Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Margherita Maria Alacoque a cura di Ermes Dovico
GUERRA INCIVILE

Sudan, la strage degli innocenti. Bambini lasciati morire di stenti

Ascolta la versione audio dell'articolo

”Che Dio ci perdoni se non abbiamo fatto del nostro meglio”, sono le parole di una delle dottoresse che hanno cercato di assistere i bambini nell'orfanatrofio di Mygoma, a Khartoum, nel mezzo della guerra civile scoppiata in Sudan. Cinquanta bambini, quasi la metà dei quali neonati, sono morti di fame, malattia, mancanza di cure. L'orfanatrofio, dallo scoppio della guerra, è infatti rimasto privo di tutto: medicine, cibo, personale, corrente elettrica. Tutte le guerre portano il loro strascico di sofferenze. Ma si era impreparati all’orrore di quanto sta succedendo in Sudan.

Esteri 01_06_2023
Sudan, bambini in attesa di evacuazione

Si sa che le guerre non risparmiano i civili. Le perdite, in vite umane e beni, sono considerate “effetti collaterali” dei combattimenti e ci sono guerre scatenate proprio per colpire dei civili: spogliarli di tutto, abusarne, ucciderli, costringerli a fuggire. Le guerre non risparmiano neanche i bambini. Li sappiamo profughi a milioni, insieme agli adulti, e con loro uccisi e feriti; li sappiamo vittime di violenza, di sfruttamento sessuale, forzati ad assistere alle torture inflitte ai loro famigliari, costretti a diventare essi stessi portatori di sofferenze e morte quando vengono arruolati o rapiti dai combattenti.

Ma si era impreparati all’orrore di quanto sta succedendo in Sudan da quando, lo scorso 15 aprile, lo scontro politico tra il generale Abdel Fattah al-Burhan, capo dell’esercito e della giunta militare che nel 2021 ha preso il potere con un colpo di Stato, e il generale Mohamed 'Hemeti' Dagalo, suo vice e capo delle Forze di supporto rapido (Fsr), un organismo paramilitare forte di 100mila uomini, è diventato conflitto armato. Secondo l’Unicef, dopo i primi 10 giorni di guerra già si contavano 190 bambini uccisi, 1.700 feriti, 368mila sfollati e 82mila rifugiati nei Paesi vicini. Da allora il bilancio è salito ulteriormente, nonostante i giorni di tregua concordati in seguito e solo in parte rispettati.   

Quello delineato è uno scenario di guerra spaventoso, purtroppo consueto. Ma poi, il 29 maggio, l’agenzia di stampa Reuters ha diffuso una notizia terrificante. A Khartoum, la capitale del Paese, teatro principale degli scontri armati, devastata dai bombardamenti e dalle razzie, c’è un orfanotrofio statale, Mygoma, una grande struttura di tre piani nel cuore della città che ospita centinaia di bambini di età inferiore a cinque anni, tra cui moltissimi neonati, orfani dei genitori oppure abbandonati perché nati fuori dal matrimonio.

All’inizio del conflitto erano circa 400 e altri se ne sono aggiunti nei giorni successivi, portati da ospedali e altri centri di assistenza colpiti dai bombardamenti. Ma quasi tutto il personale non si è più presentato al lavoro, il rifornimento regolare di cibo, medicinali e altri generi di prima necessità è venuto meno. Così i bambini sono stati quasi del tutto abbandonati al loro destino. Con solo una manciata di persone su cui contare, la dottoressa Abeer Abdullah, rimasta al suo posto, ha tentato di prendersene cura e fin dai primi giorni ha potuto contare su un altro medico, Abdullah Adam, che si è offerto volontario e ha anche lanciato on line una richiesta di aiuto. Ma solo poche persone hanno risposto all’appello e nessuno è un pediatra.

 “Avevano bisogno di essere nutriti ogni tre ore, ma non c’era nessuno”  ha spiegato disperata a Reuters la dottoressa Abdullah, parlando per telefono dall’orfanotrofio mentre in sottofondo si sentivano i pianti e i lamenti dei bambini. Per proteggerli, i pochi dipendenti e volontari fanno dormire i bambini per terra, lontano dalle finestre e dalle pallottole. Ma, per quanto si prodighino, non riescono ad assisterli come sarebbe necessario. Soprattutto i più piccoli hanno incominciato a stare male e a morire: di fame, di disidratazione, per l’aggravarsi di condizioni di salute già critiche che non è più stato possibile curare e per le malattie insorte a causa dell’assistenza insufficiente. A peggiorare la situazione concorrono le continue interruzioni della corrente. Senza ventilatori a soffitto e condizionatori d’aria funzionanti, gli ambienti diventano roventi, soffocanti. La mancanza di energia elettrica inoltre non permette di svolgere mansioni ordinarie come sterilizzare le attrezzature.

 “Continuiamo a perderne due, tre, quattro e anche di più ogni giorno – scriveva il 16 maggio su Facebook Hadhreen, una Ong che sta aiutando a raccogliere fondi per pagare le forniture e chi ancora lavora a Mygoma – quasi tutti hanno da sei a 18 mesi. Andrà avanti così, senza personale e con scarsità di forniture, finché continueranno i combattimenti”. Il 26 maggio i bambini morti erano già almeno 50, quasi metà dei quali neonati. I piccoli corpi vengono trasferiti in una stanza vicino al cancello d’ingresso dell’orfanotrofio. Qui vengono lavati e avvolti in pezzi di stoffa bianca, secondo la tradizione della religione islamica. “Anche da morti – scrive Maggie Michael, autrice del rapporto speciale pubblicato da Reuters – la guerra li perseguita”. Gli orfani finora venivano sepolti in un certo cimitero che si trova a ovest di Mygoma, ma adesso portali là è troppo pericoloso. I volontari allora avevano incominciato a seppellirli in un altro cimitero, situato a nord est, ma poi anche il percorso per arrivare lì è diventato pericoloso. Il 24 maggio, non potendo raggiungerlo, due bambini sono stati sepolti in una piazza vicino all’orfanotrofio, ha detto costernata per telefono la dottoressa Abdullah.

Doaa Ibrahim è uno dei medici che hanno cercato di assistere i bimbi di Mygoma. “Ho fatto da tata, infermiera, medico – racconta – davo da mangiare a un bambino, somministravo gli antibiotici ad altri, cambiavo i pannolini ad altri ancora. Quando mi fermavo a riposare non sapevo quanti ne avrei trovati morti al risveglio”. Presto è crollata, sopraffatta dall’angoscia, si è ammalata e ha dovuto lasciare Mygoma. "Che Dio ci perdoni – dice – se non abbiamo fatto del nostro meglio".