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SECESSIONE

Referendum, in Veneto c'è poco da scherzare

Tra il 16 e il 21 marzo, votando online a un referendum informale, più di 2 milioni di veneti hanno espresso la loro volontà indipendentista. Un sondaggio Demos conferma che il 55% dei veneti vorrebbe l'indipendenza.

Politica 25_03_2014
Venezia

Votando “on line” tra il 16 e il 21 marzo scorso a un referendum popolare indetto dal movimento indipendentista di cui è leader Gianluca Busato, oltre metà dei quattro milioni di elettori veneti si sono espressi nella misura dell’89% a favore dell’indipendenza della loro regione. Da un sondaggio della società Demos indetto a seguito di tale risultato è poi emerso che il 55% di tutti gli elettori veneti, compresi quelli che non hanno partecipato al referendum, è oggi favorevole all’indipendenza del Paese Veneto, anche se solo il 30% la vorrebbe “piena” , ovvero vorrebbe un vero e proprio distacco dallo Stato italiano. Presa poco sul serio dalla stampa e dalle tv italiane, anche sulla scia della secessione della Crimea dall’Ucraina, la notizia ha invece fatto il giro del mondo. Dopo averne sorriso o riso brevemente l’Italia ufficiale ha calato su tale episodio una coltre di silenzio, frutto non si sa se dell’imbarazzo oppure dell’incapacità di dare adeguata risposta al grave e diffuso disagio di cui esso è sintomo. Sintomatico è poi anche il comportamento della Lega Nord, presa in contropiede da un’iniziativa promossa con successo da altri su un terreno che finora credeva fosse soltanto suo.

Quale che sia il giudizio che se ne voglia poi dare, pretendere di ignorare l’episodio, o di farlo passare per una una buffonata, non è un segno di grande intelligenza politica, se non di grande intelligenza in genere. Oggi tutti i motivi che rendevano comunque conveniente l’inclusione di regioni grandi e molto sviluppate in uno Stato delle dimensioni di quello italiano sono venute meno. Dallo Stato italiano non dipendono più né il mercato, né la moneta, né la difesa. Con riguardo a questi tre cruciali elementi l’interlocutore è a Bruxelles o a Francoforte; e Stati con dimensioni demografiche ed economiche paragonabili a quelle del Veneto (come pure della Lombardia e di altre regioni del centro-nord) stanno sia dentro all’Unione Europea che dentro all’eurozona senza alcun specifico problema. All’eventualità di un distacco del Veneto dall’Italia non si oppone dunque alcuna impossibilità obiettiva. Viceversa  la ben più alta pressione fiscale e la ben più bassa qualità della pubblica amministrazione dell’Italia rispetto a quelle dell’Austria e della Slovenia, sta provocando un vero e proprio esodo di massa di fabbriche e di imprese venete verso questi due Paesi; e anche verso paesi più lontani ma essi pure membri dell’Unione come ad esempio l’Ungheria.

D’altra parte, malgrado il ben più alto costo del lavoro e il suo non far parte dell’Ue, la Svizzera non smette di accogliere imprese in fuga dalla Lombardia. Mentre però la Svizzera a portata di mano delle imprese lombarde, ossia la Svizzera italiana, è troppo piccola per potersi proporre come… nuova sede dell’intera economia lombarda (o di grosse fette di essa), nel Nordest la situazione è diversa: da un lato le economie del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia pur sommate insieme sono meno della metà di quella lombarda, e dall’altro Austria e Slovenia hanno un ben maggiore spazio da offrire ad aziende provenienti dall’estero.

Se dunque da un lato l’indipendenza del Veneto è praticamente impossibile, l’esodo del suo apparato industriale verso i paesi vicini è non solo possibilissimo ma irrefrenabile. Mentre contro chi volesse giocare la carta dell’insurrezione contro la Repubblica italiana “una e indivisibile” si potrebbero mandare i carabinieri, contro chi sposta un’azienda dal Veneto all’Austria, alla Slovenia o all’Ungheria non si può fare proprio nulla. Perciò chi ha davvero a cuore le sorti del Paese farebbe meglio a rendersi conto che se non inizia subito in Italia una stagione di grandi riforme, l’Italia politica si sgretola, e a fermarne lo sgretolamento non basteranno né la retorica istituzionale né le nostre cinque polizie, esse stesse un esempio di dispendiosa sovrapposizione di compiti e di schieramenti con conseguente grande spreco di capacità operative e di risorse.