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finanziaria

Una manovra di mance che scontenta anche i ministri

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Qualche mancia come il taglio Irpef, un ritocco dell'Isee, ma per la legge di Bilancio il Governo scontenta soprattutto i ministri vittime di tagli. Un'altra Manovra all'insegna di “più di così non si può”. 

Politica 20_10_2025

La nuova manovra economica del governo Meloni, dal valore complessivo di 18,7 miliardi di euro, rappresenta un mosaico articolato di misure che spaziano dagli interventi per famiglie, salari e imprese fino a un nuovo intervento di “rottamazione” dei debiti fiscali, il tutto coperto però da tagli significativi ai ministeri, che stanno generando malumori interni all’esecutivo, mentre l'opposizione boccia senza appello l’intera impostazione definendola debole, sbilanciata e incapace di affrontare in modo strutturale le sfide economiche in corso.

Tra le novità più significative spiccano l’aumento del bonus mamme, l’estensione della social card, il rafforzamento dei meccanismi per incentivare la natalità, l’esclusione della prima casa dall’Isee (entro un tetto), un taglio dell’Irpef (davvero modesto, però) destinato al ceto medio, la detassazione dei premi di risultato e una Irpef agevolata al 5% per gli aumenti contrattuali dei redditi più bassi. Il pacchetto per il lavoro e i salari vale complessivamente 1,9 miliardi di euro. Per le imprese si attivano misure tra iper e super ammortamento fino al 220% (con una dotazione di 4 miliardi), oltre a nuovi crediti di imposta per le Zone Economiche Speciali, in linea con quanto chiesto da Confindustria.

In campo sanitario, l’obiettivo dichiarato è l’assunzione di 6.300 infermieri e mille medici, con fondi specifici a sostegno di questo impegno. Sul fronte fiscale, arriva una nuova “rottamazione” delle cartelle, spalmata in nove anni, che il governo tiene a distinguere da un condono: non ci saranno soglie minime delle rate né vantaggi per chi ha evaso deliberatamente.

Tra le fonti di copertura, un’importante voce è rappresentata dalla cosiddetta “tassa sulle banche”, con un mix di interventi che comprende l’aliquota agevolata al 27,5% per lo svincolo delle riserve (che sarà inizialmente facoltativa ma destinata a salire, con l’intento di spingere gli istituti ad aderire) e l’aumento di due punti dell’Irap, in una formula che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti definisce “assorbibile” dal sistema bancario. Tuttavia, proprio questo capitolo, insieme ai tagli ai ministeri, ha reso necessario un lavoro di mediazione molto faticoso nella maggioranza, culminato in due vertici serali e numerosi contatti con i principali attori coinvolti. L’approvazione in consiglio dei ministri è arrivata solo dopo un accordo in extremis tra Lega e Forza Italia, con la premier Meloni che ha parlato di una manovra “molto seria ed equilibrata”, ringraziando le banche per “una disponibilità non scontata” e lodando il “lavoro di squadra”.

Ma se l’unità della maggioranza è stata formalmente confermata in conferenza stampa, le tensioni sotterranee sono tutt’altro che sanate, in particolare sul fronte dei tagli lineari ai ministeri, che servono a garantire la sostenibilità complessiva dei conti. A fronte di misure definite “prioritarie” come sanità, difesa e sostegno alla natalità, molti altri dicasteri si sono visti ridurre pesantemente le risorse e hanno replicato a muso duro. Particolarmente critici i titolari dei dicasteri della Cultura, dell’Istruzione e dell’Agricoltura.

Alessandro Giuli, ministro della Cultura, avrebbe espresso forte contrarietà per i tagli che colpiscono settori già storicamente sottofinanziati, lamentando il rischio di compromettere iniziative culturali già in programma. Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, ha definito la riduzione di fondi al comparto primario «una scelta miope in un momento in cui il settore è cruciale per la sicurezza alimentare e la competitività nazionale». Ma le proteste più accese arrivano dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha definito «gravissima» la mancata previsione di risorse aggiuntive per il rinnovo contrattuale dei docenti, affermando che «non si può continuare a chiedere ai professori di portare avanti la scuola italiana senza un adeguato riconoscimento economico e professionale». Il ministro ha sottolineato come l’istruzione non possa essere sempre il vaso di coccio e ha chiesto un ripensamento sulla distribuzione delle risorse.

Di fronte a queste rimostranze, Giorgetti ha riconosciuto che «i ministeri non saranno contenti», ma ha ribadito l’impossibilità di trovare ulteriori spazi, ricordando anche la necessità di far fronte alla pesante eredità del Superbonus, che nel 2026 impegnerà 40 miliardi di euro. Nonostante queste tensioni, il governo incassa un importante riconoscimento internazionale: l’agenzia canadese DBRS Morningstar ha annunciato l’innalzamento del rating dell’Italia da BBB (High) ad A (Low), con trend stabile, un upgrade che non si vedeva da anni e che il ministro Giorgetti ha commentato con orgoglio: “Frutto del lavoro costante di questi tre anni di governo, l’Italia torna in serie A”. Il Fondo Monetario Internazionale, inoltre, ha definito i risultati sul deficit italiano “fantastici”.

Tuttavia, l’opposizione non si fa impressionare dai riconoscimenti esterni e boccia l’intera manovra. Per il Partito Democratico si tratta di una legge di bilancio «modesta e rinunciataria», che non affronta le grandi questioni sociali né dà risposte a chi ha più bisogno. Il Movimento 5 Stelle, con il suo leader Giuseppe Conte, usa toni ancora più duri, parlando di «una manovrina» con cui si cerca di arginare uno tsunami «con un secchiello», denunciando l’assenza di una visione strategica e la scarsa incisività delle misure proposte. Mentre Meloni parla di «serenità e buonsenso» e rivendica la compattezza della maggioranza, definendo la manovra «più leggera delle precedenti ma adatta al contesto difficile», lo scontro politico si infiamma, e con l’approdo della legge in Parlamento si preannuncia un autunno caldissimo.

Giorgetti, da parte sua, mantiene il profilo tecnico e si limita a dire che «queste sono le proposte del governo, poi sarà il Parlamento a decidere», lasciando intendere che eventuali modifiche saranno a discrezione delle Camere, ma che i margini restano stretti. Sullo sfondo resta il nodo della tenuta complessiva dei conti pubblici, tra vincoli europei, riforme del Pnrr da portare avanti e la necessità di tenere fede agli impegni presi a livello internazionale.