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IDEOLOGIA

Nuovo antisemitismo, un prodotto di cattivi maestri nelle scuole

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Un tema sulle idee di un compagno di classe israeliano. Studenti ebrei separati dal resto della classe, a mo' di "dimostrazione" dell'apartheid. Scuole e università, da noi come negli Usa, avvelenano il clima a guerra in corso.

Attualità 01_11_2023
Protesta negli Usa contro Israele

Al liceo Righi, a Roma, un professore di storia e filosofia ha fatto svolgere dai suoi studenti un tema sul pensiero politico di un loro compagno di classe, italo-israeliano, sul conflitto in corso a Gaza. Il tema, singolare, che ha come soggetto uno studente minorenne e che ricorda da vicino le sessioni di critica e autocritica di un regime comunista, nasce da una serie di lezioni in cui si accusa Israele di praticare l’apartheid. Se, come è probabile, lo studente italo-israeliano, ha reagito negando o prendendo le parti del governo di Gerusalemme, ecco che allora è la classe che lo deve giudicare.

Al di là di questo singolo episodio, che ora è al vaglio dell’Ufficio scolastico regionale e del Ministero dell’Istruzione, il clima che si respira in questi giorni è pregno di nuovo antisemitismo. Una forma di antisemitismo che si ritrova più a sinistra che a destra, più fra gli immigrati musulmani che fra i popoli europei. E che però riprende modi e simboli del vecchio antisemitismo dell’estrema destra: sempre a Roma, a Trastevere, delle pietre d’inciampo (che ricordano le vittime della deportazione nazista) sono state danneggiate. La scena delle stelle di David dipinte sulle case abitate da ebrei, si è ripetuta, due volte in una settimana, prima a Berlino e poi a Parigi. Sono ancora sotto gli occhi di tutti le scene dell’aeroporto di Makhachkala, capitale della repubblica autonoma russa del Daghestan (maggioranza musulmana), dove una folla inferocita ha dato l’assalto al terminal e alla pista dove era atterrato un aereo da Tel Aviv, setacciando i passeggeri in cerca di ebrei.

Questa violenza è endemica e poco ha a che fare con la legittima critica allo Stato di Israele, al governo Netanyahu e a come sta conducendo l’offensiva di Gaza. Si tratta veramente di odio contro gli ebrei, in quanto tali. E la scuola, come dimostra l’episodio al liceo Righi, non aiuta a combatterlo. Non aiuta neppure l’atteggiamento di quel professore statunitense della prestigiosa Università di Stanford che ha ordinato a sei studenti ebrei di alzarsi e mettersi in un angolo. Un “esperimento” (secondo quanto dice il professore stesso, per giustificarsi) per far capire loro “cosa state facendo da anni al popolo palestinese”. Si tratta di un episodio veramente eccezionale, considerando l'attenzione maniacale a non offendere le minoranze, in tutti gli ambiti universitari e lavorativi. Lo stesso docente, stando alle testimonianze degli allievi, avrebbe considerato “legittimo” il massacro del 7 ottobre (1400 civili assassinati, donne, vecchi e bambini inclusi) compiuto da Hamas, definito come un movimento “di liberazione”.

La diffusione, nelle università statunitensi, delle manifestazioni anti-israeliane, più ancora che pro-palestinesi, è tale da aver indotto ricchi finanziatori della comunità ebraica a non donare più soldi per le istituzioni in cui hanno studiato o dove stanno studiando i loro figli, come l’Università della Pennsylvania e Harvard. Le amministrazioni degli atenei americani ne terranno conto. Ma sanno che ormai i soldi arrivano da sponsor più ricchi, come il Qatar. Che è disposto a spendere miliardi, spalmati nel corso degli ultimi 25 anni, per tutti i tipi di studi: Virginia Commonwealth University (arte), Cornell University (medicina), Texas A&M (ingegneria), Carnegie Mellon (informatica), Georgetown University (scienze politiche), Northwestern University (giornalismo). Si tratta di una chiara manovra di soft power, che influenza direttamente anche il pensiero dei futuri giornalisti: la Northwestern University ha, ad esempio, firmato un memorandum di intesa con Al Jazeera, la Tv del Qatar che ospita i Fratelli Musulmani e combatte da sempre la sua guerra santa mediatica contro Israele (e soprattutto in questo conflitto è particolarmente militante).

Gli effetti non tardano a vedersi, anche negli Stati Uniti. In un sondaggio Harvard/Harris della settimana scorsa, alla domanda se il massacro di civili israeliani del 7 ottobre fosse “giustificato” dalle sofferenze dei palestinesi, solo il 25% ha risposto affermativamente. Ma nella fascia d’età più giovane, fra i 18 e i 24 anni (l’età universitaria), questa percentuale di giustificatori di Hamas sale al 51%, la maggioranza assoluta. E nella fascia d’età immediatamente successiva alla laurea, fra i 25 e i 34 anni, resta comunque una percentuale molto alta, al 48%, quasi la metà dei rispondenti. Da notare la domanda: non si tratta di scegliere fra Israele e Palestina, o di commentare l’azione militare di Israele, ma proprio se sia giustificabile o meno un massacro deliberato di civili israeliani.

Ma non è solo colpa dei finanziamenti del Qatar. In Italia, in Europa, così come negli Usa, nelle scuole e nelle università si predica un anti-sionismo ideologico. A cui sicuramente contribuisce il Qatar, con le sue donazioni e il suo soft power culturale, ma che è tipico della sinistra occidentale. La giustificazione intellettuale è sempre la stessa: criticare Israele non è antisemitismo. Si, ma: qual è l’ideologia alle spalle di questa “critica”? Come sintetizza bene Adam Kirsch (poeta, critico letterario, docente alla Columbia University), è un anticolonialismo particolarmente radicale. Che non punta più il dito contro governi coloniali, ma contro intere popolazioni (possibilmente bianche) che hanno colonizzato e abitato territori, trasformandoli. Si tratta della stessa condanna senza appello ai bianchi europei cristiani che hanno colonizzato l’America, sottraendola ai nativi. Ed ora viene rivolta anche agli ebrei, che hanno colonizzato, nel corso dell’ultimo secolo e mezzo, un territorio di cui non avrebbero diritto. Kirsch nota come questa dottrina della sinistra sia particolarmente affine a quella del nazismo, per cui vale come diritto solo il legame sangue-suolo (Blut und Boden).

L’anticolonialismo più estremo nella sinistra si richiama a Frantz Fanon, autore de I dannati della terra, che giustificava la violenza dei colonizzati sui colonizzatori. «Per Fanon, psicologo, i movimenti anticoloniali devono essere violenti - scrive Kirsch - non solo perché non hanno altri mezzi per raggiungere i loro obiettivi, ma perché la violenza stessa è redentrice e terapeutica. “L'uomo colonizzato trova la sua libertà nella e attraverso la violenza”, scriveva Fanon ne I dannati della terra. “Per i colonizzati questa violenza, poiché costituisce il loro unico lavoro, investe i loro caratteri di qualità positive e creative”».