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NUOVO REGIME

Siria, il jihadismo in doppiopetto che piace all'Occidente

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La Siria, ufficialmente, sta normalizzandosi e riallacciando rapporti con l'Occidente, ma internamente i jihadisti massacrano le minoranze. E dopo alawiti, cristiani e drusi, adesso tocca ai curdi nell'ovest del Paese.

Esteri 30_07_2025
La nuova bandiera siriana (foto di Elisa Gestri)

Da quando la formazione qaedista Hayat Tahrir al Sham ha preso il potere nel dicembre scorso, la Siria sembra essere oggetto a livello di narrazione mediatica di una strana schizofrenia: da una parte vengono riportati i pronunciamenti ufficiali e le iniziative diplomatiche volte alla “normalizzazione” del governo dell'autoproclamatosi Presidente Ahmed al Sharaa, dall'altra si racconta - molto meno, o più spesso si tace - l'effettiva realtà delle cose.

Con la mediazione dell'inviato Usa Tom Barrack si stanno svolgendo in questi giorni a Parigi colloqui tra il Ministro israeliano degli affari strategici Ron Dermer e “alti ufficiali siriani”, in seguito all'incontro di qualche giorno prima dello stesso Dermer con il Ministro degli Esteri siriano Asaad al Shaibani. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz gli incontri, che “si protrarranno nelle prossime settimane”, vertono sull'”accordo di sicurezza” e sulla “distensione” dei rapporti tra i due Paesi. Com'è noto, Idf è intervenuto manu militari in Siria dopo che le milizie di HTS hanno seminato morte e distruzione nel Jabal al arab, la regione drusa a sud ovest del Paese con capitale Suwayda.

L'appetito di Israele per Siria e Libano – in entrambi i Paesi lo Stato Ebraico occupa militarmente porzioni di territorio - non è un segreto per nessuno, così come la vera identità dei componenti l'”esercito ufficiale” di Hayat Tahrir al Sham, miliziani jihadisti affiancati da foreign fighters provenienti soprattutto dall'Asia Centrale. Eppure media e cancellerie internazionali preferiscono concentrarsi sui “colloqui diplomatici” di al Sharaa e della sua compagine – tra i primi a stringere la mano all'autoproclamatosi presidente il nostro Ministro degli Esteri Tajani - come se si trattasse di un governo democraticamente eletto e non di un'organizzazione estremista salita al potere grazie allo stesso Israele, alla Turchia e ai Paesi del Golfo con  supervisione americana.

Eppure giornalisti accreditati come il britannico Paul Wood stanno documentando da tempo la realtà dei massacri in corso.

Lentamente l'idea che la Siria non sia quell'appetibile partner commerciale per nuovi investimenti che la UE, e a ruota la Farnesina ci hanno presentato, si sta facendo strada anche in Italia.  Anche papa Leone durante l'Angelus di domenica scorsa 27 luglio  ha denunciato, oltre alla «gravissima situazione umanitaria a Gaza», le «violenze nel sud della Siria».

Nonostante ciò occorre scavare a fondo per capire l'effettiva situazione siriana e servirsi di materiali originali – spesso video “celebrativi” postati in rete dagli stessi membri di Hts - per farsi un'idea di ciò che sta accadendo.

Il 22 luglio L'Osservatorio siriano per i diritti umani, associazione fededegna con sede in Gran Bretagna, ha stimato che nella regione di Suwayda in sette giorni di scontri siano state uccise 1311 persone, tra cui 196 civili appartenenti alla comunità drusa, uomini, donne, bambini e anziani, giustiziati a sangue freddo dalle “milizie governative”.

Dopo tanta devastazione, a Suwayda continuano a venir fuori corpi ancora in via di identificazione ed ai superstiti mancano acqua, elettricità, carburante, spesso la casa, saccheggiata e data alle fiamme: la mezzaluna rossa supplisce come può. Frattanto non si fermano le violenze ai danni delle altre minoranze religiose del Paese, ma non solo: chiunque non abbracci l'estremismo rischia la vita. Riporteremo solo gli ultimi casi che ci sono stati segnalati: Dalal Suleiman, mamma e moglie appartenente alla comunità sunnita di Halfaya, nella campagna di Hama, è stata rapita da uomini armati e ritrovata uccisa poche ore dopo; a Tartous, sulla costa a prevalenza alawita, un uomo con l'uniforme del Ministero della salute ha rapito nel suo negozio un farmacista, di cui si sono perse le tracce; Adnan Qassib, alawita di Homs, è morto sotto tortura in un carcere governativo mesi fa, poco dopo il suo arresto, ma la notizia è stata rivelata solo ora dalle autorità. I familiari hanno continuato a mandare cibo e indumenti al loro caro in carcere, senza sapere che non era più in vita da tempo. Si stima che migliaia di alawiti abbiano fatto la stessa fine di Qassib, torturati e uccisi – oppure vittime di esecuzioni sommarie - nelle carceri di al Sharaa.

Il prossimo bersaglio delle milizie governative sono i curdi di Sdf, Syrian Democratic Forces, a cui l'emissario Usa Barrack ha chiesto, secondo i desiderata israeliani, di ritirarsi dal nordovest del Paese (Raqqa, Deir el Zor, Hasakah, Tabqa) e di integrarsi nell'esercito “regolare” siriano. Sdf ha rifiutato l'invito e l'Isis ha effettuato nella regione tre operazioni in ventiquattr'ore, uccidendo cinque persone e ferendone altre, secondo un comunicato della stessa organizzazione terroristica.

Mentre l'estremismo islamico continua a mietere vittime in Siria, il governo libanese ha inaugurato la prima fase del Progetto di rientro in Siria dei rifugiati siriani  nel Paese approntando pullman che attraverso il check point di confine di Masnaa garantiscano ai siriani che “per loro volontà” desiderano tornare in Madrepatria “un rientro sicuro e organizzato”.

In questi giorni ricorre il dodicesimo anniversario della scomparsa di padre Paolo Dall'Oglio, gesuita italiano rapito nel nord della Siria da un gruppo di estremisti islamici vicini ad Al Qaeda il 29 luglio 2013. Da allora decine di notizie sono circolate sulla sorte del sacerdote (l'ultima, rivelatasi poi inattendibile, riportava che il corpo del padre gesuita era stato ritrovato in una fossa comune nei pressi di Raqqa) ma non si è addivenuti a nessuna certezza.

Secondo la testimonianza di padre Dall'Oglio nel suo libro Collera e Luce – Un prete nella rivoluzione siriana, uscito in Francia due mesi prima del suo rapimento, i jihadisti si erano infiltrati tra i giovani che chiedevano legittime riforme a Bashar al Assad sin dai primi giorni di quella che, nel marzo del 2011, sembrava l'inizio di una nuova primavera araba. Il sacerdote non ne sottovalutava la pericolosità, ma nutriva «la grande speranza che i mujahidin, questi combattenti dell'islam venuti in Siria sulla spinta di una motivazione religiosa radicale, perfino esclusiva, scoprano nella Damasco degli amici di Dio, la Sham dei Santi musulmani, una profondità, un'autenticità, una bellezza autenticamente musulmane, una grazia divina abbondante. Questa grazia è legata alla composizione originaria della Siria, dove il pluralismo religioso I...I dipende da una conoscenza spirituale della benevolenza di Dio, il Misericordioso...».

Le cose, come è evidente, sono andate molto diversamente: chi riponeva nei liberatori speranze di pace e prosperità, dopo tanti anni di sofferenza, è rimasto profondamente deluso.