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Tasse e burocrazia, non è un Paese per giovani imprenditori

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I numeri di Confcommercio parlano chiaro: le imprese condotte da under 35 in Italia non hanno vita facile. Più propense all'innovazione ma più penalizzate dalla pressione fiscale e dalle rigidità del sistema creditizio. Un circolo vizioso che condanna alla desertificazione produttiva.

Editoriali 25_10_2025
CANIO ROMANIELLO - IMAGOECONOMICA

L’Italia continua a dimostrarsi un Paese per vecchi, non solo per l’età media sempre più avanzata della popolazione, ma anche per la crescente difficoltà con cui i giovani riescono ad avviare e mantenere un’attività imprenditoriale. Dal 2011 al 2024 sono scomparse 193mila imprese guidate da under 35, di cui oltre 87mila nel Mezzogiorno, con un calo del 30,6% a fronte di una riduzione complessiva delle attività economiche pari appena al 4,2%. In tredici anni la quota di imprese giovanili è passata dall’11,9% all’8,7%, con una perdita di 3,2 punti percentuali che, se non si fosse verificata, avrebbe potuto generare tra i 49 e i 65 miliardi di euro aggiuntivi di PIL.

I numeri diffusi dall’Ufficio Studi Confcommercio, nel rapporto L’importanza dei giovani imprenditori per la crescita economica, parlano chiaro: l’Italia è un sistema che non favorisce il rinnovamento, anzi lo ostacola, intrappolando il dinamismo e la creatività delle nuove generazioni in una rete di burocrazia, tassazione e difficoltà di accesso al credito. L’imprenditoria giovanile è uno dei motori più efficaci per generare innovazione e occupazione, eppure le condizioni per la nascita e la crescita delle imprese guidate da giovani restano proibitive. Le imprese condotte da under 35, spesso concentrate nei servizi e nelle attività digitali, sono più propense all’investimento tecnologico e all’innovazione organizzativa, mostrando migliori performance in termini di produttività, occupazione e fatturato. Inoltre, assumono in misura maggiore altri giovani, creando un effetto moltiplicatore sull’occupazione e contribuendo alla competitività del Paese.

Tuttavia, proprio queste realtà si trovano più esposte ai rischi finanziari e alle rigidità del sistema creditizio: l’assenza di strumenti pubblici di garanzia adeguati e la complessità dei processi di finanziamento rendono più difficile l’accesso ai capitali, specialmente per chi non dispone di garanzie patrimoniali o di una rete familiare solida. Secondo Confcommercio, due sono le leve fondamentali per invertire la rotta: da un lato, la riduzione del carico fiscale e l’introduzione di regimi agevolati specifici per le start up giovanili; dall’altro, un miglioramento del contesto generale, attraverso politiche di semplificazione amministrativa e strumenti di credito agevolato.

Senza queste riforme strutturali, il rischio è che l’Italia perda ulteriormente terreno non solo in termini economici, ma anche di vitalità sociale e culturale. A pesare su questa crisi è anche la profonda trasformazione demografica del Paese. Negli ultimi quarant’anni l’Italia ha perso 10 milioni di giovani, passando da 32,3 milioni di under 35 nel 1982 a 22,5 milioni nel 2024, mentre la popolazione over 65 è quasi raddoppiata, salendo da 7,5 a 14,6 milioni.

Questo squilibrio anagrafico non è solo un dato statistico, ma un freno concreto allo sviluppo economico: una società più anziana tende a risparmiare e investire meno, riducendo la produttività complessiva e la propensione al rischio imprenditoriale. Nel Mezzogiorno, dove si concentra oltre la metà della perdita di giovani dell’intero Paese e dove l’immigrazione qualificata resta scarsa, il problema assume dimensioni drammatiche. L’assenza di un ricambio generazionale si traduce in desertificazione produttiva, impoverimento dei territori e fuga di cervelli verso realtà europee più dinamiche.

Al quadro demografico si somma il peso economico e fiscale che grava sulle nuove generazioni. Quarant’anni fa un trentenne sosteneva un debito pubblico pro capite di 280 euro l’anno; oggi l’onere è quasi quadruplicato. Nello stesso periodo la pressione fiscale è passata dal 34,1% del 1982 al 42,8% del 2025, comprimendo il rendimento del capitale umano e riducendo la propensione a investire. Ogni euro destinato a imposte o contributi diventa un euro in meno per innovare, assumere o crescere. In un ciclo vitale ormai segnato da stagnazione, questo peso fiscale e burocratico soffoca l’energia imprenditoriale dei giovani, costringendoli a scelte conservative o alla ricerca di opportunità all’estero. La correlazione tra età dell’imprenditore e struttura dell’impresa è evidente: per assumere giovani servono imprenditori giovani. Le aziende con meno di cinque anni di vita e a prevalente conduzione under 35 presentano una quota di lavoratori giovani sistematicamente più elevata, dimostrando che l’imprenditoria giovanile non è solo un tema di innovazione, ma anche di inclusione e coesione sociale.

Tuttavia, il Paese continua a presentare barriere strutturali che scoraggiano la progettualità delle nuove generazioni. Le procedure burocratiche per l’avvio d’impresa restano tra le più lente d’Europa, mentre i regimi fiscali premiano spesso la rendita piuttosto che l’attività produttiva. Le politiche di sostegno, quando esistono, risultano frammentarie e di difficile accesso, incapaci di rispondere alle esigenze di rapidità e flessibilità tipiche dell’imprenditoria giovanile. In un contesto in cui la popolazione attiva invecchia e la natalità continua a crollare, l’assenza di un piano strutturale per la rigenerazione economica rischia di condannare l’Italia a un declino irreversibile.

L’imprenditoria giovanile rappresenta una risorsa collettiva, capace di generare benefici diffusi in termini di occupazione, innovazione e sostenibilità. Per questo Confcommercio insiste sulla necessità di interventi pubblici mirati, poiché il mercato da solo non è in grado di produrre la quantità ottimale di nuove imprese. Senza una politica industriale che metta al centro le nuove generazioni, il Paese continuerà a perdere energie vitali e competitività. La fotografia che emerge è quella di un’Italia che, pur riconoscendo l’importanza dei giovani imprenditori, non riesce ancora a trasformare questa consapevolezza in azione concreta. Le difficoltà di accesso al credito, l’eccessiva pressione fiscale e l’assenza di un contesto favorevole all’innovazione frenano il potenziale delle nuove generazioni. Così il sistema produttivo invecchia, la società si immobilizza e il Paese si impoverisce. L’Italia, se non cambierà rotta, rischia di restare un Paese per vecchi non solo anagraficamente, ma anche economicamente e culturalmente, rinunciando al contributo di chi potrebbe garantirle un futuro diverso: i suoi giovani.



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