Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL CASO

L’Uganda, la legge sui gay e le pressioni della Banca Mondiale

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Il Paese africano vota una legge che inasprisce le pene relative ad atti e abusi di tipo omosessuale e alla promozione dell’omosessualità. La Banca Mondiale sospende i prestiti: una decisione per fare pressioni e doppiopesista.

Esteri 19_10_2023

I rapporti omosessuali sono proibiti e puniti con maggiore o minore severità in più di 30 Stati africani su 54. Anche nei Paesi in cui i loro comportamenti non sono perseguiti, sono tanti gli africani che provano disagio nei confronti delle persone Lgbt e lo manifestano. Il disagio diventa preoccupazione e insofferenza per reazione alla maggiore visibilità delle comunità Lgbt e alle loro crescenti rivendicazioni, in particolare il diritto di sposarsi e adottare dei bambini. Rispondendo alle richieste dei loro cittadini, diversi Stati africani stanno introducendo limitazioni e nuove sanzioni alle attività degli omosessuali e delle loro organizzazioni.

In risposta, le lobby impegnate nella difesa delle rivendicazioni Lgbt aumentano le pressioni sulla comunità internazionale, o almeno su una parte di essa e in particolare sugli organismi e i Paesi donatori più assidui, più necessari, affinché si impegnino a ottenere dai governi africani concessioni simili a quelle conquistate altrove.

Il caso che di recente ha creato più scalpore è quello della nuova legge anti-gay votata a maggio 2023 in Uganda, ritenuta una delle più severe al mondo. In Uganda gli atti omosessuali erano già proibiti, ma le nuove norme hanno inasprito le sanzioni. È stata introdotta la pena di morte per «omosessualità aggravata» nel caso di abusi sessuali su minori, su persone disabili e su persone vulnerabili e nel caso in cui la vittima di aggressione sessuale venga infettata da una malattia permanente come l’Aids. Inoltre sono previsti il carcere a vita per chi pratica rapporti omosessuali, 20 anni per la promozione dell’omosessualità e pesanti multe per le imprese, inclusi i mass media e le organizzazioni non governative, che deliberatamente promuovono attività Lgbt.

Contro la legge si è schierato tra gli altri anche l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby che ha scritto all’arcivescovo Stephen Kaziimba, primate della Chiesa anglicana ugandese, per esortarlo a protestare e poi per esprimere «dolore e sgomento» per la scelta del clero ugandese di non farlo. Monsignor Kaziimba ha replicato che l'omosessualità va contro le credenze religiose e culturali degli ugandesi, che è stata imposta in Uganda da «attori stranieri che si travestono da attivisti per i diritti umani» e ha detto di essere grato per la nuova legge. Tra i provvedimenti più rilevanti assunti contro il governo ugandese, per le conseguenze che comporta, c’è quello della Banca Mondiale che l’8 agosto ha annunciato l’intenzione di non concedere nuovi prestiti al Paese, con la motivazione che la legge viola i suoi valori fondamentali: «Nessun nuovo finanziamento pubblico all'Uganda sarà presentato al nostro Consiglio di amministrazione in attesa di una verifica delle nuove misure previste nell’ambito della nuova normativa».

L’ambasciatore ugandese alle Nazioni Unite, Adonia Ayebare, ha definito la decisione «super draconiana» e ha protestato che è ora di rivedere i metodi di lavoro della Banca Mondiale e le decisioni del suo Consiglio. Il presidente ugandese Yoweri Museveni (nella foto) ha dichiarato che non intende accettare pressioni da istituzioni straniere: «Spiace che la Banca Mondiale e altri soggetti osino volerci costringere ad abbandonare la nostra fede, la nostra cultura, i nostri principi e sovranità usando il denaro. Così sminuiscono tutti gli africani». «I Paesi occidentali dovrebbero smettere di far perdere tempo all'umanità cercando di imporre le loro pratiche ad altri popoli – ha osservato Museveni durante una seduta parlamentare –, gli europei e altri gruppi si sposano tra cugini e parenti stretti. Qui sposarsi all'interno del proprio clan è tabù. Dovremmo imporre loro sanzioni se si sposano tra parenti? Questo non è affar nostro».

Nei mesi successivi gli attivisti hanno denunciato che dall’entrata in vigore della nuova legge si sono moltiplicate le violazioni dei diritti umani delle persone Lgbt. Un rapporto diffuso alla fine di settembre da associazioni legate alla Convening for Equality, un gruppo Lgbt, asserisce che nei primi otto mesi del 2023 si sono registrati più di 300 casi di abusi, violenze e torture e un aumento sensibile di malattie mentali e suicidi tra gli omosessuali.

Il 16 ottobre la Banca Mondiale ha quindi confermato la sospensione dei prestiti fintantoché il governo ugandese non darà assicurazioni concrete che le persone Lgbt non subiscono discriminazioni e che il personale dell’agenzia non verrà arrestato o sanzionato per averle incluse in qualche iniziativa. Vittoria Kwakwa, responsabile della Banca per l’Africa orientale e australe, ha ribadito che la missione dell’agenzia è «aiutare tutti gli ugandesi a sfuggire alla povertà, accedere ai servizi di base e migliorare le loro esistenze, senza eccezione, includendo chiunque, a prescindere dalla razza, dal genere e dal sesso». Interpellata sulla durata del provvedimento, ha rifiutato di indicare i tempi previsti per valutare la situazione e decidere se riprendere i finanziamenti.

La decisione della Banca Mondiale è stata definita ingiusta e ipocrita. Non senza ragione il governo ha accusato l’istituto di credito di adottare un doppio standard dal momento che continua a fornire prestiti a Paesi del Medio Oriente e dell’Asia che sulle persone Lgbt hanno leggi simili a quella ugandese o addirittura più severe. Il presidente Museveni ha orgogliosamente dichiarato che, se l’Uganda avrà bisogno di denaro, lo otterrà da altre fonti e che la produzione di petrolio a partire dal 2025 aggiungerà nuovi introiti al Paese: «Con o senza prestiti, lo sviluppo dell’Uganda ci sarà». Tuttavia il Ministero delle finanze ha ammesso che il governo avrà bisogno di rivedere il proprio bilancio e di valutare l’impatto finanziario della mancanza di ulteriori prestiti da parte dell’agenzia dell’Onu. Nell’eventualità, peraltro non accertata, che qualcuno resti escluso da programmi umanitari e di sviluppo, l’intera popolazione rischia di esserne privata.



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