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ELEZIONI USA

Trump torna in lizza e non lo fa da perdente

Donald Trump annuncia la sua candidatura per le presidenziali del 2024. Considerato ormai come un "cavallo zoppo" dal Partito Repubblicano, dopo i risultati deludenti delle elezioni di metà mandato, ha però molte frecce al suo arco. E se il partito è profondamente trasformato per merito suo, anche il rivale DeSantis è un "suo prodotto". 

Esteri 17_11_2022
Donald Trump

È il ritorno di Donald Trump. Come era stato ampiamente annunciato e previsto l’ex presidente ha dichiarato la sua intenzione di candidarsi di nuovo alle presidenziali del 2024. I commenti si sprecano, quasi tutti negativi. Ma Trump non è la figura macchiettistica che i media (a partire da quelli americani) descrivono e può riservare tante sorprese.

Scremando propaganda ed emozioni personali, cosa c’è realmente in ballo in questa candidatura e cosa può comportare nelle elezioni del 2024? I commentatori politici statunitensi concordano su un punto: ormai il tycoon è considerato più un peso che un asso nella manica nel Partito. I numeri lo suggerirebbero. Ha perso le elezioni di metà mandato del 2018, ha perso (anche se non lo ha mai ammesso e i dubbi restano in gran parte dell’elettorato repubblicano) le elezioni del 2020 e ora ha ottenuto una vittoria di Pirro nelle elezioni di metà mandato del 2022, dove i candidati (quasi tutti suoi fedeli) stanno riconquistando la Camera, ma non il Senato. I candidati che hanno avuto l’endorsement e l’appoggio diretto di Trump si sono rivelati molto deboli. Con l’eccezione di JD Vance che ha vinto in Ohio con ampio margine, le corse in Arizona, Nevada, Pennsylvania sono andate perdute, mentre in Stati che avrebbero potuto essere contesi, come New York e Colorado, i Democratici non sono neppure stati avvicinati nel loro vantaggio.

Tuttavia non bisogna semplificare questo scenario. Se Trump appare perdente in molte competizioni elettorali, non bisogna dimenticare che tutto il Partito Repubblicano è profondamente cambiato dal 2016. Se non è a immagine e somiglianza dell’ex presidente, comunque gli somiglia parecchio. Lo stesso Ron DeSantis, rieletto trionfalmente in Florida, ora è il cavallo vincente su cui può puntare l’establishment del Grand Old Party contro Trump, ma deve tutto al “trumpismo” di cui è figlio legittimo. I temi, i toni, l’apertura ad elettori finora irraggiungibili per i conservatori americani, come afro-americani, latino-americani, colletti blu, sono tutti lasciti dell’ex presidente ed hanno favorito la rielezione di DeSantis. E questo è il punto dolente di molte analisi: non è possibile, ormai, dipingere la prossima (per ora solo ipotetica) competizione fra DeSantis e Trump, come una fra moderati ed estremisti. DeSantis è “estremista” quanto Trump, solo più giovane, disciplinato e di maniere migliori, anche se molto brusche.

I sondaggi non sono ancora da considerarsi uno strumento predittivo utile per la prossima campagna delle primarie. Basti pensare che Morning Consult dà in vantaggio Trump di ben 22 punti. Mentre YouGov (scheda 24) registra un leggero vantaggio di DeSantis di tre punti. La media dei sondaggi precedenti registrava un Trump senza rivali, con il doppio dei consensi rispetto al rieletto governatore della Florida. L’ex presidente ha dunque tutte le ragioni per riprovarci.

Ma se dovesse veramente essere di nuovo lui il candidato repubblicano, potrebbe vincere? Sì, se i Democratici dovessero ricandidare Joe Biden, nonostante l’età. Forse no, se i Democratici riaprissero le primarie in caso di ritiro dell’anziano presidente. Le primarie democratiche, se vinte da un candidato carismatico, potrebbero ridare respiro ad un partito che ha comunque perso le elezioni di metà mandato, anche se temeva di perderle peggio. Il voto che si è appena concluso per il rinnovo del Congresso, comunque, non è un buon modello per capire come andrebbero le presidenziali fra due anni. In queste ultime si voterà per la persona che rappresenterà la nazione, diversamente dal voto dato a chi rappresenterà il proprio collegio o il proprio Stato in Congresso. Molti dei candidati che, nei mesi scorsi, hanno ricevuto l’endorsement di Trump non erano evidentemente troppo popolari, ma nella campagna per loro, l’ex presidente ha comunque riempito gli stadi e galvanizzato le masse: lui personalmente.

Infine, molti commentatori, di sinistra, non vedono l’ora di avere una destra anti-Trump (per poi condannare anche quella che verrà dopo, come sempre è accaduto, dai tempi di Nixon). Non sarà così, in ogni caso. Tutte le battaglie tipiche del quadriennio 2016-2020 sono state fatte proprie dal mondo conservatore: la difesa del diritto alla vita, la lotta per preservare la libertà educativa, l'argine alla transizione ecologica, la guerra culturale contro la rivoluzione “woke”, il taglio delle tasse, il principio dell’America First nel commercio così come nella politica estera, sono ormai interiorizzati da questa generazione della destra americana. Anche DeSantis deve il suo successo proprio a queste cause che risalgono a ben prima di Trump e che l’ex presidente ha reso ancor più popolari, aggiungendovi il suo “tocco”, che è quello dell’America First.