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CHIESA

Salviamo l'Incontro mondiale delle famiglie dalla lobby gay

I casi degli Stati Uniti, Cile e Honduras che vedono vescovi e cardinali responsabili di comportamenti omosessuali e abusi, devono fare aprire gli occhi sul potere acquisito dalla lobby gay e che influenzerà anche l'Incontro mondiale delle famiglie (Dublino, 21-26 agosto). Se in Vaticano si vuole recuperare credibilità, deve essere annullato l'incontro con padre Martin e chiedere le dimissioni del cardinale Farrell.
- VESCOVI GAY, CHIESA NELLA TEMPESTA, di Lorenzo Bertocchi

Ecclesia 01_08_2018
Padre James Martin

Lo scandalo dei vescovi coinvolti in attività omosessuali o responsabili di abusi su minori e adulti sta sconvolgendo la Chiesa, ma la gravità delle cose fin qui emerse esige che si vada fino in fondo per comprendere l’ampiezza e le cause del fenomeno. E soprattutto salta all’occhio che l’ondata omosessualista è arrivata molto in alto in Vaticano e, tanto per fare un esempio, sta influenzando il prossimo Incontro mondiale delle famiglie che si svolgerà in Irlanda dal 21 al 26 agosto prossimi e avrà il suo culmine nell’incontro con papa Francesco negli ultimi due giorni.

Se decisioni drastiche devono essere prese, la prima riguarda proprio l’incontro di Dublino: il programma deve essere rivisto così come la posizione del presidente del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, il cardinale Kevin Farrell, la cui permanenza in questo posto di responsabilità è ormai più che imbarazzante.

Ma andiamo per ordine. Anzitutto quanto è accertato dai casi degli Stati Uniti (cardinale McCarrick e non solo), del Cile e dell’Honduras - che coinvolgono pesantemente cardinali molto vicini a papa Francesco – dovrebbe ormai convincere che il vero problema nel clero è l’omosessualità. Nella stragrande maggioranza dei casi accertati anche negli scorsi decenni, gli abusi sui minori sono una conseguenza, o un’estensione dell’attività omosessuale. Questo è il nodo fondamentale, come andiamo ripetendo da anni; parlare semplicemente di pedofilia è un modo per deviare l’attenzione da quello che è il vero problema: l’omosessualità.

Questo ci conduce al secondo punto, che è lo scenario che dobbiamo tenere presente per inquadrare non solo i casi emersi negli scorsi anni ma soprattutto quanto sta emergendo dai casi più recenti che chiamano in causa vescovi e cardinali. Ebbene, ancora una volta dobbiamo tornare alla “Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali” (1 ottobre 1986), firmata dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger. Tra le altre cose, Ratzinger denunciava – e siamo nel 1986 – l’esistenza di una lobby gay nella Chiesa in combutta con organizzazioni gay al di fuori della Chiesa per sovvertire l’insegnamento cattolico riguardo all’omosessualità. Sarebbe troppo lungo qui citare il documento, ma i punti 8 e 9 descrivono alla perfezione ciò che allora poteva sembrare una esagerazione ma che oggi è una realtà sotto gli occhi di tutti. C’è una vera e propria rete di ecclesiastici omosessuali che non solo si coprono nelle loro attività immorali, ma che in questi anni hanno portato avanti una vera e propria agenda per sovvertire la dottrina cattolica. È quella che il sacerdote polacco Dariusz Oko ha definito “Omoeresia”.

I modi in cui questo avviene sono diversi: dalla teologia che viene insegnata nei seminari e nelle pontificie università che rimette in discussione «la verità sulla persona umana» - come dice il documento Ratzinger –, alle pressioni sempre più forti per benedire le unioni omosessuali; dalla pastorale per le persone omosessuali che ne legittima l’attività sessuale, alla richiesta di riconoscimento civile delle unioni gay. Citiamo solo alcuni casi più recenti: il moltiplicarsi in maggio di veglie contro l’omofobia nelle diocesi italiane; la pastorale per le persone omosessuali affidata in larga parte ad associazioni e gruppi che perseguono il riconoscimento dello stile di vita omosessuale; il documento preparatorio al Sinodo dei giovani che per la prima volta fa propria la terminologia Lgbt; lo schieramento aperto della Conferenza Episcopale Italiana a favore del riconoscimento delle unioni civili (seppure in forma più moderata rispetto alla legge effettivamente approvata); il ruolo importante che il quotidiano Avvenire da molti anni sta giocando nel cercare di cambiare la mentalità dei cattolici riguardo all’omosessualità; la nomina del gesuita padre James Martin, noto attivista che promuove l’agenda Lgbt, a consultore della Segreteria per la Comunicazione; e potremmo continuare ancora per molto.

Ma proprio la vicenda di padre Martin ci porta diretti all’Incontro mondiale delle famiglie. Padre Martin è stato infatti invitato come relatore ufficiale all’appuntamento di Dublino, un tentativo chiarissimo di far accettare l’attività omosessuale nel contesto familiare. Si tratta di un tentativo subdolo di colpire al cuore il significato della famiglia, una scelta che ha già creato molte polemiche, ma senza che da Roma sia venuto un qualche segnale di ravvedimento. Tutt’altro: a quanto è dato sapere, per l’incontro con il Papa si starebbe preparando una situazione in cui troveranno spazio diversi “tipi” di famiglie.

Ovviamente tutto sarà giocato sul tasto dell’accoglienza anche nelle situazioni difficili, ma soltanto uno sprovveduto può non rendersi conto che è soltanto un modo per fare accettare come regolari diversi tipi di unione. In pratica l’esatto opposto di quel che aveva in mente san Giovanni Paolo II quando nel 1994 ha istituito il Primo incontro mondiale delle famiglie.
Sebbene in questa impostazione ci sia anche una chiara responsabilità dei vescovi irlandesi, a rendere il tutto più inquietante è la situazione in cui si è venuto a trovare il cardinale Kevin Farrell con l’esplosione dello scandalo McCarrick. Farrell è stato infatti per sei anni vicario generale di McCarrick a Washington, ci ha vissuto fianco a fianco quando i seminaristi venivano insidiati dal porporato; e lo stesso McCarrick ha lanciato Farrell nella carriera ecclesiastica. Oggi Farrell dice di non aver mai sospettato di nulla né mai nessuno gli ha riferito di lamentele o chiacchiere intorno all’arcivescovo.

Viste le dimensioni dei misfatti di McCarrick e le voci che si inseguivano da anni, la versione del cardinale Farrell ha dell’incredibile. Ci sono solo due possibilità: o mente spudoratamente in quanto complice di McCarrick o è talmente fuori dalla realtà di non accorgersi di quanto accade sotto i suoi occhi. Entrambe le ipotesi sono gravissime e da sole consiglierebbero le dimissioni immediate dall’incarico in Vaticano, ma la coincidenza con l’Incontro mondiale delle Famiglie, con la svolta gay che gli si vuole dare, rende la posizione di Farrell ancora più insostenibile.

Possiamo però scommettere che si farà di tutto per mantenere il cardinale Farrell al suo posto e il programma dell’Incontro mondiale delle famiglie inalterato, inclusa la presenza di padre Martin. Il motivo purtroppo è semplice: mai la lobby gay è stata così potente in Vaticano. Potente lo era già negli anni ’90 se è vero che McCarrick ha potuto diventare arcivescovo di Washington e quindi cardinale malgrado le denunce sulla sua condotta arrivate anche a Roma. Ma non si può non notare che negli ultimissimi anni si sta assistendo a una crescita smisurata di potere nelle mani di prelati coinvolti (direttamente o indirettamente) in casi di omosessualità e abusi sessuali o fortemente chiacchierati.

Senza tornare al caso di monsignor Battista Ricca, che ha inaugurato il pontificato di papa Francesco ed è stato l’origine della famosa frase “Chi sono io per giudicare?”, basti pensare che soltanto nel C9 (il consiglio dei nove cardinali chiamati da papa Francesco ad aiutarlo nella riforma della Curia) il cardinale cileno Francisco Javier Errazuriz e il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga sono pesantemente coinvolti negli scandali dell’episcopato dei loro paesi, mentre – seppure in una situazione molto diversa - il cardinale australiano George Pell ha dovuto da tempo tornare in Australia per difendersi dalle accuse di aver coperto sacerdoti accusati di pedofilia. Il segretario del C9 poi, monsignor Marcello Semeraro, ospita da anni nella sua diocesi (Albano laziale) l’incontro nazionale dei gruppi Lgbt cristiani. Non si deve neanche dimenticare la triste vicenda di cronaca nel 2017 che ha visto protagonista il segretario personale del cardinale Francesco Coccopalmerio, monsignor Luigi Capozzi, coinvolto in un caso di festini gay e cocaina. A rendere più grave la vicenda è il fatto che è stato proprio il cardinale Coccopalmerio ad adoperarsi presso il Papa per fare avere a Capozzi un appartamento vaticano “discreto” che sarebbe stato altrimenti di pertinenza di un officiale della Congregazione per la Dottrina della Fede. E dopo un periodo di disintossicazione, monsignor Capozzi ne ha ripreso possesso. È forse un piccolo caso, ma rivelatore del sistema vigente in Vaticano.

E se sarebbe gravemente ingiusto lanciare una caccia alle streghe basandosi sulle chiacchiere, è anche vero che come il caso McCarrick insegna, voci e denunce che si inseguono per anni hanno spesso un fondamento e quantomeno meriterebbero una seria indagine, se non altro prima di nomine importanti. Invece stiamo assistendo alla ascesa nelle posizioni di responsabilità in Vaticano di molti personaggi già accompagnati da voci insistenti sulle loro attività omosessuali.

Se non si smantella questa rete al cuore della Chiesa, qualsiasi tentativo di rimettere ordine non potrà risultare credibile. L’Incontro mondiale delle famiglie sarà il primo test.