dedicato a san Pietro, protettore del capostipite della casata. Gli episodi salienti della sua vita, quale successore scelto da Cristo, rappresentano il conseguente sviluppo di una più lunga storia della salvezza che ebbe inizio con il peccato originale e la cacciata dal Paradiso Terrestre. Quindi, con Adamo ed Eva.

Sono proprio questi i due soggetti che occupano i riquadri (La tentazione dei progenitori di Masolino e La cacciata dal Paradiso Terrestre di Masaccio) dello spessore dell’arco d’accesso alla cappella: si guardano, uno di fronte all’altro, in posizione speculare. Occorre leggerli insieme.

Aulico e cortese sembra essere il mondo da cui emergono le figure slanciate e armoniche dei nostri progenitori nella versione che ci restituisce Masolino. Avvolti in una morbida luce, fluttuano, almeno così sembra, nel vuoto, in uno spazio che identifichiamo come il Paradiso Terrestre per la presenza di una pianta, a sinistra di Eva, dalle fronde rigogliose. È l’Albero del Bene e del Male, un tempo più carico di frutti, come testimoniano alcuni disegni e incisioni ottocenteschi. «Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza» (Gn 3,6), si trova scritto nella Genesi. Si tratta di un fico che, nella tradizione medievale, in quanto frutto che produce un liquido bianco simile al latte, rimandava all’idea di fertilità e di abbondanza, piuttosto che di una sessualità legata al concetto di istinto e di tentazione.

Ed eccolo il tentatore, le cui spire sono avvolte sinuosamente attorno al tronco, apparire, seducente, con un’ambigua testina umana piena di capelli. Adamo ed Eva sono bellissimi, di una bellezza ancora classica e i loro sguardi indecifrabili non lasciano trasparire alcuna emozione.

Intensa e drammatica, viceversa, è la scena dipinta da Masaccio sul lato opposto. Eva, soprattutto, esprime tutto il suo dolore, la sua rabbia e la consapevolezza dell’errore commesso in quel grido che sembra risuonare dalla smorfia della bocca aperta. Adamo “parla” con la postura del corpo e delle mani che coprono il volto per la troppa vergogna.

Sono nudi - il testo biblico li diceva, in realtà, vestiti delle tuniche di pelli fatte da Dio - ed escono dalla porta dell’Eden, da Masaccio vista in scorcio. Poggiano saldamente i piedi sul terreno su cui si proiettano anche le loro ombre. La definizione precisa dello spazio, la volumetria e la plasticità delle loro forme, accentuate da un sapiente utilizzo di luci e ombre, conferiscono profondo realismo al racconto. E l’angelo che li sovrasta, con la spada sguainata, indica loro la durezza della via che, con il loro gesto di disubbidienza, hanno scelto di intraprendere.

Due maestri e due concezioni pittoriche distanti tra loro e opposte, ancora tardogotica una e già così intrisa di Umanesimo l’altra. Perfette, l’una e l’altra, per descrivere la situazione idilliaca della vita dell’uomo in Paradiso e la drammaticità della stessa vita dopo il peccato originale.