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CLOROCHINA, APPELLO DEI MEDICI

«Vogliamo curare, chiediamo ad Aifa un cambio di passo»

«Siamo medici del servizio sanitario nazionale, abbiamo passato la vita a curare e vogliamo continuare a farlo». Dopo l'ordinanza del Consiglio di Stato sull'idrossiclorochina parlano i medici che hanno condotto la battaglia per l'utilizzo off label dell'antimalarico. L'oncologa Paola Varese: «Ho passato le notti a studiare 600 lavori sull'HCQ e non sono mai stata così turbata dalla totale dissonanza tra ciò che abbiamo visto nella pratica clinica e la narrazione dei mezzi di stampa. Per questo chiediamo ad Aifa l'attivazione di un registro apposito». 
- LOCKDOWN, CI TRATTANO COME POLLI DI ALLEVAMENTO, di Riccardo Cascioli

Attualità 15_12_2020

«Abbiamo passato tutta la vita a curare e ora non chiediamo altro che continuare a curare. Per questo abbiamo avanzato ad Aifa la richiesta di attivazione della legge 648 che permette un registro di tutta la casistica di utilizzo di un farmaco prescritto con indicazioni diverse da quelle registrate».

La sentenza del Consiglio di Stato sull’idrossiclorochina somministrata in fase precoce della malattia da Covid 19 ha affermato l’importanza delle cure domiciliari per intervenire subito alla comparsa dei primi sintomi per non sovraccaricare gli ospedali. 

Ma contemporaneamente ha dato una ragione ai 150 medici di medicina generale, che hanno chiesto di poter continuare a somministrare l’antimalarico off label come era stato possibile con la determina AIFA del 17 marzo 2020 fino a maggio 2020. 

Tra le esperienze che hanno convinto il collegio giudicante presieduto dal giudice Franco Frattini, ci sono anche quelle di Paola Varese (in foto), oncologa dell’Asl di Alessandria che, assieme a Luigi Cavanna e Alessandro Capucci, hanno fornito le evidenze di una cura portata avanti nella prima fase di pandemia, in maniera quasi pionieristica, ma efficace. 

Il tempo per festeggiare però non c’è. La pandemia è ancora in atto e l’obiettivo è ora quello di far comprendere che l’idrossiclorochina è una delle armi, non certo la sola, che i medici di famiglia hanno a disposizione per fermare la malattia che, affrontata subito, può avere la guarigione a portata di mano. Il tempo del vaccino è il futuro prossimo ma il tempo presente è quello della cura e ciò che è difficile comprendere è perché enti regolatori e governativi non decidano di puntare tutto, risorse, sforzi ed energie, sulla cura domiciliare. 

Dottoressa Varese, come avete festeggiato dopo la vittoria in Consiglio di Stato?
Non si può festeggiare, quando ci sono 62 mila morti di Covid, si deve piangere per non avere potuto salvare quel 24-30% di essi che si sarebbero potuti forse curare se ovunque in Italia i territori avessero provato o avessero potuto mettersi in gioco.

Ci parli dei risultati dei vostri studi che avete sottoposto al CdS.
L'esperienza più emozionante della mia vita professionale è stata confrontare i dati di idrossiclorochina usata precocemente a casa in pazienti sintomatici con il professor Cavanna di Piacenza, mio amico oncologo, il prof Alessandro Capucci di Bologna, già direttore della Scuola di Specializzazione di Chirurgia Toracica dell'Università Politecnica delle Marche e il dott. Andrea Mangiagalli, medico di medicina generale di Milano: erano uguali.

In che senso?
I nostri dati hanno dimostrato che solo il 5-6 % dei nostri pazienti sintomatici è stato ricoverato a fronte di oltre il 20% previsto dai Report ISS e abbiamo avuto ben poche morti rispetto a quanto capitava nel resto d'Italia. Le posso confermare che in ambito clinico non è frequente avere questa assoluta concordanza di dati, tra casistiche provenienti da territori differenti e gestite da operatori di diversa estrazione. 

Ora che cosa serve?
Abbiamo dato vita a un coordinamento nazionale di vari professionisti del Piemonte, Lombardia, Friuli, Emilia-Romagna, Marche, Puglia, Calabria e Sicilia. Altri si stanno aggiungendo. Stiamo realizzando un database nazionale. Ieri abbiamo inviato a tutte le Istituzioni coinvolte la nostra relazione tecnico-scientifica che, con molta umiltà, prova a evidenziare come gli stessi dati citati da AIFA siano indirettamente a favore proprio dell'utilizzo di idrossiclorochina in fase precoce di malattia al domicilio. La sicurezza anzitutto. Ma anche l'efficacia se il farmaco viene prescritto al paziente giusto, nel momento giusto di malattia. 

Eppure, a livello mediatico e stando anche ad alcune affermazioni si continua a dire che l’HCQ non serve a nulla…
Guardi, da marzo ad oggi mi sono letta 600 lavori sull’idrossiclorochina, ho passato intere notti e week end on line e in conference call con tanti "colleghi di avventura" e le posso dire che non sono mai stata così turbata (e i miei colleghi pure) dalla totale dissonanza tra ciò che abbiamo visto nella pratica clinica e ciò che è stato narrato da mezzi di stampa, dalla stessa Aifa e da alcuni  illustri colleghi universitari. 

Eppure, ci sarà un motivo?
Il fatto è che tutti parlano di EBM (evidence based medicine), ma, durante il confronto diretto, alla prima richiesta di chiarimenti, pochi hanno dimostrato di avere letto sul serio i lavori che citavano. 

Intende dire che si riferivano a studi che parlavano di fasi della malattia non compatibili in realtà con un uso efficace di idrossiclorochina?
Sì, gli stessi lavori citati da AIFA per giustificare la mancata autorizzazione all'uso dell'idrossiclorochina, erano o in prevenzione o su pazienti gravissimi ospedalizzati. Ci siamo sentiti accusare di essere oscurantisti, populisti, medici alternativi. Un pensiero unico, talvolta acritico, un dibattito condotto sui social a volte fazioso.

Come sono stati i vostri rapporti con Aifa?
Abbiamo provato in tutti i modi, umilmente, ripetutamente e inutilmente a essere ascoltati, a chiedere l’attivazione del registro 648, ma non ci è mai stato risposto. Eppure, siamo tutti operatori del Sistema Sanitario Nazionale, che hanno dedicato la loro intera vita alla sanità pubblica, curando centinaia di pazienti, secondo le evidenze scientifiche e prestando massima attenzione alle indicazioni regolatorie. 

Però ad oggi per il Covid non c’è una cura definitiva. 
Per il Covid 19 non ci sono cure definite e certe e tutti i farmaci, anche i più costosi, sono stati sconfessati. Perché rinunciare allora a una cura che invece è promettente a certe condizioni, a basso costo, di facile gestione, come dimostrato dalle esperienze sul campo, a fronte di nessuna alternativa?

Perché vi siete concentrati sull’idrossiclorochina? Alcuni suoi colleghi hanno risposto che c’erano già degli studi cinesi a marzo. 
È così. Io personalmente e con me tanti colleghi siamo rimasti colpiti dalle evidenze cliniche di cui parlava già a marzo il dottor Pierluigi Viale professore dell’Università di Bologna che spiegava la fisiopatologia di Covid 19 e il meccanismo di azione dell’HCQ in una sua lezione universitaria, poi finita su Youtube. La lezione del prof. Viale, a inizio pandemia, quando tutto era confuso e i morti non trovavano né spazio né dignità di sepoltura, è stata per tutti i medici di Italia un riferimento prezioso che ha supportato le scelte terapeutiche fino a allora compiute n modo quasi artigianale ognuno stava facendo, tra ansia e angoscia.

Se dovesse incontrare un collega medico che al sentir parlare di idrossiclorochina arriccia il naso, che cosa gli direbbe?
Gli direi che il coordinamento dei medici è nato per un confronto pacato e sereno tra le diverse esperienze e  perché i medici non si sentissero soli nella battaglia sul territorio. Gli direi che a oggi ci sono 195 studi scientifici pubblicati su idrossiclorochina e il 70% di essi ne sostiene efficacia e sicurezza. Gli direi che nel dubbio, non priverei un malato di una opportunità di cura efficace nel 30% dei casi, fino a quando la scienza non ci porterà a nuovi e migliori farmaci . 

Gli direi anche che tutti noi abbiamo il dovere etico di non lasciare soli i nostri malati cercando di dare loro ogni opportunità di cura a casa, soprattutto se anziani e con polipatologie. Molte morti di pazienti covid in ospedale avvengono per sovrainfezione batterica da germi poliresistenti. L'ambiente domestico, in questo senso, è molto più sicuro. Poi, subito dopo, lo solleciterei a tenere i dati clinici con oggettività e rigore: noi tutti dobbiamo contribuire al progresso della scienza. 

E a un paziente affetto da covid ai primi sintomi, come giustificherebbe la somministrazione di clorochina?
Gli dire che l’HCQ ha due caratteristiche fondamentali: un’azione antivirale sull’entrata del virus dentro le cellule, in fase precocissima, diciamo dal primo al secondo giorno di infezione fino al sesto dallo sviluppo dei sintomi. E poi un’azione immunomodulatoria sul sistema immunitario che impedisce lo sviluppo della tempesta citochinica, che è la prima causa di morte da covid. Gli direi che idrossiclorochina sarebbe solo uno dei farmaci della sua cura, che prima di prescriverla richiederemmo controlli sulla sua storia clinica, esami di laboratorio e se necessario un elettrocardiogramma. Gli direi che il suo Medico di famiglia, supportato dalle USCA ( Unità Speciali di continuità assistenziale), lo terrebbe monitorato quotidianamente e che sarebbe stesa intorno a lui una rete di supporto. La prima cura del covid, come in tutte le grandi sfide della medicina,  è l'individuazione dei bisogni clinici e assistenziali del malato e della sua famiglia.