Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Norberto a cura di Ermes Dovico
denatalità

Al Piano per la famiglia non crede neppure il Governo

Ascolta la versione audio dell'articolo

Il Piano Nazionale per la Famiglia licenziato dal ministero della Roccella è stato ignorato da tutti, anche dallo stesso esecutivo. Perché è un libro dei sogni in cui mancano risorse e una vera riforma normativa in chiave anti-denatalità. E soprattutto idee per invertire il calo demografico. 

Famiglia 06_06_2025

Si chiama “Piano nazionale per la famiglia 2025-2027” (QUI), ma a quanto pare si legge libro dei sogni. Che le politiche famigliari del Governo siano ormai una Cenerentola lo si era capito da un po’. Mancano le risorse e mancano le idee e questo nonostante il Governo continui a fregiarsi del titolo di esecutivo “amico della famiglia”. Ma a conti fatti, i risultati latitano.

E latitano soprattutto in quel Ministero della Famiglia guidato da Eugenia Roccella, che arranca tra il lamento del “poche risorse” e il sogno di una svolta in chiave natalista che non arriva mai. In questo senso si potrebbe leggere con una ventata di ottimismo il nuovo piano lanciato dalla Roccella, l’ennesimo dopo i vari family act del passato dei quali si è persa traccia.

Ma se si pensa che la notizia del lancio di questo nuovo Piano è passata praticamente inosservata, viene il sospetto che il primo a non crederci sia proprio il Governo. 

Non è un caso che persino Avvenire, pur con tutte le cautele del caso, cioè con un articolo di taglio basso affidato al docente della Lumsa Matteo Rizzolli e con un titolo generoso, non pare entusiasta. «Ci vorrebbe il coraggio di sperimentare soluzioni audaci, ma non sembra giunto ancora il momento storico per farlo», dice Rizzolli, che ammette come il Piano licenziato dalla Roccella, dopo il lavoro svolto dall’Osservatorio per le politiche famigliari, sia «prudente e realista» anche se in «mancanza di svolte radicali» mira a far emergere le soluzioni locali. Tradotto: il piano guarderà a promuovere quelle esperienze locali, Comuni e Regioni, dove qualcosa si sta facendo per promuovere la famiglia in tutti i suoi aspetti. Ma lo Stato dov’è? Che cosa ci mette? E soprattutto quanto?

Ma se il momento storico non è quello in cui – sono i dati 2024 – l’Italia ha toccato un altro minimo storico con 1,18 figli per donna, quando dovrà mai essere?

Rizzolli, dunque, che pure di proposte ne ha avanzate, dice che il piano è comunque apprezzabile anche se «il silenzio con cui è stato lanciato interroga profondamente. E del resto, se nessuno ne ha parlato, per quale motivo bisogna sentirsi autorizzati e ritenere che il Governo punti su questa ennesima raccolta di schemi e soluzioni sociologiche infarcite di inglesismi, per risollevare le sorti dell’italica natalità?

Tanto più se si pensa che una delle iniziative più significative partorite dall’Osservatorio, di cui fanno parte rappresentanti minori di quasi tutti i ministeri, sindacati, rappresentanti dell’Anci e – almeno – rappresentanti del Forum Famiglie, è quella del Family Welfare Manager.

Ecco la trovata: un manager che coordini il lavoro di assessorati ed enti comunali o regionali e che «sia in grado di coordinare le realtà territoriali nella gestione integrata e di governance multi-attore delle politiche e dei servizi di welfare familiare». Vale a dire, un funzionario (o un esterno alla pubblica amministrazione, boh!) che stia lì tutto il giorno col cappello in mano e che discuta con tutti gli organi decisionali della politica per inserire un occhio family friendly alle varie decisioni.

Il fatto è che il tutto è vincolato da due ostacoli non di poco conto messi nero su bianco dalla Roccella nella sua introduzione: «Un insieme di proposte che delinea un quadro organico di interventi dall’approccio innovativo e ancorato a due criteri fondamentali: la realizzabilità a normativa vigente e a risorse correnti». Questo significa che tutto ciò che si trova nel piano, vale a dire poco in termini concreti, ma molto in termini di prospettive e scenari, è purtroppo ancorato a due zavorre insuperabili: il fatto che non ci sono soldi, o meglio, che non si decide di andare a prenderseli e il fatto che la normativa vigente non permette molti voli pindarici sul tema dell’incentivo alla natalità.

Basti ricordare, a proposito di interventi legislativi assenti, che la riforma dell’Isee, attualmente il principale indicatore di valutazione della ricchezza famigliare, non è mai stata messa al centro del dibattito politico. Eppure, l’Isee è profondamente ingiusta per le famiglie, soprattutto quelle numerose; ma non bisogna dimenticare che riforme come Quoziente famigliare o Fattore famiglia sono strombazzate qua e là, ma mai seriamente affrontate. Perché a livello normativo, ciò che manca soprattutto è una vera riforma fiscale in chiave famigliare che consideri come soggetto fiscale la famiglia con figli. Tutto il resto sono specchietti per le allodole.

E anche a livello di risorse siamo al palo. I vincoli di bilancio impediscono a Governo di stanziare cifre ingenti, cifre di largo respiro per provare almeno ad eliminare una delle cause (che non sono solo economiche) per cui oggi non ci si sposa e non nascono figli.

Le politiche famigliari sono state tenute ai margini del Pnrr e in Europa non è mai partita una seria battaglia per far uscire le spese per figli e anti-denatalità dal patto di stabilità. Di tutto questo dovrebbe farsi carico la politica, che però non lo fa, andando ad allargare le maglie dell’indebitamento possibile per gli armamenti, ma non per le famiglie. Sono scelte, in fondo.

Così come i Centri per la famiglia, misteriosi ircocervi su cui il Governo dice di voler puntare per «strutturarne le funzioni e popolarli di figure specificamente formate affinché diventino veri e propri luoghi di accompagnamento, supporto e orientamento». Basterà un Centro per la famiglia in ogni comune per risollevare le sorti? E da chi saranno guidati?

Il timore è che con la creazione di figure aleatorie come il Family Welfare Manager e i Centri per la famiglia, carichi di tutto il valore che vogliamo, ma privi di un’autonomia e di una legittimazione derivante dall’essere organici alla struttura della macchina pubblica, il Piano finisca per arenarsi nelle secche di una impalpabile inoperosità.

Che poi, per stessa ammissione della Roccella, non sarebbero nemmeno delle novità, perché evidentemente oltre alle risorse e alla volontà di cambiare le leggi, soprattutto quelle fiscali che regolamentano il rapporto della famiglia con lo Stato, a mancare sono anche le idee.

Le idee sarebbero già una svolta naturale. In altri paesi c’è chi le idee le ha. In America, ad esempio, un signore che risponde al nome di J.D. Vance, che da sei mesi è vicepresidente degli Stati Uniti d’America, in passato aveva sostenuto l’idea di alcuni demografi di legare il voto dei cittadini al carico famigliare sostenuto, in modo tale che il voto del capo famiglia potesse pesare in rapporto al numero di bocche da sfamare e da rappresentare.

Non è ancora diventata una proposta di legge, ma solo al momento. Però è già rivoluzionario averlo pensato. In Italia, idee come queste sarebbero bocciate immediatamente come classiste o patriarcali. Anche dal Governo attuale.