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Vincere il male con il bene: Popiełuszko, martire del comunismo

Nel volume di Włodzimierz Rędzioch e Grzegorz Górny il sacrificio del sacerdote che aveva ridestato nei polacchi la nostalgia della Verità che rende liberi. Una minaccia intollerabile per un regime fondato sulla menzogna e sull'oppressione.

Ecclesia 19_10_2024

Vincere il male con il bene, vincere la menzogna con la verità: intollerabile per un regime fondato sulla menzogna e che per decenni ha diffuso in Polonia, come in altri Paesi dell’Est, una vera e propria “epifania del male”, fino ad accanirsi contro un uomo che il 19 ottobre 1984 fu sequestrato e poi, undici giorni dopo, ripescato dalle acque della Vistola ormai senza vita e orribilmente sfigurato. Era don Jerzy Popiełuszko, oggi beato, un sacerdote di soli 37 anni che a prima vista non aveva nulla di speciale se non la salute malferma (soprattutto a causa delle “carezze” del comunismo durante il servizio militare che per i seminaristi era, di fatto, un campo di rieducazione); ma quel sacerdote era divenuto un faro per molti, per “troppi” polacchi. A 40 anni dal martirio il volume di Włodzimierz Rędzioch e Grzegorz Górny, Jerzy Popiełuszko. Martire del comunismo (Ares, Milano 2024) ci immerge letteralmente in questa vicenda cruenta e gloriosa. Attraverso queste pagine, grazie al racconto diretto dei testimoni (inclusi i familiari di don Jerzy), sentiamo palpitare il cuore di questo straordinario figlio della Polonia.

Rileggendo gli eventi ex post assume un significato particolare la data di nascita del futuro martire: il 14 settembre 1947, festa liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce. Fu battezzato due giorni dopo, «così in fretta perché la mamma combatteva contro la morte e voleva che il figlio, che offrì al servizio di Dio ancora nel suo proprio grembo, fosse battezzato con lei in vita. Dio preservò la vita della madre e accolse l’offerta», racconta don Teofil Bogucki (che ebbe don Jerzy come assistente nella parrocchia di S. Stanislao Kostka a Varsavia Żoliborz). «A quel tempo, nessuno avrebbe potuto immaginare che tipo di offerta sarebbe stata. E che Dio avrebbe mantenuto in vita la madre così a lungo da essere testimone della beatificazione di suo figlio», osservano gli autori. C’è ancora un singolare dettaglio relativo alla sua nascita che merita di essere menzionato: «Quando nel 1947 il bambino venne alla luce, il melo che cresceva nel cortile dei Popiełuszko fiorì due volte quell’anno. Tale anomalia è rara, quindi la famiglia ricordò quella data. La volta successiva lo stesso fatto si verificò nel settembre 1984, quando Jerzy visitò per l’ultima volta casa sua».

Alla fine del 1981 venne introdotta la legge marziale: era la durissima risposta del generale Jaruselski alla «realizzazione del grande sogno polacco: l’idea dell’unione dell’intera nazione» incarnata dalla nascita di Solidarność, «un grande movimento, che unì tutti i ceti sociali: operai, contadini, intellettuali e studenti». E più in generale al “risveglio” innescato dall’elezione a pontefice di Karol Wojtyła, arcivescovo di Cracovia. «Quando nell’agosto 1980 iniziò lo sciopero di Solidarność a Huta Warszawa, una delle prime cose che fecero gli operai fu quella di chiedere un sacerdote che celebrasse per loro la Messa sul posto di lavoro». E il sacerdote fu don Jerzy Popiełuszko, che si trattenne poi a confessare i lavoratori per lunghe ore. Questo episodio, ricorda uno di loro, «mostra una caratteristica ricorrente nella storia della Polonia. Nel nostro Paese, quando si formava una comunità, essa doveva basarsi sulla realtà soprannaturale. Non c’era in Polonia un’incarnazione più perfetta dell’idea di solidarietà di quella di don Jerzy Popiełuszko».

Nel settembre 1981 Solidarność aveva annunciato «un “Messaggio ai lavoratori dell’Europa orientale”. Esso chiamava i sindacati di tutti i Paesi che si trovavano sotto il controllo dell’Unione Sovietica a lottare insieme per la libertà di associazione. Dai capi del Cremlino ciò venne percepito come una sfida al comunismo mondiale», ma rimbalzarono la questione a Jaruselski, poiché Mosca aveva già un fronte aperto in Afghanistan. «Le autorità sospesero tutte le attività, non soltanto di Solidarność, bensì di tutte le organizzazioni e associazioni, vietarono raduni pubblici, disattivarono i telefoni, chiusero i valichi di frontiera, imposero il coprifuoco». E naturalmente finirono nel mirino anche le Messe per la Patria, iniziate nel 1980 da don Bogucki e sempre più spesso celebrate da don Popiełuszko, che venne sottoposto a un crescendo di persecuzioni e attentati. «Nelle vicinanze della parrocchia di Żoliborz non mancavano le spie che lo seguivano continuamente e lo sorvegliavano ovunque. E a lui dispiaceva che per questo dovessero starsene al freddo. Andava da loro e offriva tè o caffè per scaldarli un po’. Mi raccontò – è ancora la testimonianza del fratello Józef – anche di una vigilia di Natale sotto la legge marziale, quando portò un pezzo di opłatek ai soldati e ai militari della Zomo che stavano in città». 

«Non affascinava con parole o azioni grandiose e meravigliose, ma in un mondo intriso di terribile ipocrisia comunista, ispirava una fiducia incredibile, che era qualcosa di speciale», ricorda lo scultore, autore e coreografo Jerzy Kalina. Le Messe per la Patria radunavano infatti anche numerosi artisti, che più di altri nel periodo della legge marziale trovavano nella Chiesa «un’isola di libertà nell’oceano della schiavitù», come scrivono gli autori. Invece, «chi veniva alla Messa per motivi politici poteva sentirsi deluso. Nelle omelie di don Jerzy non c’era alcun contenuto di questo genere». Esse si basavano soprattutto sugli scritti di Giovanni Paolo II, del primate Stefan Wyszyński e sul magistero sociale della Chiesa, oltre ad attingere ai testi di grandi poeti e pensatori polacchi. «Sappilo, se muoio sarà soltanto per la fede», furono le ultime parole del sacerdote alla sorella Teresa. Ma proprio in virtù di questa prospettiva più alta le sue omelie rappresentavano qualcosa di ben più “compromettente” agli occhi del regime: «Capirono che era arrivato qualcuno estremamente carismatico, che in futuro avrebbe potuto minacciare il sistema basato sulla schiavitù, sulla menzogna e sulla paura», confida l’imprenditore Adam Nowosad.

Il cerchio si strinse e il 19 ottobre 1984 don Jerzy, dopo aver celebrato la sua ultima Messa, venne sequestrato e ucciso da agenti del servizio di sicurezza. Il cadavere era irriconoscibile per le torture. Persino il processo divenne per il regime occasione di propaganda: «Spesso il procuratore, anziché accusare i torturatori, muoveva accuse contro il prete assassinato». La sua colpa? Aver risvegliato la nostalgia dell’autentica libertà, quella che scaturisce dalla verità che rende liberi. E questo per il comunismo rappresentava la minaccia peggiore perché ne scuoteva le stesse inique fondamenta.



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