Siria, l'ipocrisia di Al Sharaa che parla di elezioni dopo i massacri
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Siria, dopo i massacri degli alawiti, dei cristiani e dei drusi, il nuovo leader al Sharaa parla di "elezioni" a settembre. Ipocrisia pura, solo facciata. Parla l'avvocato al Tabal che ha denunciato al Sharaa alla Corte Penale Internazionale.

A fine luglio, all'indomani di due settimane di massacri nella regione drusa di Suwayda che hanno lasciato sul terreno quasi 1400 persone, l'autoproclamatosi presidente della Siria Ahmad al Sharaa ha annunciato che a settembre si terranno nel Paese “libere elezioni”.
Fissate “tra il 15 e il 20 settembre”, le elezioni si terranno secondo un sistema elettorale “temporaneo” ed andranno a rinnovare il parlamento monocamerale siriano. Un terzo dei 210 seggi del parlamento, però, sarà nominato direttamente da al Sharaa, mentre il resto dei parlamentari verrà eletto “democraticamente”. Legittimo chiedersi come, visto che in Siria al momento non ci sono partiti e il “governo di transizione”, nato lo scorso marzo, è una creatura di Al Sharaa, così come la “costituzione provvisoria” firmata dall'autoproclamatosi presidente. Inoltre, come votare nella regione controllata dai curdi del Syrian Democratic Forces e mentre Israele continua ad accrescere le sue zone di occupazione nel sud del Paese?
Ne parliamo con Lyna Peron Al Tabal, avvocato e ricercatrice universitaria franco-libanese specializzata in diritto internazionale umanitario e giustizia penale. Al Tabal è portavoce e membro del comitato legale del Collettivo franco alawita, associazione di siriani della diaspora che ha sporto denuncia contro Ahmad Al Shaara davanti alla giustizia francese e alla Corte Penale Internazionale dell'Aja.
Avvocato al Tabal, Ahmed al Shaara ha annunciato recentemente che a settembre saranno tenute in Siria libere elezioni. Come commenta la notizia?
L’annuncio di al Sharaa riguardo ad imminenti elezioni «libere» si inserisce in una strategia di facciata utilizzata spesso dai regimi autoritari per consolidare la loro legittimità internazionale senza trasformare davvero la struttura del potere. Nel caso siriano, più di un elemento impedisce di considerare questo annuncio credibile. In un Paese devastato dalla repressione, funestato da rapimenti e torture e che conta più di sei milioni di persone rifugiate all'estero, parlare di libere elezioni è un non senso. Nessuna struttura indipendente garantirà la trasparenza del voto e per di più gli oppositori del regime sono in prigione o in esilio. Un governo consolidato con la violenza indice elezioni in un contesto di terrore e repressione, in assenza di garanzie giuridiche e istituzionali e con milioni di siriani espatriati: escludo che le elezioni annunciate da al Sharaa possano essere riconosciute come libere o legittime dal diritto internazionale.
Che aggiornamenti avete dalla Siria?
Le notizie che riceviamo dalla Siria hanno raggiunto il livello di allerta. Tra maggio e luglio 2025 le violenze contro le minoranze religiose si sono intensificate. Alawiti, drusi e cristiani sono sistematicamente presi di mira, marginalizzati, espulsi. Ogni giorno persone vengono uccise tramite esecuzioni sommarie, chiese vengono incendiate, donne vengono rapite e trafficate come schiave sessuali. A Suwayda e nelle regioni druse, come in quelle alawite della costa, continuano esecuzioni, profanazioni, saccheggi. A Suwayda oltre 175mila persone, ossia un terzo della popolazione, sono dovute fuggire a causa delle recenti violenze secondo le stime dell’Ocha, mentre i restanti due terzi sono in una situazione disastrosa. Gli ospedali sono pieni: l’Oms ha documentato cinque attacchi a strutture sanitarie di Suwayda che hanno causato la morte del personale e la distruzione delle ambulanze. I cristiani di Siria, dal canto loro, continuano a subire una pressione silenziosa ma costante: chiese incendiate, sacerdoti minacciati o costretti all'esilio, campagne di vessazioni organizzate per costringere all'esodo le ultime famiglie rimaste. Attualmente non resta che l'1% dei cristiani in Siria. Queste persecuzioni rispondono a una logica di epurazione demografica: molestie su base etno-religiosa, sparizioni, tratta di donne, incendi mirati, punizioni collettive.
Siete in possesso di prove che dimostrano in maniera inconfutabile che la paternità dei massacri compiuti in Siria negli ultimi mesi va attribuita alle forze di sicurezza legate a Hayat Tahrir al Sham?
Sì. Disponiamo oggi di prove solide secondo cui milizie affiliate a Hts sono implicate in molteplici massacri. Tra queste prove ci sono video registrati dagli autori medesimi dei crimini che mostrano esecuzioni sommarie, violenze e umiliazioni, distruzioni di luoghi di culto. Sul piano del diritto internazionale penale, queste sequenze video, autenticate da Ong affidabili e incrociate con testimonianze dirette sono giuridicamente utilizzabili davanti alla giurisdizione internazionale e rappresentano elementi di prova di prim'ordine. Documenti interni a Hts e confessioni dei disertori rivelano inoltre una gerarchia organizzata e una strategia del terrore mirata contro le minoranze etno-religiose. Secondo il diritto internazionale, questi elementi rientrano nei crimini di guerra e nei crimini contro l'umanità (articoli 7 e 8 dello Statuto di Roma). In base all'articolo 28 dello stesso statuto, il più alto in grado di uno Stato, civile o militare, è penalmente responsabile dei crimini commessi dai suoi subordinati se sapeva, o aveva ragione di ritenere, che questi crimini sarebbero stati commessi e non ha preso le misure necessarie per impedirli o punirne i responsabili. In questo quadro, la responsabilità è di Ahmad Al Sharaa e del suo governo, compresa la responsabilità degli atti commessi da gruppi non statali nelle zone formalmente al di fuori dal controllo governativo.
Perché a suo avviso è così difficile far comprendere al mondo occidentale ciò che sta accadendo in Siria?
Perché la Siria mette a nudo lo scacco strutturale del sistema internazionale e il fallimento morale delle grandi potenze. Il regime di Ahmad al Sharaa reprime il suo stesso popolo attraverso l'esercito, affiancato dalle formazioni islamiste. Tutto ciò accade in un silenzio glaciale che evoca quello che regna attorno a Gaza: quando le violenze rientrano in un'agenda geopolitica più vasta, le sofferenze dei civili divengono accessorie. Tuttavia, nessuno può dire «non sapevo»: il problema non è l'assenza di prove, ma l'assenza della volontà politica di agire.