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VERSO LE REGIONALI

Primarie nel PD, tra finte tessere e accuse di brogli

Volano gli stracci nel PD, fra i candidati nelle primarie alla guida del partito e le loro correnti. Accuse reciproche di brogli elettorali e tesseramenti di massa, come ai tempi della prima repubblica. Che fosse una guerra di puro potere priva di qualsiasi elemento democratico lo si era capito da subito. 

Politica 08_02_2023
I candidati del PD

In casa Pd le primarie si avvicinano e già volano gli stracci. Le consultazioni per la designazione del nuovo segretario rischiano di essere una questione per pochi intimi, vista l’emorragia di voti e di iscritti. Nonostante tutto, però, accuse di brogli, reclami su presunte irregolarità e sospetti di tesseramenti anomali dominano il dibattito tra i dem, che nei sondaggi elettorali vengono ormai dati abbondantemente al terzo posto, dopo Fratelli d’Italia e Cinque Stelle e che rischiano di perdere, fra una settimana, anche il governo di una delle più importanti regioni d’Italia, il Lazio, senza avere alcuna possibilità di conquistare la guida dell’altra grande regione chiamata alle urne, la Lombardia.

La gestione di Enrico Letta ha lasciato tante macerie da rimuovere, le sezioni locali sono completamente allo sbando e anche in regioni dove il Pd era forte, come l’Emilia Romagna, la Campania e la Calabria, ora la crisi d’identità appare il tratto dominante. Lunedì uno dei quattro candidati alla segreteria, quello con meno chance, cioè Gianni Cuperlo, ha presentato un ricorso con riferimento ai congressi dei circoli dem in Calabria per «anomalie nel tesseramento, irregolarità nelle procedure, esclusioni immotivate, a partire da quella dell’ex presidente della Regione, Mario Oliverio».

Faide interne senza esclusione di colpi anche in Emilia Romagna, dove la sfida tra il governatore Stefano Bonaccini e la sua vice Elly Schlein promette scintille. La donna appartiene all’ala più ideologica del partito, tanto che anche il sindaco di Bologna Lepore la appoggia. Il disegno della aspirante alla segreteria è di sciogliere il Pd in un contenitore post-comunista populista che si allei con i 5 Stelle e si allontani dal Terzo polo. Prospettiva opposta a quella del candidato più forte per il dopo-Letta, appunto Bonaccini, che ha presentato attraverso i suoi fedelissimi un ricorso chiedendo l’annullamento del voto a causa di una cinquantina di tessere dem sospette, proprio nel capoluogo emiliano.

Sembra di essere ritornati alla Prima Repubblica, quando nella Dc, nel Psi e nel Pci, ma un po in tutti i partiti, la gente veniva tesserata senza essere neppure informata e le tessere servivano per vincere i congressi, che in realtà erano già stati decisi a tavolino nelle segrete stanze. Nel caso del Pd di oggi c’è l’aggravante che sono rimasti in quattro gatti, pure rissosi e litigiosi tra loro.

Le commissioni di garanzia interne al partito avranno dunque il loro da fare un po ovunque, anche in Campania. A Caserta addirittura non è stato certificato il tesseramento. Ma nelle altre principali province campane la situazione non è migliore. Accuse di tesseramenti gonfiati, maxi bonifici da 40mila euro per pacchetti da migliaia di iscrizioni, politici non iscritti al partito ma pronti a tesserare anche perfetti sconosciuti. Peraltro di brogli e sotterfugi per pilotare le elezioni si parlava già anni fa in Campania, quando i sospetti riguardarono il candidato De Luca, attuale governatore, nelle primarie per i candidati al Parlamento del 2013. Ed è proprio nella città dell’attuale Presidente della Regione (schierato con Bonaccini) che il portavoce campano della Schlein ha chiesto l’annullamento del voto per presunti brogli.

I “signori delle tessere” sono dunque in servizio permanente effettivo un po in tutt’Italia, sicuramente nelle regioni che si riveleranno decisive per l’elezione del nuovo segretario del partito. La posta in palio, d’altronde, va ben oltre la guida di un partito moribondo. Nelle spartizioni di posti di potere, quelli che spettano alle opposizioni vengono gestiti da Pd e Cinque Stelle. Inoltre, fra un anno ci saranno le elezioni europee e chi conquisterà la segreteria del partito potrà orientare le scelte per le candidature. Senza contare le elezioni amministrative e regionali dei prossimi due anni.

Che fosse una guerra di puro potere priva di qualsiasi elemento democratico lo si era capito fin da quando, settimane fa, si era deciso di far votare online anche le persone anziane e quelle impossibilitate per varie ragioni a recarsi ai seggi delle primarie. Un modo come un altro per legittimare l’anarchia e eventuali abusi. Ora i leader dem hanno gettato definitivamente la maschera. Due sono i candidati con chance (Bonaccini e Schlein), due quelli di bandiera (Cuperlo e Paola De Micheli). Domenica 26 febbraio i primi due si contenderanno la guida del partito. Se vince Bonaccini il Pd si salva (si fa per dire), nel senso che la sua organizzazione sopravvive ai sommovimenti degli ultimi mesi; se vince Schlein l’esistenza del partito è a serio rischio e c’è la concreta prospettiva di una riunificazione delle varie anime della sinistra, compresi dalemiani e bersaniani, per dar vita a un nuovo soggetto politico nostalgico della sinistra ideologica e pronto a rispolverare le battaglie storiche di quell’area culturale. Tutto ciò conferma che l’unico collante dentro il Pd era il potere. Caduto il governo Draghi, sono emerse tutte le contraddizioni e le rivalità tra leader senza truppe, che cercano disperatamente di riposizionarsi per non rimanere ai margini della scena politica, dove sono stati relegati dagli elettori.