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corredenzione

Modello dei redenti e basta? La verità dogmatica è un’altra

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Padre Serafino Lanzetta, docente di Teologia dogmatica presso la FacoltàTeologica di Lugano, interviene nel dibattito innescato dalla Mater Populi Fidelis, riallacciandosi alla prima grande disputa mariologica risolta a Efeso. Oggi come allora minimizzare il ruolo di Maria significa fraintendere la verità su Cristo.
- IL TESTO INTEGRALE DEL DOCUMENTO DELL'ASSOCIAZIONE MARIANA INTERNAZIONALE
Dossier: Maria è Corredentrice

Ecclesia 10_12_2025

Sia la Nota Mater Populi Fidelis del Dicastero per la Dottrina della Fede che gli interventi di Sua Ecc.za. mons. Antonio Staglianò, sull’Osservatore Romano e poi su questo giornale, sono di notevole importanza per approfondire la dottrina mariologica relativa ai titoli soteriologici di Maria Vergine. La cosa più interessante prodottasi è che co-redenzione e mediazione mariane, lasciate fino a poco fa in un ambito angusto della teologia, note per lo più agli addetti ai lavori, ora invece suscitano vasto interesse tra il popolo di Dio. Un dibattito nuovo e molto propizio si fa strada. Non bisogna arrestare la riflessione che emerge. È doveroso, invece, rilanciarne i punti cardine che emergono soprattutto dall’analisi del Presidente della Pontificia Accademia di Teologia.

È chiara un’impostazione più antropologica nella riflessione di Mons. Staglianò. Maria non offre una co-soddisfazione pagando con Cristo il prezzo di un riscatto forense, dando voce alla teologia della sofferenza vicaria d’anselmiana memoria, bensì è Colei che riceve l’amore di Cristo, se ne lascia trasformare e lo trasmette ai credenti. C’è una singolarità di Maria, certo. Ma è nel ricevere, non nel fare. Maria è la Madre di Cristo, la prima dei redenti. Redenta anche in modo singolare, ma senza pretese. È un modello di redenzione. Tutto qui. Eppure, se si parte dal dogma di Efeso (431), non si ci dovrebbe accontentare di un modello mariologico recettivo che, in ultima analisi, ascriverebbe alla Vergine il titolo caro a Nestorio di Christotokos e non quello dogmatico, difeso strenuamente da san Cirillo d’Alessandria, di Theotokos, Dei Genitrix.

Il dibattito sulla partecipazione di Maria alla salvezza, infatti, deve ritrovare il suo aggancio a questa prima grande disputa mariologica, risolta egregiamente con il dogma della divina Maternità: Maria è Madre di Dio e non solo di Cristo, pur avendo dato a Gesù la sola natura umana. La maternità termina alla Persona del Figlio e non alla natura. Essendoci in Gesù una sola persona divina e non due, come invece voleva Nestorio, Maria è madre della Persona del Figlio, generato secondo la natura umana. Maria è quindi Dei genitrix non Christi genitrix. Questo secondo titolo, pur suonando meno ridondante e più antropologico, non esprime la verità dogmatica. Per inciso: è molto più arduo accettare Dei genitrix che Co-redemptrix. Anche E.B. Pusey se ne dovette avvedere redarguito da san John Henry Newman.

Difendere la Theotokos, iscrivendo così Maria nell’ordine ipostatico del Verbo incarnato (ordine di grazia singolare realizzato in virtù della sua maternità divina resa feconda dalla grazia), significò ripudiare alla radice un minimalismo ante litteram, più plausibile a livello razionale, ma non per questo reale. Nestorio non puntava alla res ma all’enunciato. Tuttavia, il problema non era mariologico ma cristologico. Maria Madre di Dio teneva insieme l’unità della Persona del Verbo e la verità della natura umana che Cristo assunse dalla Vergine, evitando di scadere nell’errore grossolano di “due Figli”, come ribadì san Cirillo nella sua seconda lettera a Nestorio accolta anche dal Concilio. Si ha qualcosa di molto analogo se si capisce correttamente la co-redenzione di Maria. La Vergine ci aiuta a tenere insieme la verità divina della redenzione e il vero e necessario contributo umano: in primis della natura umana di Gesù, quindi di Maria, non come mera ricettrice di salvezza, ma quale operatrice fattiva in Gesù e per Gesù, in virtù del suo vincolo materno con il Signore. Così, mentre la Vergine salvaguarda la verità della carne della redenzione, prelude in modo unico e pur sempre analogico alla partecipazione associativa di ogni altro uomo alla salvezza di Cristo mediante il merito. Negare una reale e attiva co-redenzione di Maria comporta, in ultima analisi, un rifiuto della dottrina del merito quale vera associazione dell’uomo a Cristo e cooperazione con Lui alla sua salvezza, reso ciò possibile dalla grazia.

Il problema in questo dibattito è senz’altro ontologico. Bisogna attestarsi sull’aspetto metafisico della partecipazione alla salvezza. Cos’è partecipazione nel nostro caso? La capacità di essere collaboratori di Cristo nell’esecuzione soggettiva del fine salvifico. Invitato dalla sua grazia e reso capace dal suo amore, l’uomo, in Cristo, è capace di cooperare alla sua e altrui salvezza. La res partecipativa è costituita dalla grazia di Colui che invita e rende capaci di un tale atto. Il partecipante, a sua volta, si unisce a tale opera e vi contribuisce con ciò che ha di proprio: la sua libertà e il suo merito. C’è una gerarchia di partecipazione tra le creature, in virtù del merito e della dignità, ma non c’è bisogno di una minimizzazione della dissimilitudine, perché in fondo non c’è una partecipazione graduale o quantistica. Non bisogna trasformare la metafisica in una teoria della quantità per appurare il grado minimo di partecipazione di Maria e della creatura così che non si disturbi l’opera di Cristo.

La partecipazione metafisica è in sé stessa dipendenza causale del partecipante da Colui che lo ammette alla partecipazione. Partecipazione, in altre parole, è già in sé dipendenza e subordinazione. Maria come creatura dipende dal Creatore perché partecipa all’essere. Vi partecipa in modo pieno, come del resto ogni altra creatura vi partecipa secondo la sua capacità di essere. In quanto Madre di Dio e Co-redentrice, Maria partecipa all’opera salvifica del Figlio con tutta la sua capacità di Madre e di nuova Eva. Tale partecipazione unica, singolare e inarrivabile, perché fondata sui due connotati soteriologici unici appena enunciati: Madre di Dio e alma Socia del vero Adamo, non diminuisce la precedenza e l’eccellenza del Figlio, ma l’ostende. Maria non è una minaccia a Cristo: è la Madre che lo glorifica nel modo più eccellente. Dire Co-redentrice, pertanto, equivale a dire co-operazione singolare di Maria all’opera della redenzione, non recettiva ma fattiva, ancorata a monte, in modo metafisico, in una partecipazione reale resa tale dalla sua grazia singolare. Non bisogna appurare la partecipazione “minima” di Maria alla salvezza così che non sia troppo invadente e meno antropologica; non è necessario rendere Maria “dissimile" quanto più possibile, perché la dissimilitudo, maior o minor che si voglia, è nell’essere di Maria non nel fare, nella partecipazione alla grazia, non nella quantità dell’azione svolta.

Questo può chiarire, infine, un altro punto che viene spesso sollevato nel dibattito, quasi a voler tranciare la discussione, ma in modo molto poco sinodale: Maria non potrebbe essere Co-redentrice perché in fondo Lei stessa ha avuto bisogno della redenzione. Come si potrebbe essere redenti e co-redimere allo stesso tempo? Sembra che v’è una «contraddizion che nol consente». Sembra. In realtà, non si tratta di una contraddizione per il fatto che essere redenta per Maria è su un piano precedente e più perfetto (in termini di partecipazione metafisica) dell’essere Co-redentrice. Maria è redenta singulari modo ci dice il dogma dell’Immacolata Concezione. È redenta come solo a Lei s’addice. È stata pre-servata dal peccato originale per uno speciale privilegio della grazia di Cristo. Sì, Maria ha ricevuto un privilegio singolare che nessun’altra creatura ha, quello di essere Immacolata, senza peccato. Di qui la sua capacità ontologica di schiacciare con Cristo la testa al serpente infernale; di qui il suo munus associativo cum Cristo e sub Cristo nella redenzione dell’intera umanità. Se Maria partecipa realmente alla grazia e alla salvezza con il suo essere di Madre Immacolata, allora non può non essere Mediatrice di grazia e di salvezza. Questo esprime il termine teologico di Co-redentrice.