Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Venerdì Santo a cura di Ermes Dovico
INTERVISTA / CHAMORRO

“Nicaragua, mons. Álvarez rischia la vita. Il Papa parli”

Trascorsi 7 giorni dal sequestro di Álvarez e altre 11 persone. Il vescovo di Matagalpa, tra le voci più critiche del regime di Ortega, rischia “che un fanatico lo uccida”. In generale “in Nicaragua i sacerdoti sono in pericolo”. La Bussola intervista Emiliano Chamorro, giornalista in esilio negli Usa, che chiede a papa Francesco di rompere il silenzio.

Attualità 11_08_2022 Español
mons. Álvarez, vescovo di Matagalpa, con il Santissimo

«La dittatura di Daniel Ortega ha avvertito il vescovo Rolando Álvarez di consegnarsi alla sua polizia, con la condizione di lasciare il Paese. “Non lascio la mia patria”, ha risposto il leader cattolico, secondo una fonte ecclesiastica». Con un tweet, il giornalista nicaraguense Emiliano Chamorro ha informato che il regime di Ortega sta cercando di negoziare la partenza dal Paese del vescovo di Matagalpa e amministratore apostolico della diocesi di Estelí, tenuto in ostaggio dalla polizia dallo scorso giovedì 4 agosto.

La Nuova Bussola Quotidiana ha cercato un’eventuale conferma delle suddette informazioni tramite la diocesi di Matagalpa o altre fonti ecclesiastiche, anche in esilio, ma non è stato possibile ottenere risposta. “Ora i sacerdoti non vogliono parlare, non rispondono ai messaggi, il terrore li ha neutralizzati”, ha detto Emiliano Chamorro alla Bussola.

Il settimo giorno del sequestro ha confermato che, insieme al vescovo Rolando José Álvarez Lagos, restano “ai domiciliari” (nella sede della Curia) un totale di 11 persone, tra cui sacerdoti e membri dell’équipe di comunicazione: padre José Luis Díaz Cruz, vicario della cattedrale di San Pietro; padre Ramiro Tijerino, vicario della parrocchia di Santa Maria di Guadalupe; il vescovo Oscar Escoto, vicario della diocesi di Matagalpa; padre Sadiel Eugarrios, primo vicario della Cattedrale; padre José Luis Díaz, padre Raúl González, i seminaristi Darvin Leyva e Melkin Sequeira, i cameramen Sergio Cárdenas e Flavio Castro, e il membro del coro Henry Corvera.

Dopo 27 anni di giornalismo come reporter della testata nicaraguense La Prensa, specializzato in questioni religiose e politiche, Chamorro è in esilio negli Stati Uniti a seguito della copertura mediatica delle proteste del 2018 e, nonostante la distanza, continua a offrire dettagli su quanto accade nel Paese attraverso i social network. “Sono riusciti a neutralizzare la popolazione con proiettili, rapimenti e crimini eseguiti attraverso la polizia, i paramilitari, l’esercito, che è una chiara forza di terrore per placare qualsiasi movimento sociale contro una dittatura”, ha detto Chamorro.

Emiliano Chamorro, la repressione ti ha portato a lasciare il Nicaragua?
Certo, sono partito il 22 aprile dell’anno scorso, perché mi hanno perseguitato, hanno messo pattuglie alla porta di casa mia e un paramilitare ci ha minacciato.

Non ci sono più proteste in Nicaragua, tuttavia vediamo che le vessazioni contro la Chiesa cattolica si sono intensificate.
In quest’ultima fase, sanno che la Chiesa è l’istituzione più credibile in Nicaragua per nutrire la speranza dei cittadini e per denunciare la violazione sistematica dei diritti umani. Il regime di Ortega-Murillo ha represso con forza i sacerdoti e forse la voce più critica rimasta è quella del vescovo Rolando Álvarez; infatti, è uscito a confrontarsi con la polizia e ora lo criminalizzano.

Il Centro nicaraguense per i diritti umani (Cenidh) ha espresso martedì la sua preoccupazione per la situazione del vescovo, avvertendo che ogni giorno è “un giorno in più di pericolo di perdere la vita”. La vita di monsignor Álvarez potrebbe essere in pericolo?
Naturalmente, a Matagalpa, il segretario politico della dittatura si chiama Pedro Haslam, il quale ha diramato un comunicato avvertendo l’opinione pubblica che mons. Rolando Álvarez [nella foto insieme a Chamorro, ndr] si stava muovendo contro la stabilità del Paese; poi è apparsa la dichiarazione della polizia che lo criminalizzava. L’odio contro mons. Álvarez è evidente. Cosa può succedere lì? Che un fanatico possa ucciderlo. E quello che sta facendo la polizia è sequestro, perché lui non è un criminale, ma gli hanno proibito di ricevere cibo e medicine, gli hanno tolto la corrente e sono capaci di portarlo via con la forza. Tutto può succedere, possono portarlo all’aeroporto, metterlo su un aereo o metterlo in prigione.

Infatti, sui media locali si parla di movimento di polizia con squadre antisommossa nei pressi dell’aeroporto. Che informazioni avete?
C'è il timore che lo facciano fuori con la forza o che il Papa gli dica di costituirsi per farlo uscire dal Paese, perché, se non ascoltasse quello che gli dice il Vaticano, potrebbe cadere in una situazione di non riconoscimento. Abbiamo il precedente di monsignor Silvio José Báez, che è stato allontanato dal Papa per la sua sicurezza. In Nicaragua i sacerdoti sono in pericolo, ci sono sacerdoti che sono stati torturati all’interno delle loro parrocchie.

Un caso recente?
Nella chiesa della Maddalena, il sacerdote Pedro Mendez è stato rapito dai paramilitari e dalla polizia all’interno della sua parrocchia, gli hanno fatto cose barbare, lo hanno picchiato, lo hanno torturato. Ho scritto su questa notizia. Per questo sono tanti i sacerdoti esiliati che se ne sono andati in silenzio e ci sono congregazioni internazionali caritatevoli che sono state espulse. Il Governo Ortega non ha pietà di nessuno.

Cosa vorresti dire a Papa Francesco?
Gli direi di non abbandonare il Nicaragua. I nicaraguensi hanno sempre sperato nella Chiesa perché è un popolo molto devoto. Credo che Papa Francesco sia rimasto molto in silenzio, hanno persino espulso il suo nunzio e hanno rilasciato solo una brevissima dichiarazione che non diceva nulla, non hanno nemmeno nominato un altro nunzio. Chiedo al Papa di guardare il Nicaragua perché lì non ci sono diritti umani e ora anche la libertà religiosa è sotto sequestro; deve alzare la voce per il Nicaragua. Papa Giovanni Paolo II, durante la Guerra fredda, non ha mai lasciato il Nicaragua e ha dimostrato personalmente il suo coraggio e la sua vicinanza.